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La Spesa a Deficit (di Bill Mitchell) - Terza parte

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Questa è la terza parte di Deficit 101, una serie che sto scrivendo per aiutare a spiegare perché non dovremmo aver paura dei deficit. In questo post considereremo gli impatti dei deficit di bilancio sul sistema bancario per dissipare i miti ricorrenti secondo cui essi incrementano l’esigenza del governo di ottenere prestiti e che fanno salire i tassi d’interesse.

I due argomenti sono correlati. Le conclusioni importanti saranno: (a) i deficit introducono delle dinamiche che conducono verso il basso la pressione sui tassi d’interesse; e (b) l’emissione di debito pubblico non "finanzia" la spesa del governo. Viceversa il debito è emesso per supportare la politica monetaria che si esprime nel desiderio da parte della Banca centrale d’Australia (BCA) di mantenere un tasso d’interesse prefissato.

In "La spesa a Deficit 101 – Parte 1" ho fornito un grafico che rappresentava la relazione verticale fra settore governativo e quello non governativo in base alla quale i beni finanziari al netto entrano e escono dall’economia. Ma cosa sono queste transazioni verticali fra il settore governativo e quello non governativo e perché sono importanti per capire il funzionamento dell’economia? Ecco qui un altro grafico collegato (preso dal mio ultimo libro employment abandoned: shifting sands and policy failures) per aiutarvi a mettere insieme i pezzi. Potrebbe esservi utile cliccare sull’immagine per aprirla in un’altra finestra per stamparla e usarla mentre leggete il resto del testo.

Schema 1


Relazioni monetarie verticali e orizzontali

Come potete vedere, questo grafico aggiunge maggiori dettagli a quello della prima parte che in origine mostrava le relazioni essenziali fra il settore governativo e quello non governativo disposte in maniera verticale.

Concentrandovi prima sulla fila verticale, vedrete che l’imposizione fiscale si trova nella parte inferiore, esogena, della componente verticale della moneta. L’insieme del settore governativo (il Tesoro e la BCA) è in cima alla fila verticale perché è il solo emittente di moneta. La sezione centrale del grafico è occupata dal settore privato (non governativo), che scambia beni e servizi con l’unità di valuta dello Stato, paga le tasse, e accumula il resto (che in senso contabile è la spesa federale a deficit) sotto forma di denaro circolante, riserve (i conti correnti detenuti dalle banche commerciali presso la BCA), titoli di Stato (Tesoro) o altri titoli (depositi offerti dalla BCA).

Le unità di valuta usate per il pagamento delle tasse sono consumate (distrutte) durante questo processo.
Infatti, dato che il governo nazionale può emettere valuta cartacea o registrare movimenti contabili presso la BCA a piacimento, i pagamenti delle tasse non forniscono allo Stato nessuna capacità aggiuntiva (riflusso) di spesa.

Le due braccia del governo (Tesoro e Banca centrale) hanno un impatto sulle scorte (stock) di beni finanziari accumulati nel settore non governativo e sulla composizione di tali beni: il deficit pubblico (operazione del ministero del Tesoro) determina l’accumulo di scorte di beni finanziari nel settore privato mentre le decisioni della Banca centrale determinano la composizione di tali scorte in termini di banconote e moneta (contante), riserve bancarie (all’interno del sistema di pareggiamento dei saldi) e titoli di Stato.

Il grafico in alto mostra le scorte accumulate conservate in quello che chiameremo Magazzino non governativo, dove vengono accantonate scorte di moneta fiat, riserve bancarie e titoli di Stato. Ho inventato questa analogia con il Magazzino per chiarire al pubblico che non c’è un’area di deposito da qualche parte a Camberra dove il governo nazionale mette da parte tutti i surplus [di bilancio, ndt] per usarli in seguito – ossia quella che era la maggiore rivendicazione del precedente governo federale. Non c’è in realtà nessun deposito perché, quando si registra un surplus, la capacità di acquisto viene distrutta per sempre. Il settore governativo, in ogni caso, non ha sicuramente un Magazzino all’interno del sistema bancario o da qualche altra parte.

Ogni flusso finanziario che va dal settore governativo a quello non governativo e non finanzia gli oneri fiscali rimane nel settore non governativo sotto forma di contante, riserve o titoli di Stato. In questo modo possiamo capire come ogni accumulo di beni finanziari nel Magazzino sia il riflesso dei deficit di bilancio che si accumulano.

Le tasse sono nella parte inferiore, esogena, della catena verticale e vengono cestinate. Questo enfatizza il fatto che esse non finanziano alcunché: mentre le tasse riducono il saldo dei conti correnti bancari privati, il governo in realtà non riceve niente – le riduzioni sono contabilizzate ma non finiscono da nessuna parte. I governi possono utilizzare la loro spesa al netto per acquistare beni accumulati (per esempio spendendo i surplus in oro o, come avviene in Australia, nei beni finanziari accumulati dai privati tramite il Future Fund[1]), ma ciò non equivale a dire che quando i governi registrano un surplus (tasse che eccedono la spesa) quei fondi possono essere accumulati e spesi in futuro. Questo è un concetto erroneo. Inoltre, anche i pagamenti che derivano dalla vendita di titoli di Stato sono contabilizzati come un drenaggio di liquidità ma vengono poi cestinati.

I mercati dei capitali privati rappresentano le relazioni (disegnate dalla freccia orizzontale) e ospitano il sistema di leva dell’attività di credito delle banche, delle imprese commerciali, e delle famiglie (inclusi gli stranieri) e molti considerano [i mercati dei capitali privati, ndt] endogeni al circuito monetario. La distinzione cruciale comunque è che le transazioni orizzontali non creano beni finanziari al netto – tutti gli attivi creati sono controbilanciati da una passività della stessa dimensione, quindi tutte le transazioni al netto equivalgono a zero. Le implicazioni di questo fatto saranno presto affrontate quando considereremo gli impatti che la spesa al netto da parte del governo ha sulla liquidità e il ruolo dell’emissione dei titoli di Stato.

L’altro punto importante è che l’attività di leva finanziaria privata, che al netto si azzera, non ha una parte operativa nell’accumulo di valuta, di riserve o di titoli di Stato nel nostro Magazzino. Le banche commerciali non hanno bisogno delle riserve per generare credito, contrariamente alla rappresentazione in voga nei maggiori testi.

Lo scopo delle operazioni della Banca centrale è quello di gestire la liquidità del sistema bancario in modo tale che i tassi d’interesse a breve termine combacino con gli obiettivi ufficiali assunti dalla politica monetaria corrente. Per realizzare questo obiettivo la Banca centrale può:

intervenire sul mercato monetario interbancario (per esempio, il Mercato dei fondi federali[2] negli Stati Uniti) per gestire ogni giorno l’offerta e la domanda di fondi acquistare dalla banche commerciali alcuni beni finanziari al tasso di sconto imporre tassi d’interesse penalizzanti alle abnche che hanno bisogno di fondi urgenti. Di fatto, la gestione della liquidità è realizzata in gran parte tramite (1). Ciò detto, la funzione delle operazioni della Banca centrale è quella di compensare i fattori che operano all’interno del sistema, attraverso la modifica della composizione delle riserve, dei contanti e dei titoli; e non quella di alterare i beni finanziari al netto all’interno del settore non governativo.

I mercati monetari sono quelli in cui le banche commerciali (e altri intermediari) scambiano strumenti finanziari a breve termine fra loro, in modo da poter rispettare gli obblighi sulle riserve [riserva obbligatoria, ndt] oppure per guadagnare fondi usati per scopi commerciali. In termini grafici, tutte queste transazioni sono orizzontali e al netto sono pari a zero.

Le banche commerciali detengono conti correnti presso la Banca centrale,[e questo ndt] permette di gestire le riserve e fa funzionare senza intoppi il sistema di pareggiamento (clearing system). La Banca centrale, oltre a fissare un tasso d’interesse sui prestiti (tasso di sconto o discount rate), stabilisce anche un tasso d’interesse attivo (support rate) che viene pagato alla banche commerciali sulle riserve detenute presso la Banca centrale. Molti paesi (come per esempio Australia, Canada e zone come l’Unione Monetaria Europea) offrono un ritorno predefinito sulle riserve in surplus (per esempio la Banca centrale d’Australia paga un ritorno predefinito sul surplus delle riserve pari a 25 punti base in meno rispetto al tasso di prestito interbancario).

Altri paesi, come il Giappone, non offrono un ritorno sulle riserve e ciò si traduce in un persistente eccesso di liquidità che conduce il tasso d’interesse a breve termine a zero (come in Giappone fino alla metà del 2006), a meno che il governo non venda titoli di Stato (o alzi le tasse). Il tasso d’interesse attivo [sulle riserve, ndt] diventa il tasso d’interesse minimo per l’economia.

Nel breve periodo, l’obiettivo sul tasso d’interesse operativo, che rappresenta l’orientamento della politica monetaria corrente, è fissato dalla Banca centrale fra il tasso di sconto (discount rate) e il tasso d’interesse attivo (corrisposto sulle riserve delle banche, ossia il support rate, ndt). Ciò crea, quindi, un corridoio o un differenziale all’interno del quale il tasso d’interesse a breve termine fluttua al variare della liquidità. È questo differenziale che viene gestito dalla Banca centrale nelle sue operazioni giornaliere.

Nella maggior parte delle nazioni, le banche commerciali, per legge, devono mantenere i saldi delle riserve che detengono presso la Banca centrale, accumulati in un determinato periodo di tempo specifico, in positivo. Alla fine di ogni giorno le banche commerciali devono comunicare lo stato dei conti delle loro riserve. Quelle che sono in deficit possono prendere in prestito i fondi necessari dalla Banca centrale al tasso di sconto. In alternativa, le banche con riserve in eccesso si trovano di fronte alla possibilità di guadagnare un tasso d’interesse attivo (il support rate corrisposto dalla Banca centrale, ndt), che è al di sotto del tasso d’interesse corrente sul mercato interbancario dei prestiti (overnight rate), nel caso in cui non facciano niente.

Chiaramente, sarà profittevole per le banche con fondi in eccesso prestarli alle banche in deficit al tasso di mercato. La concorrenza fra le banche con riserve in eccesso, ovviamente, farà abbassare i tassi d’interesse a breve termine (i tassi sui prestiti interbancari) e, in base alla liquidità complessiva, farà scendere il tasso interbancario al di sotto dell’obiettivo operativo sul tasso d’interesse. Se il sistema nel suo complesso è in surplus questa concorrenza porterà il tasso [d’interesse interbancario, overnight rate, ndt] al di sotto del tasso d’interesse attivo [sulle riserve detenute presso la Banca centrale, ossia il support rate, ndt].

La domanda di fondi a breve termine sul mercato monetario rappresenta una funzione negativa del tasso d’interesse sui prestiti interbancari: più è alto il tasso d’interesse meno le banche saranno disposte a chiedere un prestito alle altre banche per far fronte alle carenze previste, se confrontato col rischio di dover prendere in prestito denaro dalla Banca centrale per coprire eventuali aspettative sbagliate sulla posizione contabile delle riserve alla fine della giornata.

Il maggiore strumento attraverso cui avviene la gestione della liquidità sono le operazioni di mercato aperto (open market operations), cioè l’acquisto e la vendita di debito pubblico. Quando la spinta della concorrenza sul mercato interbancario dei prestiti porta il tasso d’interesse al di sotto dell’obiettivo desiderato sul tasso, la Banca centrale drenerà liquidità attraverso la vendita di debito pubblico. Questo intervento di mercato aperto, quindi, si tradurrà in un innalzamento del valore del tasso d’interesse interbancario. La cosa importante è che noi caratterizziamo l’emissione di debito come un’operazione di politica monetaria, funzionale al mantenimento del tasso d’interesse. Ciò è in forte contrasto con la teoria ortodossa la quale afferma che l’emissione di debito è un aspetto della politica fiscale ed è necessaria per finanziare la spesa a deficit.

Il punto significativo di questa discussione, che elaboreremo in seguito esponendo il mito del crowding out (letteralmente "spiazzamento"), è che la spesa al netto del governo (i deficit) – che non viene presa in considerazione da parte della Banca centrale nelle sue decisioni sul livello di liquidità – si manifesterà in un eccesso di riserve nel [sistema, ndt] di pareggiamento dei saldi delle banche commerciali (le riserve delle banche) presso la Banca centrale. Definiamo tutto questo un surplus a livello di sistema.

In queste circostanze, le banche commerciali si troveranno di fronte alla possibilità di guadagnare un tasso d’interesse attivo sui fondi delle riserve in surplus (support rate) più basso, nel caso in cui non cerchino uno scambio fruttuoso con le altre banche che hanno fondi carenti nelle loro riserve. La conseguente concorrenza che si creerà per liberarsi delle riserve in eccesso abbasserà il tasso di prestito interbancario (overnight rate). In ogni caso, queste sono transazioni orizzontali e al netto necessariamente finiscono con l’azzerarsi: gli scambi [sul mercato, ndt] interbancario, infatti, non possono cancellare il surplus a livello di sistema.

Di conseguenza, se la Banca centrale desidera mantenere il corrente obiettivo sul tasso di prestito interbancario, allora deve drenare questo surplus di liquidità attraverso la vendita di debito pubblico, [dando luogo a, ndt] una transazione verticale.

Il mito del crowding out[3]

Adesso sappiamo che si tratta di un mito finalizzato a perpetuare l’idea che l’emissione di moneta da parte del governo è finanziariamente vincolata. Questo mito sta alla base della posizione degli economisti più ortodossi, che sono contrari a un governo attivo nella politica macroeconomica. C’è un altro mito persistente che deve essere dissolto: quello secondo cui le spese del governo spiazzano le spese dei privati a causa del loro effetto sui tassi d’interesse.

Abbiamo visto che la Banca centrale deve necessariamente amministrare il tasso d’interesse senza rischio e non è soggetta alla forze che dirigono il mercato. L’approccio macroeconomico ortodosso afferma che i deficit persistenti riducono i risparmi nazionali ... [e richiedono] ... tassi d’interesse reali più alti, con livelli inferiori di spesa in investimenti. Ripensate alla trascrizione del notiziario delle 7.30 che ho fornito un paio di giorni fa.

Sfortunatamente, i sostenitori di questa tesi collegano automaticamente i deficit di bilancio all’aumento dell’emissione di debito [pubblico, ndt] e al conseguente innalzamento dei tassi d’interesse; senza capire come sono stabiliti i tassi d’interesse e il ruolo che l’emissione di debito gioca nell’economia. Ovviamente, la Banca centrale potrebbe scegliere, senza problemi, di fissare e lasciare il tasso d’interesse allo zero per cento, favorendo così i tassi sugli investimenti a più lunga scadenza.

Abbiamo visto che, mentre il denaro che il governo spende non proviene da nessuna parte e che quello che riscuote tramite le tasse non finisce da nessuna parte, la spesa al netto del governo ha un impatto sostanziale sulla liquidità. Infatti, se i fondi con cui vengono acquistati i titoli di Stato provengono dalla spesa del governo, secondo i dettami della contabilità [nazionale, ndt], allora l’idea che la spesa del governo diminuisca i risparmi limitati che possono essere utilizzati dai privati per gli investimenti è un senza senso. Un esperto di finanza degli Stati Uniti, Tom Nugent sintetizza così la cosa:

"Possiamo vedere che la paura di un aumento dei tassi d’interesse a fronte di un incremento dei deficit di bilancio ha poco senso quando prendiamo in considerazione l’impatto complessivo della spesa a deficit da parte del governo: poiché la fornitura dei titoli di Stato offerti dal governo federale è sempre uguale ai fondi appena creati, l’effetto al netto sarà sempre un lavaggio, e il tasso d’interesse sarà quello che la Fed avrà scelto. Notate che in Giappone, con il più alto debito pubblico mai registrato e ripetuti downgrade [letteralmente "retrocessioni", ndt], il governo giapponese emette buoni del tesoro allo 0.0001%! Se i deficit causassero davvero alti tassi d’interesse, il Giappone avrebbe dovuto chiudere bottega molto tempo fa!"

Come ho spiegato in precedenza, solo le transazioni fra il governo federale e il settore privato sono in grado di cambiare l'equilibrio nel sistema. La spesa del governo e l'acquisto di titoli di Stato (buoni del Tesoro) da parte della Banca centrale aggiungono liquidità mentre la tassazione e la vendita di titoli di Stato la drenano.

Queste transazioni influiscono sulla posizione finanziaria del sistema su base giornaliera e possono generare ogni giorno un surplus (deficit) dovuto a un deflusso di fondi dal settore pubblico superiore (minore) al loro afflusso. La posizione finanziaria del sistema ha implicazioni cruciali per la politica monetaria della Banca centrale e rappresenta un fattore importante nel determinare il ricorso a operazioni di mercato aperto (acquisto e vendita di titoli di Stato) da parte della Banca centrale.

Ecco qui un altro grafico che ho disegnato per aiutarvi a mettere insieme questa parte della discussione. Potete cliccarci sopra per aprirlo in una nuova finestra e stamparlo, in modo da poterlo consultare per seguire più facilmente l'argomentazione.

Schema 2

Potete vedere così riassunte le singole funzioni nelle mani del governo: (a) Il Tesoro gestisce la politica fiscale, riassunta nella spesa e nella tassazione governativa che ogni giorno hanno un impatto al netto sull'economia – sia attraverso un surplus (G < T) sia attraverso un deficit (G > T); e (b) la BCA conduce la politica monetaria fissando un obiettivo sul tasso d'interesse. Inoltre, gestisce i saldi contabili a livello di sistema per tenere sotto controllo l'obiettivo sul tasso. Il tutto avviene tramite la vendita/acquisto di debito pubblico in modo da determinare la posizione delle riserve delle banche commerciali.

Perché allora il governo emette debito se non serve a finanziare la sua spesa? Beh, per gestire le riserve delle banche in modo tale che la Banca centrale possa mantenere uno specifico tasso di prestito interbancario (overnight rate). Ogni giorno, quindi, se G > T (deficit di bilancio) le riserve complessive aumenteranno.
Qualsiasi singola banca potrebbe essere a corto di riserve ma la somma complessiva delle riserve bancarie sarà in surplus. In Australia, queste riserve fruttano meno del tasso prefissato (mentre in alcuni paesi non fruttano niente).

Quindi, sarà nell'interesse delle banche commerciali cercare di eliminare ogni notte le riserve non necessarie. Le banche in surplus proveranno a prestare le loro riserve in eccesso sul mercato interbancario. Alcune banche in deficit, chiaramente, saranno interessate a questi prestiti per rafforzare la loro posizione e evitare di dover chiedere un prestito alla BCA al tasso di sconto, che è più oneroso.
La conseguenza, comunque, sarà che la concorrenza fra le banche in surplus per liberarsi delle loro riserve in eccesso abbasserà i tassi d'interesse a breve termine.

Ma, se avete capito il discorso precedente sulle transazioni orizzontali (che al netto si azzerano!) allora apprezzerete il fatto che il sistema bancario non governativo non può da solo (conducendo transazioni orizzontali fra banche commerciali – cioè, prestando e prendendo in prestito sul mercato interbancario) eliminare l'eccesso di riserve all'interno del sistema, creato dal deficit di bilancio.

Ciò che serve è una transazione verticale – ossia, un'interazione fra il settore governativo e quello non governativo. Nel grafico potete vedere che la vendita di titoli di Stato può drenare liquidità offrendo alle banche un interessante titolo fruttifero (debito pubblico) che può essere acquistato per eliminare le riserve in eccesso.

La vendita di titoli di Stato (emissione di debito) permette quindi alla BCA di drenare tutte le riserve in eccesso dal sistema e limitando la diminuzione del tasso d'interesse. In questo modo la Banca centrale mantiene il controllo sulla politica monetaria. Importante:

I deficit di bilancio spingono verso il basso i tassi d'interesse; la vendita di titoli di Stato mantiene l'obiettivo sui tassi d'interesse fissato dalla BCA. Di conseguenza, il concetto di monetizzazione del debito è un non sequitur [ossia un errore di ragionamento, ndt]. Una volta che la Banca centrale ha stabilito l'obiettivo sul tasso d'interesse interbancario, deve solamente scambiare titoli di Stato se, per poter mantenere questo obiettivo, è necessaria una variazione del livello di liquidità.

Dato che la Banca centrale non può controllare le riserve, la monetizzazione del debito è rigorosamente impossibile. Immaginate che la Banca centrale scambi titoli di Stato con il Ministero del Tesoro, facendo aumentare la spesa del governo; le riserve in eccesso spingeranno la Banca centrale a vendere lo stesso ammontare di titoli di Stato al mercato privato oppure a lasciare che il tasso d'interesse sui prestiti interbancari (overnight rate) cali fino al tasso d'interesse attivo [corrisposto dalla BCA sulle riserve delle banche commerciali, ossia il support rate, ndt]. Questa non è una monetizzazione, piuttosto la Banca centrale agisce come semplice intermediario nel contesto della logica di una politica monetaria che stabilisce i tassi d'interesse.

Alla fine, gli agenti privati possono rifiutarsi di detenere ulteriori scorte di denaro o titoli di Stato. Senza emissione di debito, i tassi d'interesse caleranno fino al limite del tasso di supporto (support rate) della Banca centrale (che può essere zero). Il settore privato, a livello microeconomico, può chiaramente amministrare saldi di cassa non voluti in assenza di titoli di Stato, solamente attraverso l'aumento dei livelli di consumo. Data l'attuale struttura fiscale, questa riduzione del desiderio di risparmiare potrebbe generare un'espansione privata e ridurre il deficit, ricreando un equilibrio di portafoglio con livelli di occupazione privata più alti e deficit di bilancio richiesti più bassi, fin che questo desiderio di risparmiare resta basso.

Chiaramente, non ci dovrebbe essere alcuna volontà da parte del governo di espandere l'economia al di là dei suoi limiti reali: il fatto che si possa generare inflazione dipende dall'abilità dell'economia di aumentare la produzione reale in modo da accogliere l'aumento della domanda nominale. Ciò, comunque, non viene compromesso dalla dimensione dei deficit di bilancio. Ecco un riassunto delle principali conclusioni di questo post:

La Banca centrale (BC) fissa il tasso d'interesse a breve termine in base alle sue aspirazioni politiche. A livello operativo, i deficit di bilancio fanno scendere i tassi d'interesse, contrariamente al mito del crowding out che troviamo sui libri di macroeconomia. La Banca centrale può contrastare questa tendenza tramite lavendita di titoli di Stato, che equivale a un prestito del pubblico al governo; la conseguenza derivante dalla decisione di non prendere in prestito è che il tasso d'interesse scenderà allivello minimo, che generalmente equivale a zero nei paesi dove la Banca centrale non offre un ritorno sulleriserve. Per esempio, il Giappone è stato capace di mantenere una politica sul tasso d'interesse a zero peranni con deficit di bilancio da record semplicemente spendendo più di quel che veniva preso in prestito. Ciòmostra anche che la spesa del governo è indipendente dal fatto che esso prenda in prestito, e la miglior idea di quest'ultimo aspetto è che viene dopo la spesa; l'emissione di debito pubblico è un fatto di politica monetaria piuttosto che qualcosa di intrinseco alla politica fiscale; un surplus di bilancio descrive, a livello contabile, ciò che il governo ha fatto, non quello che ha ricevuto.

Quindi, dovremmo rifiutare ogni concezione secondo cui i deficit federali danneggerebbero e indebiterebbero le generazioni future. Il governo ha scelto di mantenere un tasso d'interesse a breve termine positivo e ciò richiede l'emissione di debito pubblico se quel tasso viene spinto verso il basso dalle pressioni emergenti nel sistema di cassa. Nel prossimo post di questa serie (La spesa a deficit 101 – Parte 4[2]) spiegherò perché i tassi d'interesse a breve termine dovrebbero essere tenuti a zero o vicino allo zero, come lo sono oggi in Giappone e negli Stati Uniti.

Note

1. Si tratta di un organo creato dal governo che investe fondi sul mercato azionario nazionale o estero, in beni immobiliari, infrastrutture e altre attività.

2. Si tratta del mercato dei fondi che la Federal Reserve (la Banca centrale statunitense) presta alla banche private, ndt

3. Il termine “crowding out” si riferisce, in economia, alla diminuzione degli investimenti privati dovuta ad un aumento del deficit pubblico, causato dal fatto che il governo entra in concorrenza col settore privato per finanziarsi.

4. Articolo mai scritto, ndt.


Anunnaki in Romania - I misteriosi Monti Bucegi

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Tratto da "Basi Aliene sui Carpazi"
di Enrica Perucchietti

UN LUOGO TOCCATO DALL’ARCANO

La curva dei monti Carpazi che prende il nome di Bucegi si porta sulle spalle da secoli le etichette esoteriche più disparate. Luogo di singolari attrazioni turistiche d’origine geologica come la sfinge e la babele, racchiude una moltitudine di fenomeni mistici riferiti quotidianamente dalle testimonianze degli abitanti del luogo.


Si tratta di avvistamenti di esseri eterei o mitologici, spesso confusi per elementi religiosi (molte croci cristiane si trovano nei luoghi delle “apparizioni”) e sopratutto misteriose scomparse tra le nebbie di quei monti.

I racconti narrano di persone ritrovate solo dopo giorni in qualche nascosta caverna o addirittura si racconta che ci si possa perdere in qualche grotta di quelle valli per ritrovarsi nel mezzo del deserto del Kansas...

Verità o finzione che sia gli occhi del mondo hanno iniziato a posarsi tra queste montagne con l’inizio di singolari terremoti che hanno portato ad una sensazionale scoperta.

Si dice che queste informazioni abbiano iniziato a filtrare lentamente proprio per espressa volontà del governo Romeno che vorrebbe informare il mondo di questa realtà ormai impossibile da mascherare. Va in ogni caso ringraziato il coraggio e la tenacia dimostrati dall’ex agente psicotronico del regime di Ceauşescu, Vasile Rudan, divenuto solo da poco noto al grande pubblico per le numerose interviste e soprattutto per la partecipazione alla trasmissione “Access Direct” dell’11 e 12 Maggio dell’emittente nazionale Antena 1, un uomo che porta avanti da anni una dura battaglia per diffondere questi segreti.

UN CIMITERO DI GIGANTI SOTTO UN MELETO

Tra le montagne dei Carpazi può capitare spesso che mentre si scava un pozzo o si stanno fissando le fondamenta di una casa ci si possa trovare ad aver a che fare con ossa dall’aspetto umanoide di dimensioni abnormi. Ossa che gli scienziati giunti sul posto definiranno sicuramente “non autentiche” e che quindi finiranno in qualche magazzino di reperti “non autentici”.

Il caso più macroscopico è accaduto qualche anno fa nel piccolo paese di Scăieni dove un agricoltore intenzionato a fare una piantagione di mele nei suoi campi si è trovato ad aver a che fare con un vero e proprio cimitero di giganti.

Come affondava la pala di qualche metro si trovava intralciato da resti di scheletri umanoidi che superavano i due metri e mezzo di altezza e che proprio non volevano saperne di lasciargli piantare le sue mele in pace.
Dopo aver dissotterrato un po’ di questi reperti chiaramente “non autentici” il meleto è stato infine piantato proprio sopra questa necropoli dei giganti.

UNA BASE ALIENA SOTTO LE MONTAGNE

Fenomeni sospetti tra i monti Bucegi presero a manifestarsi quasi un ventennio fa, un crescendo di eventi destinato ad attirare l’attenzione sia dei media che delle autorità.

Tra queste vette nel 1993 la terra iniziò a tremare ripetutamente terrorizzando le popolazioni del luogo. Presto ci si rese conto dell’inspiegabile singolarità di quei movimenti sismici che oltre a interessare soltanto una superficie troppo delimitata, si manifestavano solamente in una precisa fascia temporale intercorrente tra le 20 della sera e le 3 del mattino. Inoltre gli abitanti del luogo sostenevano che quando iniziavano queste scosse sismiche si poteva avvertire, l’eco di un rumore sordo risalire dal sottosuolo come se il pavimento stesse per crollare sotto i loro piedi. Ciò che rese il caso tristemente noto in tutta la Romania fu la ripetitività apparentemente inarrestabile del fenomeno: più di 100 scosse sismiche interessarono quella singola area prima di svanire per un decennio.

I geologi sotto l’impulso delle autorità romene e soprattutto del Pentagono presero ad analizzare la specificità di quel territorio e attraverso delle misurazioni con dei progrediti satellite di tecnologia bionica si cercò di identificare la struttura tellurica del luogo.

Si trovarono dinanzi a dati inspiegabili: Sembrava che sotto quelle montagne la terra fosse cava, ma il nucleo più profondo di quel vuoto terrestre pareva insondabile a ogni verifica. Una sorta di barriera respingeva ogni tentativo di accesso.

Nel 2002 il fenomeno riprese. I Bucegi tremarono nuovamente seguendo le medesime modalità e fasce orarie. Le autorità Romene e Americane ritennero che fosse giunto il momento di agire.

Nel 2003 si diede inizio alle trivellazioni della montagna dalla struttura sotterranea tanto insolita e dopo numerosi tentativi fallimentari un equipe di nazionalità mista raggiunse una singolare galleria sotterranea.

Parve subito evidente a tutti che ci si trovava dinanzi a una galleria artificiale: le pareti erano perfettamente lisce senza traccia di irregolarità naturale, l’aspetto faceva venire in mente un tunnel della metropolitana. La squadra proseguì per il ramo del tunnel che scendeva.

Prestò gli esploratori raggiunsero un’imponente porta che all’aspetto appariva di tipo scorrevole.

La squadra dovette però arrestarsi qualche metro prima del battente perchè si vedeva distintamente una parete luminosa in cui scorreva una qualche forma di energia sbarrare ogni accesso.

Si misurò che ci si trovava dinanzi a una scudo energetico di elevata tensione. Alcuni fonti sostengono che coloro che hanno tentato, con adeguate protezioni, di oltrepassare la parete siano morti di collasso cardiaco, mentre i tentativi di far passare oltre la barriera dei materiali non organici produsse la semplice polverizzazione istantanea di questi. Simili tentativi inconcludenti erano stati fatti in una missione esplorativa in Iraq dove il terreno presentava le medesime “anomalie geologiche” e anche in quel caso l’equipe americana si trovo sconfitta della barriera energetica.

In Romania l’epilogo fu differente poiché alcuni componenti dell’equipe dotati di una “determinata tensione energetica” che funzionava in “simpatia” con quella che vibrava nella parete luminosa riuscirono ad oltrepassare il varco dischiudendo così la successiva porta metallica.

Oltre a questo doppio sbarramento il tunnel si modificava sviluppando una struttura più complessa, fino a portare i visitatori all’ennesima barriera energetica di un colore verde pallido che funzionava con modalità simili alla prima.

Oltrepassata anche questa le fonti ci riferiscono che ci si trova dinanzi a una grande sala artificiale dalle misure inaspettate: di una lunghezza che pare aggirarsi intorno ai 100 metri, mentre un’altezza di 30.

Sulla stanza dominano alcuni tavoli dalla forma insolita e dall’altezza di due metri. Se mai un umano avesse potuto sedersi in una sedia adeguata avrebbe visto sopra delle iscrizioni che apparivano dei geroglifici in una lingua sconosciuta dalla forma cuneiforme. Gli unici simboli che gli esploratori riconobbero furono alcuni cerchi e quadrati. Poggiando le mani su questa simbologia aliena le pareti della stanza trasmettevano una serie inaspettata di immagini olografiche. Sembravano ai presenti immagini della terra e di altri luoghi non conosciuti. Attraverso tentativi ed errori i tavoli proiettarono una serie infinita di immagini ed iniziarono ad analizzare gli stessi presenti che poterono “vedere” le lastre accurate del loro corpo e la forma del loro DNA. Le testimonianze riferiscono che i computer alieni iniziarono a incrociare il DNA dei presenti con la specie aliena più adatta finché sullo schermo apparve l’Ibrido che sarebbe nato da questa unione.

Il luogo che assomigliava ad una stanza di analisi e raccolta dati fu battezzata dai visitatori “Sala delle Proiezioni”.

salaproiezione

Coloro che proseguirono nell’esplorazione del luogo si trovarono alle prese con una galleria che apparentemente proseguiva ininterrottamente fino ad una stretta curva a 26°. Oltre la curva un’altra infinita galleria portava all’ennesima barriera. Oltrepassata anche questa l’equipe poté mirare quella che è poi stata battezzata la “Sala Grande”.

La sala era di dimensioni colossali, tanto da far perdere i riferimenti spaziali ai presenti ed era ben illuminata anche se i presenti non riuscivano definire la fonte di quella luce.

In questo spazio si sono trovate quelle che sono apparse come apparecchiature tecnologiche dalla forma sconosciuta di cui non si è riusciti a capire la funzione. Ciascuna di esse era collegata alle altre con dei fili bianchi traslucidi su cui passavano ad intermittenza degli impulsi elettrici.

BASI UFO SOTTERRANEE

Sono numerose e sparse per tutto il mondo le testimonianze da parte di militari e civili che parlano di avvistamenti di flottiglie o astronavi (UFO e USO) che emergono dal mare o dal sottosuolo e che farebbero pensare a vere e proprie basi aliene ubicate sottoterra. Dall’Himalaya al Pacifico, le EBE avrebbero scelto montagne impervie (come la zona di Kongka La nella regione del Ladakn al confine tra India e Cina) o isole distanti dal mondo occidentale ma vicine a territori di origine vulcanica, per l’insediamento delle proprie basi. Nel caso delle isole del Pacifico, secondo alcuni studiosi, il terreno vulcanico sarebbe un elemento di preferenza per gli alieni nella scelta del luogo dove insediarsi, probabilmente perché l’attività geotermica del sottosuolo può essere convertita in energia necessaria per le apparecchiature tecnologiche di cui dispongono gli extraterrestri nel sottosuolo.

Le isole Hawai, sarebbero dagli anni ’40 teatro di un impressionante numero di avvistamenti, come ricostruito da Corrado Malanga. Il ricercatore pisano ha ipotizzato l’esistenza di una base UFO anche nella Polinesia Francese, grazie a ricostruzioni raccolte in ipnosi regressiva condotta su addotti che indicavano l’atollo di Mururoa come sede di una base UFO in cui verrebbero effettuati esperimenti sui rapiti da parte di alieni “Serpenti”, probabilmente Rettiloidi. Proprio l’inavvicinabile Mururoa, inaccessibile non per le radiazioni che nonostante i test nucleari dei francesi sarebbero bassissime (!), ma teatro di avvistamenti UFO fin troppo numerosi… tanto che scienziati e militari (v. Guy Andronik, prospettore geofisico francese), avrebbero testimoniato la presenza di UFO di stanza sull’atollo in veste di “osservatori” degli esperimenti atomici.

Di basi impenetrabili si parla anche alle Fiji, terra di leggende legate agli Dèi “venuti dalle stelle” (tra tutti il Dio Serpente che ricorda in modo inquietante l’alieno di tipo Rettiloide dei giorni nostri) dove recentemente sarebbero emersi dal sottosuolo scheletri di Giganti sui due metri circa di altezza (assolutamente fuori misura per la tipologia degli abitanti del luogo), risalenti a tremila anni fa e ora conservati nel Museo diretto da Matararaba.

Così nelle Isole Salomone, come testimoniato da un militare della RAAF in pensione, Marius Boirayon, stabilitosi nel Pacifico, le tribù locali si tramandano da generazioni leggende di una stirpe di Giganti che vive in una città sotterranea. Ecco tornare il mito della Terra Cava e dei Giganti in sperdute isole dei Tropici nell’oceano Pacifico meridionale. Isole lontane, spesso di origine vulcanica, con basi militari controllate da americani o francesi. Gli indigeni raccontano anche di abduction violente da parte di esseri chiamati “Dragon Snake”, Serpente Dragone (un Sauro o un Rettiloide?). Dagli schizzi degli abitanti del luogo e da informazioni raccolte dallo stesso Boirayon nel museo locale di Guadalcanal è emerso che gli esseri che turbano le notti dei nativi delle Isole non sarebbero altri che Grigi, forse al comando della schiatta di Giganti che popola il sottosuolo dei Tropici.
  
IL MITO DI AKAKOR

Segreti che emergono dai 4 continenti. Verità scomode messe a tacere a forza. Ritrovamenti di scheletri di giganti a pochi metri l’uno dall’altro dalla Bolivia all’Iraq, dalla Sardegna alla Romania, dal Perù alla Cina lasciano poco spazio alla possibilità di anomalie genetiche, per esempio disfunzione alla ghiandola pituitaria, ma suggeriscono l’ipotesi di una razza con le stesse anomalie. I giganti hanno lasciato molte tracce sul nostro pianeta, basta saper e voler cercare. 

Dai miti ai ritrovamenti più o meno casuali in ogni parte del mondo - basta scavare per vedere affiorare ossa decisamente fuori misura per l’uomo inteso in senso accademico - emerge una realtà nascosta sotto il racconto del mito, ma anche nascosta letteralmente, sotto terra. Così descritti nel mito: esseri primordiali, divinità legate alla terra, dispensatori di sapere o al contrario creature demoniache e distruttrici. Esseri divini o semidei, spesso provenienti dalle stelle, da costellazioni lontane, ma compatibili con l’uomo, che si accoppiano con le figlie degli uomini (come descritto in Gen. 6, 1-4) generando razze intermedie, portatori di sapere oppure distruttori, etc. 

Il pensiero corre ai Titani, ai Ciclopi, ai Nephilim, agli abitanti della mitica Akakor, rete vastissima di 13 città sotterranee situata tra Brasile e Perù, che avrebbe avuto il suo apogeo ben 12 mila anni fa. Narrano le leggende degli indios che navi dorate scesero dal cielo, provenienti dalla costellazione di Schwerta, guidate da imponenti stranieri dalla pelle bianca, la lunga barba e sei dita dei piedi e delle mani. I Signori del Cielo costruirono la fortezza di Akakor, dove una luce innaturale (come nelle gallerie scavate nei meandri dei Monti Bucegi in Romania!) risplende all’interno delle città sotterranee, dove man mano che ci si inoltra scema la forza di gravità facendo fluttuare i corpi negli immensi corridoi scavati nel sottosuolo, mentre un ingegnoso complesso di canalizzazioni porta acqua e aria in profondità. Una civiltà altamente evoluta che avrebbe preceduto Maya e Atzechi e che sarebbe stata spazzata via da un diluvio…

CRANI DOLICOCEFALI

Molti dei giganti descritti nelle leggende hanno una caratteristica comune, il cranio allungato e retroverso, oppure bilobato. La dolicocefalia è una caratteristica che distingue anche alcune schiatte sacerdotali (Antico Egitto, Malta e Gozo, Sud America etc). Se si non ritiene possibile inserire una o più razze di giganti all’interno dell’evoluzione dell’uomo, forse non è irrazionale ipotizzare l’Interferenza aliena, ipotesi avvalorata dal racconto degli addotti secondo cui i tipi di alieni si dividono in molto alti o molto bassi. Le testimonianze degli addotti e i racconti di unioni tra giganti e umani se interpretate come veritiere ci permetterebbero di avanzare l’ipotesi che qualche alieno umanoide abbia lasciato le sue vestigia sul nostro piano esistenziale e/o dato vita a ibridi di altezza superiore alla media grazie all’unione con umani.

NORDICI E ALTI BIANCHI

Tra gi alieni molto alti di tipo umanoide ricordiamo gli Orange, gli Agarthiani, il tipo Nordico e poi gli Alti Bianchi passati alla storia dell’ufologia grazie alla testimonianza lasciataci da Charles Hall nella trilogia “Millenial Hospitality”. Hall, che prestò servizio ad Indian Springs in Nevada presso la Base Aerea Nellis come osservatore meteorologico a partire dal 1965 raccontò dell’esistenza di una base aliena scavata nel fianco della montagna dei Poligoni di Indian Springs, e abitata da alieni alti circa due metri, dalla pelle bianca, quasi perlacea, i capelli albini, gli occhi che cambiano colore con la luce passando dal blu al rosa. All’interno della base vi sarebbero stati anche i loro velivoli e un’astronave madre. Oltre agli Alti Bianchi, Hall sarebbe venuto in contatto con un’altra razza di alieni di tipo Nordico ma con soli 24 denti e le dita dei piedi leggermente palmate.

L'Euro e la Terza Guerra Mondiale

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Ho sempre pensato che prima di una possibile fine dell'euro e la caduta dell'occidente gli stati uniti avrebbero scatenato l'armageddon.

Ritengo, anche se devo ancora capire il perchè, che l'euro forte a 1,40 sul dollaro sia a tutela (e non a danno) di quest'ultimo e dell'economia statunitense dalle manovre cinesi... Per questo è impensabile una svalutazione dell'euro con possibile conseguente apprezzamento del dollaro sullo yuan. Svalutazione che consentirebbe alle economie come l'Italia di respirare un poco aumentando le esportazioni e tornando ad essere competitiva sul mercato senza bisogno di svalutare il lavoro.

euro-vs-dollaro

A dimostrazione di questo abbiamo lo studio pubblicato dalla Deutsche Bank che determina le 'soglie del dolore' dei paesi europei a un valore inferiore all'attuale 1,40 che presupporrebbe la necessità di svalutare la moneta per ricondurla a un livello di beneficio ANCHE per le economie delle nazioni mediterranee e non solo per la Germania (la cui soglia del dolore è a 1,80).

La validità dello studio della Deutsche è dimostrata anche dalla situazione francese... l'economia francese ha iniziato a peggiorare proprio dopo il superamento del tasso di cambio euro/dollaro di 1,30 ovvero la "soglia del dolore" francese.

Se ne conclude che il continente europeo è carne da macello... Sia in un caso (ci teniamo l'Euro) come nell'altro (usciamo dall'Euro).


E gli stati uniti (ma anche la UE) sembrano ormai avere veramente troppa fretta di chiudere la partita perché si sentono ormai crollare il mondo addosso!



Hanno fretta di neutralizzare il pericolo rappresentato dai russi e cercare di avvicinarsi il più possibile alla Cina per.. puntargli una pistola alla testa e impedire che riversino sul mercato le miliardate di dollari in riserva valutaria estera detenute dai cinesi.

Cina dove Febbario 2014 ha fatto registrate, rispetto a gennaio, un -18% sulle esportazioni. Questo vuol dire che l’economia cinese ha prodotto un disavanzo commerciale di 22 miliardi. Solo un mese fa c’erano stati 31 miliardi, ma di avanzo.

Cos’è cambiato in Cina? In realtà, responsabile di questa flessione è anche e soprattutto l’Occidente. Il “blocco ovest”, infatti, e soprattutto l’Europa, tradizionale mercato per le merci cinesi, è ormai inadatto a soddisfare le esigenze delle imprese dell’estremo oriente. A influire, in misura uguale se non maggiore, è anche il rinnovamento “forzoso” che il Governo cinese ha imposto al paese: questo si sta occidentalizzando anche dal punto di vista economico, e i consumi interni (piuttosto che quelli esterni) stanno prendendo sempre più piede.

L’evento “crollo dell’Export cinese” ha “smosso” il mercato valutario. Soprattutto, ha sortito effetti rilevanti sulle valute dei partner commerciali. Tra questi spiccano Canada e Nuova Zelanda. A farne le spese, quindi, sono stati il dollaro canadese e il dollaro australiano.

E ciò spiegherebbe anche il perché il perseverare inspiegabile nelle fallimentari politiche di austerity e rigore in UE a scapito dei cittadini del continente

Se da un Incubo può nascere un Sogno...

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Se davvero scoppierà la guerra, bisognerà darsi da fare per ricostruire un mondo migliore...

Essere Natura - Ecologia Profonda


Il progresso, l’apparenza e la ricchezza sono i valori caratteristici della nostra società. Non si ricerca l’armonia attraverso la cooperazione, ma la sopraffazione dell’altro per mezzo della competizione. In questo scenario, sempre più globale e per questo meno definibile come solamente occidentale, la Natura, decomposta in tante piccole parti, diviene un semplice oggetto nelle mani degli uomini, i quali, immersi egoisticamente nelle loro occupazioni, probabilmente stanno ignorando il senso della vita.

Quando si pensa all’Ecologia, una disciplina di studio nata nella seconda metà del ‘900, di solito si fa riferimento a tutte quelle misure ambientali necessarie, perché in un certo senso utili all’uomo, come la riduzione dell’inquinamento e la salvaguardia di specie animali e vegetali in via d’estinzione. 

Di fatto, queste proposte sono solamente un accorgimento alla realtà contemporanea, industriale e materialista, caratterizzata dalla presunta superiorità della specie umana rispetto al resto del vivente. La concezione antropocentrica del mondo, che vede nell’essere umano il dominatore del Pianeta, continua ad alimentare una crisi, prima che economica, filosofica ed esistenziale. 

Questo primo concetto di Ecologia, definita “di superficie”, è stata ampliata e superata quando, nel 1973, il filosofo norvegese Arne Naess, coniò il termine “Ecologia profonda”: non si parla più di piccole modifiche dal punto di vista umano, ma di una vera e propria rivoluzione culturale, che segna il passaggio da una prospettiva antropocentrica ad una eco-centrica. Nella “Piattaforma dell’Ecologia profonda”, Naess elenca, in otto punti, le caratteristiche di questa nuova eco-filosofia. Particolarmente significativo è il primo: “il benessere e il fiorire della Terra e delle sue innumerevoli parti organiche/inorganiche hanno un valore in sé (ovvero intrinseco). Questi valori sono indipendenti dall’utilità del mondo non-umano per scopi umani”. 

Così, l’umanità non è collocata al vertice della piramide sociale, ma al pari delle altre specie, ridivenendo parte integrante della Natura nel suo insieme. In questo senso, ciò che conta maggiormente, non sono le singole parti, ma l’armonia del Tutto. Risulta evidente, come questa visione olistica della realtà è in netta contrapposizione, ai caratteri riduzionistici e meccanicistici della modernità.

Bisogna sottolineare, come questa filosofia vuole preservare, al pari delle differenze in Natura, le diversità culturali, minate, oggi più che mai, dalla globalizzazione. In diverse parti del globo infatti, ci sono moltissimi tipi di società che, seppur inconsapevolmente, hanno messo in pratica i principi dell’Ecologia profonda. L’esempio più lampante è rintracciabile nelle culture animiste. Definibili anche come “tradizionali”, queste sono armonizzate totalmente nel proprio habitat, al punto che risulta difficile parlare di ambiente “esterno”. 

Piuttosto, la totalità del vivente, rappresentata dall’idea del “Grande Spirito” immanente nel mondo, diviene un organismo non solamente fisico, ma anche e soprattutto spirituale: “quando dunque parliamo di suolo, non parliamo di una proprietà terriera, di un luogo e neppure del pezzo di terra su cui sorgono le nostre case e dove crescono i nostri raccolti. Parliamo invece di un qualcosa di veramente sacro”. Queste parole di un indiano Cherokee testimoniano come, per il suo popolo, il benessere materiale non conti nulla rispetto alla crescita interiore, determinata dal rapporto diretto con la Terra, o per meglio dire, dalla consapevolezza di essere Natura. 

Questi elementi si ritrovano nel Buddhismo e più precisamente nella teoria anatta, secondo la quale, non essendoci alcuna anima o sé individuale e permanente, tutto è in connessione a tutto, crescendo o declinando insieme: “ciò che importa è la rete degli individui, più che gli individui stessi; la relazione, più che gli elementi collegati; l’intreccio, più che i nodi” (J. Galtung).

In occidente, non volendo andare troppo in là con il tempo, è evidente come il capitalismo, ovvero il modello dominante da almeno due secoli, sia in antitesi rispetto a questi principi. Il progresso, l’apparenza e la ricchezza sono i valori caratteristici della nostra società. Non si ricerca l’armonia attraverso la cooperazione, ma la sopraffazione dell’altro per mezzo della competizione. In questo scenario, sempre più globale e per questo meno definibile come solamente occidentale, la Natura, decomposta in tante piccole parti, diviene un semplice oggetto nelle mani degli uomini, i quali, immersi egoisticamente nelle loro occupazioni, probabilmente stanno ignorando il senso della vita. Intorno alla metà del 1880, Henry David Thoreau, in “Walden, vita nei boschi”, si esprimeva così: “Andai nei boschi perché volevo vivere in profondità e succhiare tutto il midollo della vita. Per non scoprire in punto di morte di non aver mai vissuto.”

Nessun altro pensiero si propone come così attuale e necessario. Tuttavia, oggi nel mondo del consumismo e dello sviluppo materiale, sembra difficile pensare delle prospettive incoraggianti per l’Ecologia profonda. Ma mettere in discussione le proprie certezze ed ampliare i proprie pensieri rappresentano il primo passo necessario per comprendere ed attuare questa filosofia. Numerosi sono i movimenti che stanno lavorando in questo senso, sia a livello locale che globale. Significative, inoltre, sono le esperienze degli Eco-villaggi, che permettono esperienze di vita a contatto con la Natura, in un clima di solidarietà verso gli altri esseri umani. 

In conclusione, è bene ricordare che L’Ecologia profonda non è una dottrina, ma una visione del mondo assimilabile da tutte le discipline. Così si esprime il fisico Fritjof Capra: “l’universo non è visto più come una macchina composta da una moltitudine di oggetti, ma deve essere raffigurato come un tutto indivisibile, dinamico, le cui parti sono essenzialmente interconnesse e possono essere intese solo come strutture di un processo cosmico”. La questione, adesso più che mai, è nelle mani dell’uomo. La risposta, che consiste nel trasformare l’ego-centrismo in Eco-centrismo, deve essere immediata. Del resto, è la Terra che ce lo chiede. 


Ecovillaggi

Il fenomeno degli ecovillaggi è assai più diffuso di quanto si possa immaginare e questo è il segnale inequivocabile che una buona parte di NOI, consapevole della decadenza in cui riversa l'attuale società, si sta già orientando verso uno stile di vita più adeguato..

Vivere in modo olistico ed ecosostenibile, senza inutili preoccupazioni, con rinnovato spirito e a contatto con la natura è possibile. Persino vivere senza denaro è possibile, ma tutto questo può funzionare e si può realizzare solo se la coscienza personale di chi è disposto al cambiamento è abbastanza matura e indipendente da affrontare un simile salto di qualità, sbarazzandosi di tutto ciò che condiziona l'ego e rigettando le tipiche convizioni da "suddito". Benché sia ormai una consuetudine dare un PREZZO a qualsiasi cosa, a questa possibilità, sarebbe forse più opportuno dare un VALORE.

Ritorno alla natura senza padroni

Una scelta scaturita da una precisa presa di coscienza, dalla volontà di trasformare radicalmente la propria esperienza di vita in qualcosa di "nuovo", di stimolante e appagante. Soffermandosi un momento sull'idea di coabitare in una comunità dove tutti collaborano in assenza di gerarchie e nel totale rispetto dell'ambiente, dove si ha il tempo di concentrarsi su se stessi e di riscoprirsi assieme agli altri, è facile intuire come un simile ideale di vita esprima in realtà il "ritorno alle radici" dalle quali ci hanno lentamente strappato.

Vivere in un ecovillaggio

In una società profondamente individualistica, l’idea di vivere insieme condividendo professionalità, esperienze, affetti, risorse economiche e intellettuali certo meraviglia. Abituati a vivere le nostre vite in anonimi condomini, stupisce che sia possibile condividere fuori della cerchia ristretta dei legami parentali l’educazione dei propri figli, la preparazione dei pasti, le pulizie, il lavoro. 

Eppure si tratta di scelte che oltre a migliorare la qualità della vita, perché liberano il tempo e aumentano la socialità, portano a una riduzione sensibile dei costi economici e ambientali. Provate a immaginare quanti televisori, lavatrici, lavastoviglie, scaldabagni, automobili ci sono in un normale condominio. 

Se le stesse persone decidessero di “vivere in comunità” invece di dieci lavatrici, ne potrebbe bastare una, magari più capiente; e così per la caldaia, il televisore o la lavastoviglie e forse invece di dieci auto ne basterebbero tre o quattro.

Non più utopia

Ma un ecovillaggio è qualcosa di più della semplice condivisione di uno spazio e di qualche elettrodomestico, si tratta di condividere una visione e sperimentare concretamente nel quotidiano uno stile di vita in armonia con la natura basato sui valori di solidarietà, partecipazione, ecosostenibilità e sobrietà. 

Provate a immaginare diciotto adulti di età e professionalità diverse: insegnanti, agronomi, ingegneri informatici, agricoltori, baristi, muratori che versano in una cassa comune i propri stipendi e poi una volta prelevato una “paga uguale per tutti” di 150 euro, utilizzano tutte le risorse per le spese comuni (spese mediche, educazioni dei bambini, trasporto, spese energetiche, cibo, abitazioni ecc.). 

Un’utopia? Eppure è quanto avviene nella Comune di Bagnaia, nei pressi di Siena. Provate a immaginare dei bambini che hanno la possibilità di crescere in compagnia di loro coetanei e con il sostegno anche di altri genitori adulti che a turno fanno da animatori fuori degli orari di scuola, e soprattutto che possono giocare nella natura con anatre, conigli, capre. Solo fantasia? No, è quanto avviene ogni giorno presso l’ecovillaggio di Torri Superiore, a Ventimiglia...

Bisogno di cambiare vita

Eppure chi interpreta l’esperienza degli ecovillaggi come una sorta di fuga dalla società o come scelta individualistica si sbaglia. Dietro il vuoto di valori vomitato quotidianamente dalle tv, pubbliche e private, si nasconde un bisogno diffuso di una nuova socialità..

E l’interesse crescente per il movimento degli ecovillaggi è una prova concreta di questo desiderio di cambiamento. La prospettiva di investire la propria vita nell’assurdo ritornello: “lavora-consuma-produci-crepa” sembra affascinare sempre meno.

Le parole di chi vuol cambiare

“Sono felicemente sposato da quattro anni e padre da due - mi confessava Gianni M. di Milano, qualche giorno fa - ma l’idea di passare tutta la mia vita nel mio bellissimo appartamento, senza nessuno rapporto con i vicini e con l’unica prospettiva di aspettare le ferie e qualche ponte per uscire dalla routine quotidiana mi fa capire che ho sbagliato qualcosa. L’idea dell’ecovillaggio mi piace perché penso sia una dimensione più umana soprattutto per i bambini che in questa società hanno sempre meno spazio.”

“Mi sono laureata in ingegneria lo scorso anno - racconta Lucia B. di Napoli - ma non ho nessuna intenzione di mettere il mio sapere nelle mani di qualche multinazionale o di qualche azienda privata che pur di vedere crescere i propri utili è disposta a devastare l’ambiente. Mi piacerebbe potere lavorare a favore non contro la natura e possibilmente in un contesto di confronto e di collaborazione con altre persone. Non sopporto il clima competitivo che si respira nel mondo del lavoro convenzionale. Ho vissuto per due mesi nella comunità di Findhorn e assaporato il piacere di lavorare in armonia e con piacere.”.

“Voglio svegliarmi la mattina e incontrare facce amiche - scrive Marta C. di Urbino in un’accorata e-mail - e soprattutto andare a letto la sera con la coscienza serena di aver fatto qualcosa di utile per il pianeta. Mi sembra assurdo consumare la mia vita e le mie energie per acquistare l’auto, poi la casa, poi la villetta al mare. Mi piacerebbe costruire, insieme ad altri, qualcosa di utile per le generazioni che seguiranno”.

"Antichi Dei" tra Neo-Evemerismo e Culti Astronomico-Cosmologici

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Quando affrontiamo certe tematiche della paleoarcheologia e più in generale ai misteri che accompagnano il nostro remoto passato spesso incrociamo nel nostro percorso di ricerca autori del calibro di Biagio Russo, Mauro Biglino i quali ci presentano una chiave di lettura totalmente diversa ed eterodossa del mito e dei testi sacri universalmente riconosciuti dove l'origine del 'divino', gli 'Antichi Dei' per utilizzare un costrutto molto utilizzato dal Progetto Atlanticus, viene riletta quale questi fossero esseri in carne ed ossa, umani, oppure extraterrestri così come invece avanzato da molti altri appartenenti al filone della “Teoria degli Antichi Astronauti” come per esempio Sitchin, Alford, Von Daniken o Tsoukalos.   

Ho avuto l’opportunità di incontrare Biagio Russo, di colloquiare con lui più di una volta anche su argomenti non propriamente attinenti alla sua pubblicazione e di conoscere la persona oltre che l’autore. Una persona di grande disponibilità ed umiltà, due qualità che raramente si addicono a chi ne sa sicuramente molto più di te. 

Con il suo lavoro, da più parti considerato meritevole di lode, Biagio Russo, intervistato in passato anche da Sabrina Pieragostini, giornalista di Italia 1, laureata in Lettere Antiche presso l’Università di Pavia e divulgatrice tramite il sito blog Extremamente.it, ci conduce per mano in una indagine che si avvale di una disamina precisa sugli indizi e le testimonianze di cui sono latori antichi testi dei popoli antichi, con piglio scientifico e speculativo che avvince il lettore. 

Contenuti verificati e verificabili, ma soprattutto provenienti sempre ed esclusivamente da fonti originali quali testi scritti o curati da autorevoli esponenti accademici di fama internazionale esperti di tutte quelle scienze che sono state necessariamente toccate. Ma anche testi originali molto antichi, tra i quali, in primis, le traduzioni delle tavolette sumero-accadiche ad opera dei padri dell’assiriologia e sumerologia come i professori Poeble, Smith, Kramer, Thorkild, Bottéro, o i professori italiani Furlani, Saporetti e Pettinato.


E' una interpretazione che ai nostri occhi suona come totalmente nuova, un approccio mai azzardato prima. In realtà osservando la storia della filosofia possiamo osservare che un tale approccio metodologico fu già concepito nel IV secolo prima di Cristo e prese il nome di evemerismo.

L'evemerismo consiste nell'interpretazione delle religioni in chiave razionalistica, per cui gli dei sarebbero personaggi realmente esistiti, divinizzati dai posteri per le loro imprese, e i miti sarebbero ricordi, fantasticamente elaborati, di vicende storiche antichissime. Autore di questa teoria fu Evemero di Messina, il quale s'inserisce nella corrente di pensiero greca iniziata con gli antichi logografi, che pretendevano di ricavare notizie storiche dalle tradizioni mitiche delle singole città. 

L'opera di Evemero, dal titolo "sacro resoconto", (piuttosto dell'ambiguo "sacra scrittura") si inserisce in un filone letterario a lui contemporaneo in cui storiografia,etnografia e opportunismo politico erano commisti a scapito del rigore intellettuale che aveva caratterizzato la storiografia del secolo precedente.

L'opera non ci è giunta intera, ma grazie al compendio in Diodoro Siculo (V 41-46 e VI 1) ed ai numerosi frammenti della traduzione di Ennio intitolata Euhemerus, abbiamo un'idea complessivamente adeguata del contenuto di questo scritto, probabilmente diviso in tre libri rispondenti alla descrizione geografica (I), politica (II), teologica (III) di un arcipelago dell'Oceano Indianovisitato dall'autore a seguito di una tempesta che lo portò fuori rotta.

L'evemerismo nella cultura greca rispondeva all'esigenza di giustificare la presenza di un'enorme produzione mitologica, nonché la grande considerazione in cui essa era tenuta; d'altro lato, poiché la speculazione contrapponeva il “mito” al logos come una non-verità rispetto alla verità logica, si sentiva la necessità di ridurre alla logica, ossia di razionalizzare, i miti apparentemente razionalizzabili: un tentativo di ricavare la verità da forme menzognere; era in fondo la ricerca della verità nel senso della filosofia greca. 

Ripreso da Ennio nell'Euhemerus, l'evemerismo fu utilizzato dai primi autori cristiani nella loro polemica antipagana e fu poi ripreso dall'Illuminismo nella sua critica alle credenze religiose. Si denominò neo-evemerismo una corrente esegetica storico-religiosa del sec. XIX, facente capo a H. Spencer, secondo cui ogni religione trae origine dal culto degli antenati. Tali modi di porsi di fronte alla produzione religiosa sono stati superati negli studi storico-religiosi e tuttavia talvolta tentativi di razionalizzazione di tipo evemeristico emergono negli studi storico-filologici. 

Tale chiave di lettura è quella che consente che permette al Progetto Atlanticus di interpretare la figura di Yahweh non come essere divino trascendente, ma entità materiale, fatta di carne ed ossa e sentimenti e comportamenti molto più umani che divini come Mauro Biglino ci ricorda nel seguente estratto dove vengono analizzate le figure degli Elohim Yahweh e Kamosh.

“In Giudici 11 Jefte, comandante delle forze israelite, sta combattendo con Ammoniti, Moabiti… e nella controversia con il re di Ammon dice (versetto 24): “Non possiedi tu quello che Kemosh, tuo elohim, ti ha fatto possedere? Così anche noi possediamo tutto ciò che Yahweh, elohim nostro, ha dato in possesso a noi”.

Yahweh e Kemosh sono evidentemente uguali, hanno gli stessi diritti e gli stessi poteri, nessuno dei due è considerato superiore all’altro.

Mauro Biglino a questo punto ci fa notare ulteriori aspetti molto significativi.

La prima è che questo è uno dei tantissimi errori commessi dai masoreti che hanno attribuito agli ammoniti l’elohim Kemosh che invece era l’elohim dei moabiti... uno dei 1500 errori di questa fattispecie come peraltro segnalato dal Professor Menachemk Cohen dell'Università Bar-Illan di Tel Aviv

La seconda annotazione del Biglino è che questi elohim di rango inferiore combattevano tra di loro per dei fazzoletti di terra, mentre i loro colleghi più alti in grado si occupavano dei grandi imperi.

Tornando alle parole testuali di Biglino: 
“Che Kemosh fosse alla pari di Yahweh lo sapeva anche Salomone, molti decenni dopo; gli fa infatti erigere un luogo di culto così come fa erigere un luogo di culto a Milcom, l’elohim degli ammoniti. Salomone sapeva che era bene tenersi buoni tutti gli elohim che operavano in quel territorio: in fondo Yahweh poteva anche scomparire da un momento all’altro e allora il buon senso diceva che era meglio avere rapporti anche con gli altri”

Un altro aspetto interessante si trova nella stele di Mesha (850 a.C.): iscrizione su basalto nero fatta compilare da Mesha, signore appunto dei moabiti che tra le altre cose contiene il resoconto di una battaglia per la conquista di un centro abitato; alla linea 13 c’è scritto: “andai e combattei, la presi, uccisi tutti, settemila uomini, ragazzi, donne, ragazze e serve, poiché li avevo votati a Astar-Kemosh…”

Nella stele di Mesha, ci ricorda Biglino, si racconta anche che Kemosh dimorava presso i moabiti nei territori conquistati esattamente come la Bibbia dice che Yahweh dimorava con il suo popolo e vi si legge anche di come i moabiti vennero sconfitti nel momento in cui Kemosh era adirato con il suo popolo, esattamente come succedeva ad Israele quando Yahweh era adirato con i suoi.

Insomma i due elohim paiono essere proprio uguali in tutto: stessi diritti, stessi poteri, stesse mire di conquista territoriale, stesse esigenze in termini di sacrifici, stessi ordini di sterminio…

E volendo tale impostazione non si allontana neppure di molto da quanto sostenuto dagli stessi esegeti ebraici studiosi dei sacri testi talmudici i quali affermano (e possiamo leggere una interessante conversazione al riguardo su un forum cui partecipano grandi esperti di tradizione e cultura ebraica)


dove si afferma che 

La Bibbia contiene molti segreti e ciò è noto da millenni agli ebrei attraverso i testi della tradizione orale. Alcune delle cose spiegate da Mauro Biglino sono comuni agli ebrei, ma risultano totalmente estranee e sorprendenti ad un pubblico non ebraico abituato a leggere la Bibbia dalle traduzioni. 

Per esempio il termine ebraico “mal’ach” tradotto in italiano con “angelo” ha spesso come soggetto gli essere umani comuni. Sono relativamente pochi i casi in cui il termine “mal’ach” indica apparizioni fuori dal comune. Questo per l’ebreo che legge la Bibbia in ebraico è assolutamente normale. Gli angeli, nell’ebraismo sono anche le azioni divine, che possono essere portate a termine attraverso vari mezzi, fra cui: comuni cittadini, profeti, microorganismi e cose materiali e queste stesse cose sono dette “mala’achim” ovvero “coloro che svolgono un compito”.

Che la Bibbia parli di ingegneria genetica è noto da sempre agli ebrei attraverso il Talmud, ma gli autori del Talmud non attribuirono mai tali conoscenze scientifiche avanzate ad esseri provenienti da altri mondi, come appunto vuole la linea interpretativa di Mauro Biglino. 

L’ingegneria genetica altro non fu che l’eredità degli umani che vissero prima del diluvio universale narrato nella Bibbia (racconto presente in altre forme in varie altre tradizioni distanti nel tempo e nello spazio). In 1656 anni, la durata dell’era prediluviana si raggiunse un livello scientifico clamoroso, in parte derivante dal fatto che i prediluviani sapevano sfruttare pienamente la memoria e le altre parti del cervello con tutte le specialità cui esso è dotato. In parte perché avevano una vita longeva, conseguenza del tipo di atmosfera diverso che vi era prima del diluvio la quale rallentava notevolmente l’invecchiamento.

Nel Talmud non è narrata la favola degli angeli caduti; questi, come testimoniato da vari scritti ebraici antichi, altro non sono che i governanti di quel mondo, detti “shoftim” = “giudici”. Nella Bibbia i cosiddetti “figli di D-o”, che in ebraico l’originale ha: “benè haelohim”, altro non sono che la categoria della classe dirigente. Gli “elohim”, come vuole l’etimologia di questo termine, altro non sono che i “giudici”. Il termine “ben”, in ebraico spesso designa appartenenza oltre che figliolanza. Pertanto i benè haelohim sono coloro che appartengono alla classe degli elohim ovvero dei giudici umani, assolutamente umani.

Su varie cose Mauro ha ragione: la Bibbia, come egli afferma, non è un libro di religione; ma questo discorso, come d’altronde anche altre cose simili che afferma, non riguardano certamentegli ebrei e l’Ebraismo, né la religione ebraica perché questa è quasi sconosciuta e proibisce severamente il proselitismo. Dunque, dato che non ha mai avuto una volontà di divulgazione, i suoi contenuti rimangono ignoti ai più.

Gli ingegneri genetici erano i “refaim” vocalizabile altrimenti con “rofim”=medici, e non gli “elohim”. Questi c’entrano in parte, nell’era prediluviana per l’appoggio a questi concesso come rappresentanti del potere.

E ci stiamo limitando a riportare le testuali parole dell'esegeta talmudico autore di tale post; parole che a mio parere hanno un peso specifico importante e rivelano cose sconvolgenti, che molti di noi hanno solo teorizzato e ipotizzato sulla base delle ricerche autonomamente svolte, ma che l'esegeta dichiara come note... e note da sempre!


Progetto Atlanticus, riprendendo le parole di Fabio Marino, medico psichiatra con la passione per l'astronomia, gli enigmi della Storia e co-Direttore della webzine “Tracce d'Eternità” e del suo articolo “La Bibbia e gli alieni - Mitopoiesi moderna o neo-Evemerismo sostenibile?”, come penso sia noto, si presenta come un chiaro esempio di sostenitore dell’ipotesi del paleo-contatto. 

Ultimamente, si osserva una spiccata tendenza ad interpretare (o a voler interpretare) gli scritti biblici come un vero e proprio resoconto di contatti con civiltà aliene; e di questa tendenza esistono addirittura diversi filoni, alcuni dei quali prevedono finanche la creazione ex novo del genere umano attraverso manipolazioni genetiche. 

Si tratta, chiaramente, di un’impostazione che filosoficamente possiamo definire “neo-evemerismo” (neologismo coniato dallo stesso Marino, che riprende il principio base del pensiero di Evemero in cui però ad essere divinizzati sarebbero stati gli alieni in visita sul nostro pianeta.

Un notevole tentativo, in epoca recente, di studiare l’Antico Testamento (e segnatamente il Libro della Genesi) in chiave scientifica è rappresentato dall’ottimo ed affascinante “In principio. Il libro della Genesi interpretato alla luce della scienza” (1981, Mondadori), di Isaac   Asimov. In esso, ancora Fabio Marino ci fa notare di come l’autore raffronti le affermazioni contenute nella Genesi biblica con le attuali conoscenze scientifiche, traendone, di fatto, un quadro interlocutorio utilizzando, com’è ovvio, le categorie di un popolo dell’antichità. 

Sempre Marino, nella conclusione del suo articolo avverte dei possibili rischi e limiti nella esclusiva interpretazione in chiave letterale dei testi antichi senza per questo voler sminuire il lavoro di molti ricercatori indipendenti ma sottolineando il fatto che probabilmente un atteggiamento più “scientifico” permetterebbe una messe di risultati più sostenibili o meno esclusivi.

Ciò che ci proponiamo in quest'articolo è, senza troppe pretese, il voler presentare una sorta di superamento dell'approccio neo-everista che integri la chiave antropologica nella lettura degli “Antichi Dei” con la rappresentazione metaforica del 'divino' come espressione di un antico culto pagano astronomico-solare risalente al periodo preistorico precedente alla fine della glaciazione di Wurm e forse a cavallo della stessa. Che è poi la chiave di lettura presentata e seguita dal Progetto Atlanticus nell'interpretazione dei fatti e dei misteri della storia e della preistoria.

I più accesi critici dell'approccio neo-evemerista sono proprio coloro i quali percepiscono un errore sostanziale il considerare il mito come un testo storico o esclusivamente storico. Il mito diventa allora non la mitizzazione di eventi passati, ma un trattato prescientifico espresso attraverso allegorie e altre figure retoriche secondo i modelli letterari culturali delle popolazioni antiche, finalizzato a descrivere e spiegare come è fatto l'universo. Il che non nega a priori l'esistenza di civlità o di superciviltà in un tempo dimenticato dalla storia come anche cerchiamo di fare nell'ambito delle nostre ricerche.

E non vuole dire neppure che gli anti-neo-evemeristi (mi si conceda questo nuovo neologismo) seguano necessariamente la corrente ortodossa e dogmatica di certa scienza. Anzi...

Vale la pena ricordare i preziosi contributi offerti da Giorgio Giordano caratterizzati da un notevole e sempre ricercato rigore scientifico pur confutando molte delle teorie accademiche maggiormente accreditate.

Notevole la sua determinazione nel presentare una analisi critica alla teoria antropologica dell'Out of Africa così come descritto nel seguente estratto del suo articolo “La prima umanità” tratto dal suo blog “La Macchina del Tempo”

Nonostante le numerose scoperte che si sono susseguite nel corso degli ultimi anni, è ancora diffusa la falsa opinione di una preistoria da sussidiario elementare, quella dei cosiddetti uomini delle caverne, visti come esseri estremamente basici e incapaci di un pensiero elevato. Evidenti tracce di civiltà, al contrario, sono riscontrabili già all'apparizione dell’uomo, oltre un milione di anni prima della ben nota esplosione della cultura dell’Homo sapiens, avvenuta a partire da circa 200 mila anni fa. 

La prima umanità, che generalmente definiamo dell’Homo erectus, era decisamente avanzata. Niente esseri ricurvi e capaci solamente di grugniti, niente sassi appena scheggiati usati come utensili e popolazioni in balia della natura. L'uomo è apparso quasi due milioni di anni fa. Homo habilis, Homo rudolfensis, Homo georgicus, Homo erectus e Homo ergaster esistevano più o meno contemporaneamente. 

Pare che questi primissimi appartenenti al genere Homo non siano ominidi distinti, l'uno l'evoluzione dell'altro, ma che in realtà rappresentino solo variabilità somatiche tra individui della medesima specie. L'antichità dei reperti georgiani ha fatto perfino dubitare dell'origine africana della nostra specie. Ormai, peraltro, è ampiamente rivalutata la teoria evolutiva multi-regionale, in alternativa al modello Out of Africa. 

In definitiva, abbiamo forme interfeconde, appartenenti a un unico flusso umano, con inevitabili derive genetiche in occasione di isolamento geografico e viceversa profondi rimescolamenti del Dna a seguito di grandi migrazioni.

Oggi il nome Homo ergaster è spesso attribuito alle popolazioni dei primi uomini stanziati in Africa, mentre con il termine erectus si preferisce indicare la prima umanità asiatica. Homo erectus era in grado di fabbricare sofisticati utensili già 1,8 milioni anni fa. Le impronte di Laetoli, in Tanzania, che risalgono a ben 3,6 milioni di anni fa, appartenute all'Australopithecus afarensis, indicano una postura eretta e un andatura bipede, ma l'arco plantare risulta molto meno accentuato e gli alluci divergenti. Homo ergaster, 1,5 milioni di anni fa, invece, aveva un piede anatomicamente moderno. Ed era un perfetto corridore. Il famoso ragazzo di Turkana non era poi così diverso da noi. Era un dodicenne di 160 centimetri che sarebbero diventati 185 al raggiungimento dell'età adulta. Si può supporre che in linea generale avesse un aspetto assai simile a un uomo moderno, con una struttura corporea paragonabile agli attuali Masai, anche se la capacità cranica era di 880 cm³, che sarebbero diventati 910 cm³ con la maturità, molto meno dell'uomo moderno che in media raggiunge i 1350 cm³. Uomini con una scatola cranica più piccola, è vero, tuttavia già con una mente in grado di elaborare concetti "raffinati".

Circa 60 mila anni fa i Sapiens in arrivo dall'Africa si sono stanziati in massa in Medioriente. Qualcuno si è anche unito ai Neanderthal. Attorno ai 50 mila anni fa quei Sapiens si sono divisi: alcuni sono andati verso l'Europa, altri si sono diretti verso il Caucaso (altri ancora verso mete extraeuropee di cui non ci occupiamo). I primi sono entrati in Europa circa 45 mila anni fa in almeno due forme, Cro-Magnon e Brunn (simile a Combe-Capelle). Invaso il continente, questi due tipi di Sapiens si sono accoppiasti tra loro e con i Neanderthal, e probabilmente anche con l'Homo Heidelbergensis, giacché la genetica è tuttora alla ricerca di un uomo misterioso che ci ha fornito diversi geni. 

Grazie a una certa stabilità climatica, tra i 35 e i 22 mila anni fa si è sviluppata la raffinata cultura paleoeuropea delle Veneri, con una popolazione verosimilmente caratterizzata dalla mutazione del rutilismo (capelli rossi e lentiggini) e da grandi dimensioni fisiche, a cui si attribuisce l'aplogruppo I. Circa 23 mila anni fa è tornato il freddo intenso, durato poi sino a 17 mila anni fa. L'aplogroppo I in quel periodo si è ritirato verso sud. Nell'area franco-ispanica e lungo i bordi della calotta glaciale è sorto l'aplogrupopo I1, mentre nell'area mediterranea e nei Balcani l'aplogruppo I2. Nel frattempo le popolazioni rimaste ai confini d'Europa (che erano di tipo cromagnoide) hanno sviluppato l'aprogruppo R1, che sarà poi degli indoeuropei.

Ma   in altre sue pubblicazioni a presentare la fotografia di una società umana prediluviana diversa da quella cui siamo abituati a pensare. Una civiltà globale di decine di migliaia di anni fa che, esattamente come noi, si prodigavano di comprendere le dinamiche del cosmo e rispondere a quelle ataviche domande del “chi siamo?”, “cosa facciamo?” e “dove andiamo?” cercando di dare risposta attraverso gli strumenti e i modelli culturali dell'epoca, producendo miti cosmogonici descriventi i movimenti degli astri e del Sole, venendo così a definire un culto cosmologico, astronomico, solare tradotto nei miti che verranno tramandati poi nei secoli/millenni a venire. 

E' ancora Giorgio Giordano a ricordarci che, sotto questa veste, il mito diventa pertanto una complessa narrazione incentrata sugli eventi celesti osservabili dagli antichi uomini appartenenti a questa civiltà globale, descritti sotto forma di avventura terrena, con protagonisti Dei, chimere o eroi. 

I moti del Sole, della Luna, dei pianeti e delle costellazioni, vengono incarnati in una storia che a prima vista sembra dire delle cose, ma che in realtà vuole significare tutt'altro. Questo perché la mitologia si esprime attraverso l'allegoria. Per noi moderni è difficile comprendere il motivo per cui gli uomini preistorici che inventarono i miti, per parlare di astronomia e di altri “saperi” ancestrali, utilizzarono immagini simboliche e non il linguaggio descrittivo che invece caratterizza i nostri trattati scientifici.

In quest'ottica la lista reale di Sumer che più volte abbiamo citato nei nostri precedenti lavori assumerebbe tutt'altro significato. Un significato astronomico legato ai cicli precessionali del pianeta Terra.



Il prof. Santillana e la dott.ssa Hertha von Dechend nel loro famoso trattato ''Hamlet's Mill'' (Il Mulino di Amleto) sostengono fermamente questa tesi. Essi affermano che a partire almeno dal 6.000 a.C. nel mondo esisteva un complesso di conoscenze astronomiche scientifiche e che tale dottrina utilizzava apposite convenzioni mitologiche: gli dei sono pianeti, gli animali sono costellazioni (zodiaco significa “quadrante di animali”) ed i riferimenti topografici sono metafore per l’ubicazione, in genere del Sole, nella sfera celeste; gli antichi sembravano inoltre usare un ''codice numerico precessionale'' presente in molti miti e nell'architettura sacra di tutto il mondo. 

Gli astronomi moderni hanno calcolato che un grado del movimento precessionale si compie in 71,6 anni. I miti essendo storie basate su simbologie umane, animali ecc. difficilmente avrebbero potuto adottare come riferimento un tale numero decimale, ma potevano servirsi dello stesso numero arrotondato all'intero più vicino. 

Il numero ''dominante'' del codice precessionale risulta essere infatti il 72. Si possono poi ottenere tutta una serie di altri numeri collegati: si può ad esempio dividere per due ed ottenere il 36, sommargli quest'ultimo per originare il 108, moltiplicare questi numeri per 10, 100, 1.000 e formare 360, 3.600, 36.000 oppure 720, 7.200 ecc.; il 108 (un grado e mezzo del ciclo precessionale) può essere diviso per 2 e dare 54 (con i suoi multipli 540, 5.400 ecc.). Molto importante era anche il numero 2.160 (numero di anni necessario al Sole per attraversare completamente un segno zodiacale nel movimento precessionale); diviso per 10 forma il 216, moltiplicato per 2 dà 4.320 e quest'ultimo moltiplicato ancora per 10, 100, 1.000 origina 43.200, 432.000, 4.320.000 ecc.

I numeri del codice precessionale affiorano in continuazione, nel mondo antico, sotto molteplici forme.

In un mito nordico che descrive l'Apocalisse, si può calcolare che i guerrieri che escono dal Walhalla per combattere contro il ''Lupo'' sono 432.000; lo storico babilonese Berosso (3° secolo a.C.) attribuì ai mitici sovrani di Sumer un regno totale di 432.000 anni; lo stesso Berosso fissò la durata del periodo compreso fra la Creazione e la Distruzione Universale, in 2.160.000 anni; nell'altare del fuoco indiano, nell'Agnicayana, ci sono 10.800 mattoni; nel più antico dei testi vedici, il noto Rig-Veda, ogni strofa è composta da quaranta sillabe per un totale di 432.000 .

Ricordiamo inoltre che la Grande Piramide costituisce una rappresentazione dell'emisfero terrestre in scala 1:43.200 e che il numero 216 si trova rappresentato nelle misure della Camera del Re. 

Nel calendario Maya del Lungo Computo figurano le seguenti formule: 1 Katun = 7.200 giorni; 1 Tun = 360 giorni; 2 Tun = 720 giorni; 5 Baktun = 720.000 giorni; 5 Katun = 36.000 giorni; 6 Katun = 43.200 giorni; 6 Tun = 2.160 giorni; 15 Katun = 2.160.000 giorni. 

Nella cabala ebraica ci sono 72 angeli attraverso i quali i Sephiroth ( i poteri divini) possono essere avvicinati o invocati; la tradizione rosacrociana parla di cicli di 108 anni in relazione ai quali la confraternita segreta fa sentire la propria influenza. 

In India i testi sacri chiamati Purana parlano di quattro età della terra chiamate Yuga che insieme formano 12.000 ''anni divini''; le rispettive durate di queste epoche sono: Krita Yuga = 4.800 anni; Treta Yuga = 3.600 anni, Davpara Yuga = 2.400 anni; Kali Yuga = 1.200 anni; inoltre come nel mito di Osiride ( che vedremo in particolare), il numero dei giorni che compongono l'anno è fissato in 360, un anno dei mortali corrisponde ad un giorno degli dei e un anno degli dei equivale a 360 anni dei mortali. Se ne deduce che il Kali Yuga, consistente in 1.200 anni degli dei, ha una durata di 432.000 anni mortali, un Mahayuga o Grande Anno (formato da dodicimila anni divini contenuti nei quattro Yuga minori) equivale a 4.320.000 anni dei mortali; mille di questi Mahayuga (che formano un Kalpa o giorno di Brahma) equivale a 4.320.000.000 anni dei mortali.

La mitologia egiziana narra della dea Nut (il cielo), moglie del dio del Sole: Ra, che era amata dal dio Geb (la Terra). Quando Ra scoprì la tresca, maledisse la moglie e proclamò che non avrebbe dato alla luce un figlio in nessun mese dell'anno. Allora il dio Thor, anch'egli innamorato di Nut, giocò a tavola reale con la Luna e le vinse cinque giorni interi che aggiunse ai 360 che all'epoca formavano l'anno. Nel primo di questi cinque giorni fu generato Osiride. Si legge inoltre che l'anno era costituito da 12 mesi (12 è il numero dei segni dello zodiaco) di 30 giorni (30 è il numero dei gradi assegnati lungo l'eclittica a ciascun segno zodiacale).

Nel mito di Osiride si narra che durante uno dei suoi viaggi compiuti nel mondo per diffondere i benefici della civiltà alle altre regioni della Terra, 72 uomini della sua corte, capeggiati da Seth, cospirarono contro di lui. Al suo ritorno lo invitarono ad un banchetto dove misero in palio un forziere di legno e d'oro per colui che fosse riuscito ad entrarvi con l'intero corpo. Quel forziere era stato costruito proprio perle misure di Osiride, che vi entrò perfettamente. I cospiratori chiusero il forziere, inchiodarono il coperchio e gettarono il tutto nel Nilo. 

Il forziere non affondò, navigò sul Nilo (ricordate la storia di Mosè abbandonato sulle acque dello stesso fiume?) e fu recuperato da Iside, moglie di Osiride. Seth , tuttavia, ritrovò il forziere nascosto nel frattempo da Iside e tagliò il corpo del re in quattordici pezzi che sparse tutt'intorno. Ancora una volta Iside intervenne, recuperò i pezzi e grazie alle sue potenti arti magiche, riunì le parti del corpo del marito che, in condizioni perfette generò Horus (che poi vendicherà il padre uccidendo lo zio Seth), per poi subire un processo di rinascita astrale che lo portò a diventare il dio dei morti e dell'oltretomba.

Ad Angkor Thom, il muro del Bayon è sormontato da 54 torri, ognuna con quattro figure scolpite per un totale di 216 raffigurazioni; il cortile principale è circondato da un muro che presenta cinque porte di accesso ognuna delle quali attraversate da altrettanti ponti costeggiati da una doppia fila di imponenti figure scolpite: 54 deva e 54 asura (totale 108 immagini per ponte e complessivamente 540 raffigurazioni). Il prof. Santillana e la dott.ssa Hertha von Dechend affermano che tutta Angkor Thom costituisce ''un colossale modello del ciclo precessionale''.   

Anche i sette saggi della mitologia indù diventerebbero in questa ottica una metafora del moto apparente della costellazione dell'orsa maggiore appunto composta da sette stelle. La lenta e instancabile rivoluzione apparente delle sette stelle dell’Orsa attorno al Polo Nord, quale moto maestoso del trainare, ha nei secoli suggerito all’uomo l’idea di un carro e della sua ruota; i sumeri la chiamavano il Lungo Carro, nella Grecia arcaica erano associate alla Ruota di Issione rotante appunto attorno al polo, mito che sembra derivare dal dio sanscrito Ashivan, il cui nome significa Auriga dell’Asse: Asse, Aksha, era la parola sanscrita per ruota, che i greci importarono come Ixion o Issione.

Seguendo il filo di questi pensieri, potremmo dire che il Grande Carro o Ruota della vetta del Nord (Septem triones = sette buoi, settentrione) traina con i suoi Sette Raggi l’aratro della Vita: l’evidenza delle sette Stelle dell’Orsa Maggiore è di fatto la Dimora celeste dei Poli, la zona che comprende l’Orsa Minore (polo attuale planetario) ma soprattutto il Drago (polo nord solare e delle eclittiche).

Rivelatrici e degne di nota sono inoltre le figure ispirate al dinamismo della Costellazione: il “Carro di Artur” e la svastica. 


Ciò che impariamo da tutto ciò è che gli uomini hanno scoperto verità fondamentali studiando lo “spazio aereo” situato perpendicolarmente sopra le loro teste, appunto il luogo delle costellazione circumpolari. A cominciare dalla comprensione del meccanismo del Tempo e del moto precessionale, che si rende evidente con lo spostamento della Stella Polare, che segna il Nord celeste. 

Il fatto che l'isola o il continente polare siano mitici è perfettamente comprensibile dando un'occhiata alla cartina disegnata da Mercator nel 1606: in mezzo al Mare Artico compare un'enorme terra quasi perfettamente circolare, con “quattro fiumi”, come quelli dell'Eden, disposti a forma di svastica, che tradizionalmente è il simbolo del Polo e della rotazione terrestre. Pure Oronzio Fineo, anche se con meno dettagli, nel suo portolano del 1531 rappresenta questa stessa terra circolare tagliata in quattro spicchi, come assi cardinali, al centro dell'Artico. 

Terre che non sono mai esiste realmente e che vogliono semplicemente essere lo specchio terreno di un continente “celeste”, paradisiaco o “che sta sopra”, secondo la ben nota equazione “così in cielo come in terra”.

Entriamo qui nell'ambito dell'archeoastronomia e più specificatamente di quella del secondo tipo, ovvero lo studio degli allineamenti solari, lunari o stellari degli antichi monumenti. Per esempio molte prove dimostrano che Stonehenge rappresenti un antico "osservatorio astronomico", sebbene l'ambito del suo utilizzo sia ancora, tra i ricercatori, oggetto di disputa. Certamente Stonehenge e molti altri monumenti antichi sono allineati con i solstizi e gli equinozi. In area mediterranea risalta l'acropoli di Alatri, la cui forma riproduce alla perfezione la costellazione dei Gemelli al momento del solstizio d'estate. Anche il complesso della Grande Piramide di Giza sarebbe allineato con le stelle della cintura di Orione, rispecchiando il significato assegnato a quella costellazione dagli antichi egizi.

Più in generale L'archeoastronomia è lo studio di come gli antichi interpretavano i fenomeni celesti, come li utilizzavano e quale ruolo avesse la volta celeste nelle loro culture. Clive Ruggles suggerì che questa disciplina scientifica non dovesse essere limitata solo allo studio dell'astronomia antica, ma alla ricchezza di interpretazioni che gli antichi trovavano nella volta celeste.Viene spesso gemellata con l'etnoastronomia, lo   studio antropologico dell'osservazione del cielo (skywatching) nelle società contemporanee. 

Questa disciplina scientifica è anche strettamente legata all'astronomia storica, che utilizza documenti storici degli eventi celesti, e alla storia dell'astronomia, che usa documenti scritti per valutare le tradizioni astronomiche del passato.

L'archeoastronomia utilizza diverse metodologie per svelare le ricerche del passato includendo archeologia, antropologia, astronomia,statistica, probabilità e storia. Poiché questi metodi sono diversi, ed usano dati provenienti da differenti discipline, l'archeoastronomia è una scienza interdisciplinare. Il problema di integrare tutti questi dati in un sistema coerente ha impegnato per molto tempo gli archeoastronomi.

L'archeoastronomia colma le nicchie complementari dell'archeologia del paesaggio e dell'archeologia cognitiva[senza fonte]. Evidenze oggettive e la loro connessione con la volta celeste possono rivelare come un ampio paesaggio possa essere integrato dentro credenze riguardanti i cicli della natura, come l'astronomia Maya e la sua relazione con l'agricoltura. Altri esempi che hanno integrato le conoscenze e il paesaggio comprendono studi dell'ordine cosmico alla base dell'orientamento di strade e costruzioni negli insediamenti.

L'archeoastronomia è una disciplina che può essere applicata in tutte le culture e a tutte le epoche. Le interpretazioni della volta celeste sono differenti da cultura a cultura. Ciò nondimeno, quando si esaminano antiche credenze, vi sono metodi scientifici che possono essere applicati trasversalmente a tutte le culture. 

è forse la necessità di bilanciare gli aspetti sociali con gli aspetti scientifici della paleoarcheologia che portò Clive Ruggles a descriverla come un: "... un campo di lavoro accademico di alta qualità da un lato, ma dall'altro con speculazioni senza controllo e al limite della follia.

Durante gli anni sessanta, Alexander Thom fece una rigorosa ricerca sui monumenti megalitici inglesi, pubblicando i risultati sul "Megalithic sites in Britain".

Oltre a presentare la sua teoria della iarda megalitica, argomentò anche, con dati statistici, che la gran parte dei monoliti in Britannia sono orientati come veri e propri calendari. A suo avviso i monumenti indicano punti sull'orizzonte dove il Sole, la luna e le principali stelle sorgono agli estremi stagionali come il solstizio d'estate e d'inverno e gli equinozi d'autunno e primavera. 

E' ragionevole pensare che la stessa definizione dei primi calendari umani, ivi compreso quello in uso presso le culture mesoamericane, olmeche prima fino ad arrivare al più noto calendario Maya, siano frutto dell'osservazione degli astri.

L'interrogativo che veniamo a porci è come l'uomo preistorico sia giunto a questa incredibile capacità di calcolare in modo così preciso fenomeni astronomici di lunghissimo periodo come la precessione degli equinozi che sappiamo essere caratterizzata da un tempo pari a circa 26.000 anni e, potrei sbagliarmi, ma sfido chiunque di voi a comprendere questo moto astronomico con la sola osservazione empirica degli astri.

Un conto è la determinazione dei tempi di rotazione (ciclo giorno/notte) e di rivoluzione (stagioni) grazie all'osservazione dei cicli lunari e dei moti degli astri in quanto il loro ciclo si ripete più volte nel corso di una generazione di individui. Altro conto è un ciclo precessionale che si completa nell'arco di 26mila anni il che significa che la civiltà dell'uomo che la storia ricordi non ha avuto tempo di assistere... a meno che essa non sia molto, ma molto più antica.





L'accusa che spesso si rivolge alla corrente dei neo-evemeristi consiste sul fatto che questo si fondi sull'idea che gli antichi fossero poveri ignoranti, che hanno mitizzato le cose che non capivano in una rivisitazione del concetto del culto del cargo. Quando il mito invece è espressione di menti raffinate che descrivevavno l'universo e le sue regole attraverso allegorie, non è originato da un'incomprensione, ma da una profonda consapevolezza.

Ed ecco che questa giusta accusa e critica nei confronti dell'approccio evemerista diventa pretesto e occasione per definire quale sia l'approccio e la chiave di lettura che noi di Atlanticus vogliamo adottare nello studio delle tematiche quali paleoantropologia, archeoastronomia e quant'altro.

Ed è una posizione che integra l'antropomorfismo del divino e il culto astronomico derivante da una erudita conoscenza di fenomeni non solo cosmici, ma anche metafisici, quantistici, che gli antichi uomini avevano già compreso migliaia (forse decine di migliaia di anni fa)

Io invece voglio qui cercare di proporre il tentativo di un approccio inclusivo di entrambe le posizioni.

Alla luce degli studi e delle ricerche avanzate e presentate in codesto articolo è ragionevole pensare che il mito antico, così come quello classico, sia la rappresentazione in chiave allegorica di erudite conoscenze preistoriche in ambiti quali astronomia, metafisica, scienza e cosmologia. Basti pensare ai testi Veda e alle analogie che vi si riscontrano con le più recenti scoperte in ambito della fisica e della meccanica quantistica che ormai aprono la porta anche a tematiche più propriamente spirituali filosofiche come concetti quali coscienza, anima, spirito. Vedasi le ricerche di Penrose e Hameroff concernenti alcune particolari strutture cerebrali, dette microtubuli, sede della coscienza e delle correlazioni tra queste e la realtà percepita (o realizzata) dai nostri sensi corporei.

Ma se il mito fosse questo si potrebbe giungere alla conclusione che nessuno degli “Antichi Dei” che spesso abbiamo coinvolto nella spiegazione delle vicende umane del remoto passato così come del tempo attuale nel tentativo di disegnare quell'ipotetica “Scacchiera degli Illuminati”, quel “Mosaico della Verità” che tanto sta a cuore al Progetto Atlanticus non siano mai realmente esistiti in quanto pura allegoria di pianeti, stelle e costellazioni.

Nessun Enki, nessun Enlil sarebbero mai esistiti. Nessuna ibridazione, nessun Player A, B, C o quant'altro. Nessun Anunnaki, Giganti, Titani, Yahweh e compagnia cantante? Tutto da rifare?!

Come conciliare questo principio con gli articoli di Adriano Romualdi sull'antropomorfismo delle divinità del mondo classico e non solo caratterizzate da alcuni tratti comuni come il biondismo e il rutilismo presenti in pressoché tutti i miti di culture antiche lontane tra di loro sia nel tempo come nello spazio se questi figure divine fossero solo allegorie di moti astronomici complessi come i cicli precessionali?

La risposta va forse letta nel tempo e nell'evoluzione temporale della cultura di quella civiltà globale prediluviana la cui esistenza non viene negata come abbiamo visto né dai neo-evemeristi, né dagli anti-evemeristi.

Suggerisco il seguente esempio. Ipotizziamo che tra 10mila anni venisse ritrovato la pagina di un testo scolastico di geometria di oggi sul “Teorema di Pitagora”.

Qualcuno potrebbe disquisire sulle caratteristiche divinatorie di Pitagora. Altri sulle sue origini, altri ancora potrebbero concludere che Pitagora non sia altro che una 'metafora' scritta per descrivere una conoscenza matematica-geometrica di un'epoca perduta.

Ecco nuovamente il conflitto intellettuale tra neo-evemeristi e anti-neo-evemeristi apparentemente inconciliabili. Ma come il Teorema di Pitagora racconta sia di una conoscenza così come di un personaggio realmente esistito allora anche i miti antichi parlano sia di conoscenze astronomico-cosmologiche sia di personaggi realmente esistiti.

Ciò che consideriamo noi del Progetto Atlanticus, che è poi la conclusione a cui siamo giunti ascoltando le diverse posizioni presentate da ricercatori provenienti da diverse scuole è che ci fu un tempo molto antico, un tempo che la storia colloca nella preistoria, durante il paleolitico, prima della glaciazione di Wurm, durante il quale esisteva una civiltà di esseri umani, il cui percorso evolutivo è ancora da chiarire all'interno del dibattito Out of Africa sì, Out of Africa, osservatori delle stelle e del cosmo, abili navigatori e in possesso di determinate, specifiche e avanzate conoscenze in ambito astronomico, architettonico e culturale. Uomini eruditi che codificarono il loro sapere in una serie di opere anche strutturali come piramidi e siti megalitici, rifacendosi alle misurazioni dei mutamenti celesti, calendari o quant'altro.

Persone che, plausimibilmente avevano caratteristiche fenotipiche particolari e comuni, come i capelli rossi, l'alta statura, i capelli biondi o gli occhi azzurri così come testimoniato dalle descrizioni registrate nei testi sacri e nelle leggende dei popoli antichi e supportato da diverse scoperte archeologiche che hanno riportato alla luce esemplari mummificati di individui proprio con le medesime caratteristiche e con tratti caucasici laddove non ci si sarebbe mai aspettato di trovarne e di cui abbiamo parlato approfonditamente nel nostro precedente articolo “Out of Atlantis, Una Storia alternativa”.

Diffusione della caratteristica capelli rossi in Europa

Ed è tra questi uomini che io non posso fare a meno di pensare alla presenza di un Enki, di un Enlil, di un Yahweh, di un Viracocha, dei sette saggi indù, e di tutti gli altri Elohim (o Anunnaki)   in carne ed ossa, realmente esistiti a cavallo della fine dell'ultimo periodo glaciale di Wurm che si prodigarono in seguito di civilizzare nuovamente un mondo devastato dal violento cataclisma ricordato come Diluvio Universale, da uno di essi, o da diversi di essi considerando la possibilità di diversi cataclismi locali successivi a uno globale presumibilmente avvenuto intorno ai 13000 anni fa come testimoniato da evidenze di un impatto meteoritico in quel tempo supportato peraltro dall'interpretazione talmudica di cui ai primi paragrafi del presente articolo.

Abbiamo pertanto in questa interpretazione dei fatti la coesistenza di uomini culturalmente avanzati (se non anche tecnologicamente) artefici di una civiltà tanto simile in molti aspetti quanto diversa in altri dalla nostra e autori di un complesso sistema di conoscenze astronomiche e cosmologiche che in una seconda fase venne mitizzato dai popoli del post-diluvio i quali associarono allegoricamente le descrizioni di questi saperi quali cicli precessionali, equinozi, solstizi, costellazioni con quegli stessi nomi di coloro che per i post-diluviani dovevano essere visti come 'divinità' secondo la logica del culto del cargo.

Coloro che un tempo furono uomini nel mito diventano allegoria di quel sapere che quegli stessi uomini del passato avevano scoperto. Questo non significa che non siano mai esistiti.

Significa solo che ci dobbiamo abituare a leggere il mito su tre diversi piani di lettura:
storico (legato alla narrazione di fatti realmente accaduti in perfetto neo-evemerismo) 
scientifico (legato alla rappresentazione allegorica di saperi astronomico-cosmologici)
metafisico (legato ad aspetti spirituali cui oggi lentamente ci stiamo riavvicinando grazie alle porte aperte dalla fisica quantistica)

E da questo punto di vista, non stiamo imparando nulla di nuovo, se non il riscoprire saperi di migliaia, forse decine, forse centinaia di migliaia di anni fa.




Fonti:

I Rinnegati delle Scuole Misteriche

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La parola “Illuminati” è diventata un termine generico per indicare i reggenti “de facto” del Pianeta Terra. La definizione è fondamentale perché le parole “Cospirazione” e “Illuminati” sono diventate, esse stesse, termini codificati per le macchinazioni occulte (nascoste) dei Poteri Forti. Con l’avvento di internet, quella che una volta era considerata “conoscenza esoterica” è ora consultabile da tutti. Anche i cowans – un termine dispregiativo massonico per i non iniziati – e i goys – un termine dispregiativo yiddish per i non ebrei – stanno cominciando ad apprendere i rituali di magia nera praticati dagli illuminati in tutto il pianeta.

Gli Illuminati sono coloro che controllano le infrastrutture politiche, economiche e sociali del pianeta. Secondo i loro ragionamenti, si considerano gli (auto) proclamati governanti del Pianeta Terra. Chiamati anche “Olympians” (dei dell’Olimpo) e “Vento Conquistatore dei Moriah”, gli Illuminati sono una “rete” di “linee di sangue” interconesse che si definiscono “La Famiglia” o “La Cerchia”. Il satanismo intergenerazionale, o, più precisamente, il culto di Lucifero, rappresenta la loro struttura di credenze primaria.

Inoltre, non dimentichiamoci un’altra delle loro perversioni… Gli Illuminati si considerano una tribù a parte – un orgogliosa super-razza che fa risalire la sua origine a Nimrod. Per aumentare la confusione, la gente, a volte, si riferise agli Illuminati come alla società segreta bavarese che infiltrò la Massoneria.

La comprensione corrente delle pratiche degli illuminati deriva dalla conoscenza dei sopravvissuti alle pratiche di controllo mentale come Arizona Wilder, Cathy O’Brien, autrice di Trance Formation of America, Brice Taylor, autore di Thanks for the Memories, Kathleen Sullivan, autore di MK, e Annie McKenna, autrice di Paperclip Dolls.

I loro racconti descrivono un gruppo nascosto, dietro le quinte della società, il cui obiettivo primario è quello di tenere la popolazione “produttiva” e sotto controllo. Questa cultura parassita “illuminata” utilizza anche la programmazione mentale per mantenere i membri della propria famiglia, così come il resto della società, intrappolati in una griglia di conformità.

Diversi autori hanno introdotto ulteriori errori nelle loro “rivelazioni” interpretando la storia attraverso filtri che riflettono il proprio indottrinamento politico e religioso.

Ad esempio, le opere di Fritz Springmeier e Cisco Wheeler, pur essendo straordinariamente informative per quanto riguarda le sociopatiche tradizioni degli Illuminati ed il comportamento psicopatico, che include la tortura, i sacrifici umani e il controllo mentale, sono tuttavia permeate da elementi religiosi che non fanno altro che aumentare la confusione a riguardo. Allo stesso modo anche gli scritti di John Coleman, autore de “Il Comitato dei 300″ e di Eustace Mullins, autore de “The World Order“, i quali descrivono le varie organizzazioni degli Illuminati, che esercitano un controllo politico e religioso, con l’obiettivo dichiarato di stabilire un Nuovo Ordine Mondiale ( Un governo mondiale), presentano una rigida mentalità cristiana fondamentalista, che mina la loro credibilità. La più grande confusione, tuttavia, sembra risiedere nel collegamento tra gli Illuminati e gli gnostici. Autori come Nesta Webster, nei loro libri sulle società segrete, sostengono che gli Illuminati derivino dagli gnostici. In altre parole, basano le loro tesi, sul fatto che Illuminati e Gnostici sarebbero in antitesi al cristianesimo. Questo conflitto fa poi riferimento alla perenne battaglia tra gli gnostici, che rappresentano le scuole di mistero e la Chiesa cattolica romana che ha combattuto ferocemente ogni misticismo e concetto metafisico.

Questa animosità è oggi evidente nel sistema di credenze dei cristiani evangelici, che vedono tutte le società segrete e gli gnostici come adoratori del diavolo e ignoranti. Non è così … Le Scuole Misteriche erano comunità mistiche pre-cristiane e soprattutto centri educativi, cardine di una fervente attività culturale.

GNOSTICI CONTRO ILLUMINATI

Il mitologista comparativo John Lamb Lash, massima autorità mondiale in materia di gnosticismo e tradizioni esoteriche, è l’autore del libro “Not In His Image: Gnostic Vision, Sacred Ecology and the Future of Belief”.

Secondo Lash, gli adepti delle scuole misteriche (i cosiddetti gnostici) erano, originariamente, membri di un ordine sciamanico/iniziatico il cui scopo era quello di guidare l’umanità alla ricerca dell’evoluzione spirituale / umana.

La polemica iniziò quando alcuni adepti delle scuole misteriche cominciarono ad abusare della loro conoscenza mistica sfruttandola nella manipolazione del comportamento, nella programmazione psicologica e nelle tecnologie di controllo mentale. In sostanza, gli Illuminati abbandonarono il loro ruolo di maestri diventando ingegneri sociali e consulenti della classe dominante. Ciò coincise con la nascita delle religioni patriarcali abramitiche del giudaismo, dell’islam e del cristianesimo, le quali richiesero, ovviamente, tecniche di controllo mentale per mantenere allineati i loro seguaci (“credenti”). “Attorno al 4000 a.C., con la nascita della civiltà urbana, nel Vicino Oriente, alcuni membri dell’Ordine, decisero di applicare, certi segreti iniziatici, all’ingegneria sociale e al governo”, scrive Lash, descrivendo, inoltre, l’involuzione spirituale del Kali Yuga. “Divennero i consulenti dei primi teocrati nelle nazioni patriarcali, gestendo, da dietro le quinte, lo show.”

“Le loro “vittime” vennero sistematicamente programmate a credere che discendessero dagli dei”, continua Lash. “Gli Illuminati inaugurarono riti elaborati, che erano in realtà sistemi di controllo mentale applicati alle masse attraverso la simbologia mistica e l’autorità regia.” La civiltà ebbe bisogno, fin dall’inizio, del cosiddetto “pugno di ferro nel guanto di velluto” e gli Illuminati erano lì per garantire la conformità. “I rituali regali erano distinti dai rituali di iniziazione che portavano all’illuminazione e alla consacrazione a Dio”, scrive Lash. “Il loro scopo non era formativo, serviva semplicemente a gestire la popolazione”.

Le tendenze “illuminate” verso una forma di controllo maniacale, sono evidenti ormai ovunque, la loro incapacità nel gestire il sistema finanziario mondiale sta spingendo l’intero pianeta al collasso economico.

“Gli gnostici evitarono di assumere qualsiasi ruolo nella politica perché la loro intenzione non era quella di cambiare la società, ma di produrre individui esperti e ben bilanciati, in grado di creare una società abbastanza sana da non aver bisogno di una gestione esterna.” “L’intenzione degli iniziati dissidenti, nel voler controllare segretamente la società, si basava sul presupposto che, secondo loro, gli esseri umani non fossero abbastanza onesti e genuini per gestire, in autonomia, una società sana.” Naturalmente Lash è troppo “liberale” nel considerare gli Illuminati come dei “dissidenti”, in quanto la loro abiura spirituale, nei confronti dei Misteri, fu più un tradimento ai valori universali della Creazione, che un semplice atto di ribellione.

“La differenza di vedute sul potenziale umano fu la forza principale che fece crescere la divisione fra i magi”, ovvero gli Illuminati furono talmente arroganti nel giudicare, da credersi indispensabili, tanto da considerarsi niente meno che un “dono di Dio”

“E’ abbastanza semplice desumere, quindi, che questo modello cognitivo promosse le attuali strutture gerarchiche.”

La cosiddetta elite globale tiene sotto controllo il pianeta utilizzando marionette illuminate come politici, militari, agenti di polizia e leader religiosi, la cui funzione è quella di essere i pastori della società (a guardia delle pecore)… finchè non saranno pronti alla guerra finale, tra clan rivali, per il completo dominio della Terra.

Le persone che si comportano come pecore, sono coloro che soffrono di più a causa della loro programmazione. Intanto, le marionette degli Illuminati, ci fanno credere che il mondo va bene così com’è. Questo lungo disaccordo ideologico tra le Scuole Misteriche, a quanto pare, ha provocato le iniquità che si sono susseguite (e si susseguono) sul nostro pianeta. “Il programma degli Illuminati era (ed è tuttora) fondamentale per il patriarcato e per la sua copertura, le religioni tradizionali”, scrive Lash, il quale descrive la cospirazione internazionale che ha conquistato il mondo.

“Anche se non si può affermare con esattezza che gli adepti deviati, conosciuti sotto il nome di Illuminati, crearono il patriarcato, certamente lo controllano”, continua Lash. L’abuso della conoscenza iniziatica per indurre stati schizofrenici, creare e manipolare personalità multiple all’interno della stessa persona e instillare determinati comportamenti attraverso la suggestione post-ipnotica (aka produrre Candidati Manciuriani) continua al giorno d’oggi, con conseguenze davvero sconvolgenti per il mondo intero. “ 

“L’iniziazione mira a distruggere i confini dell’Ego in modo da stabilire un rapporto più profondo con la natura e NON abbassare la coscienza dell’Io, in modo che il soggetto possa essere programmato usando il potere della suggestione ed altri metodi psicodrammatici. Questi strumenti di modificazione comportamentale sfruttati dagli Illuminati vennero severamente vietati nei Misteri studiati dagli gnostici. “

I metafisici pervertiti conosciuti come gli Illuminati hanno strutturato la società odierna in modo da riflettere la manipolazione del genere umano attraverso sistemi di credenze religiose/politiche e con l’incessante programmazione dei mass media perpetrata attraverso le “news” e l’”intrattenimento”.

LA SCONFITTA DEGLI ILLUMINATI

Come rinnegati dalle scuole misteriche i quali hanno tradito i Misteri e sovvertito la Gnosi (“conoscenza”), il piano degli Illuminati per dividere, conquistare e dominare il mondo ha funzionato abbastanza bene perché le persone sono facilmente programmabili in sistemi di credenze in contrasto con il proprio benessere. Come osserva Lash, “Abili nella teologia e nella dialettica, gli Gnostici sono stati in grado di confutare le varie convinzioni fanatiche, ma sono stati incapaci di difendersi contro la violenza (programmata) di quelle convinzioni.”

In altre parole, la teologia apocalittica giudeo-cristiana sponsorizzata dagli Illuminati fu responsabile della distruzione delle scuole misteriche e dell’assassinio degli gnostici, che non potevano competere con coloro che li percepivano come minacce al loro dominio planetario.

“Non solo gli gnostokoi [come la filosofa] Ipazia [assassinata dalla Chiesa] erano apolitici, ma evitarono deliberatamente ogni coinvolgimento nella politica, al fine di dissociarsi dall’altro tipo di iniziati, gli Illuminati, i quali furono invischiati nel sistema patriarcale e nei giochi di potere teocratici fin dalla loro nascita” conclude Lash.

Gli Illuminati possono essere considerati degli apostati del gnosticismo i quali abbandonarono il loro ruolo di guida, al fine di raccogliere i frutti e le ricchezze della classe dirigente.

Oggi come allora gli Illuminati continuano a muoversi verso il loro obiettivo – un sogno febbrile di dominio globale che culminerà nel cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale (Un Governo Mondiale), ovvero un Tecno-feudalesimo globale.

La scelta è ancora nelle mani dell’umanità – Libertà o Schiavitù.

Forse i “Know-It-Alls” (saputelli/sapientoni) – un termine dispregiativo usato dalla Chiesa contro gli gnostici – potrebbero fornire un aiuto importante…

Fonte:

L'avventura del Podcast

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Siamo arrivati alla decima puntata del nostro podcast intitolata

"Elohim d'oltreoceano: Akakor, Paititi, Eldorado ed altre storie - Un volo d'uccello su diversi misteri non così noti del sudamerica", scaricabile qui atl0010.mp3 (2h 18' 09'' - 126 MB)

Nella quale abbiamo parlato di:
- Riccardo Magnani e la scoperta del Paititi 
- Karl Brugger e Akakor 
- Akakor secondo il Progetto Atlanticus 
- Sumeri e Fenici in Sudamerica 
- Il vaso della Fuente Magna 
- La Ciudad Blanca, città natale di Quetzalcoatl 
- Le 13 Città di Akakor 
- Gobekli Tepe
- Tiahunaco secondo Posnansky 
- Il Cuzco (Sacsayhuamán) 
- Il Cammino del Peabirù 
- Spedizioni misteriose (Il Punt, le Miniere di Re Salomone...) 
- Le teste olmeche in sudamerica 
- Le carte nautiche 'impossibili' 
- I rapporti tra Anunnaki, Elohim e uomini prima e dopo il Diluvio
- Le conoscenze astronomiche dei 'preistorici' e la trasmissione del sapere
- Le sfere del Costarica 
- I viaggi di Cristoforo Colombo
- Il monolite di Pokotia 
- La Cueva de Los Tayos 
- Il Manoscritto 512 
- Le Biblioteche perdute 

E presentiamo:
- Il libro di Elio Cadelo "Quando i Romani andavano in America", Palombi Editore 
- La parte conclusiva dell'intervista ad Alessandro ed Alessio De Angelis
- Il libro di Ivar Zapp e Gorge Erikson "Le Strade di Atlantide", Piemme 2002 
- Alcune strane mappe 

Ma abbiamo anche parlato di:
- Piramidi di Giza e Orione 
- Out of Atlantis 
- Le civiltà urbane secondo la storia 
- I Romani in Sudamerica 
- Alisei e correnti oceaniche
- La navigazione e i commerci dei Sumeri 
- Anasazi e Hopi
- La Stele dell'Inventario 
- L'elefantino in sudamerica
- Percy Fawcett e l'Eldorado
- La Mappa di Piri Reis 
- La "Pietra del Sole" dei Vichinghi 
- Cristoforo Colombo il Templare 
- La navigazione dell'Homo Erectus 
- Il lago Titicaca 
- Il biondismo degli dei dell'antica Grecia 
- I cartoni animati giapponesi e gli Anime di Miyazaki, Laputa

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Gli inserti musicali che avete ascoltato in questa puntata di Atlanticast sono tratti dalla canzone Poseidon, realizzata da RudySeb, appartenente all'omonimo album Poseidon:

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Il Poema Olonkho e i Misteri della Tunguska

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Da un articolo di Federico Bellini

Introduzione

La mattina del 30 Giugno 1908 alle ore 7.14, un meteorite roccioso di 60 metri di diametro entrò nell’atmosfera ed esplose sopra la Siberia Orientale a circa 6 - 8 Km d’altezza, l’energia liberata fu spaventosa, pari a 1000 bombe atomiche come quella di Hiroshima e la foresta venne rasa al suolo per oltre 2000 Km²; il mondo si accorgerà di quest’evento solo vent’anni dopo grazie alla caparbietà di uno scienziato di nome Leonid Kulik, senza il quale sarebbe rimasto un avvenimento pressoché sconosciuto. 

Federico Bellini, Ambra Guerrucci, Libri, Spiritualità, Meditazione, Ricerca Interiore, Cosmologia, Civiltà Extraterrestri, Ufologia e Filosofia Alternativa

L’evento di Tunguska rimane ancora oggi senza spiegazioni, gli scienziati non hanno prove certe ma solo indizi per teorizzare quello che potrebbe essere accaduto: uno di origine celeste (meteorite o cometa), un’altro di origine tettonica (terremoti anomali registrati prima dell'evento, anomalie magnetiche ecc.), ma da qualche anno a questa parte, sta avanzando l’ipotesi della presenza in Siberia di una costruzione tecnologica non terrestre atta a difendere la Terra dalle minacce dei corpi celesti in rotta di collisione con il nostro pianeta, pertanto, l’installazione aliena sarebbe intervenuta a Tunguska salvandoci da una catastrofe ben maggiore. Questa teoria, suffragata da una documentazione che sarà proposta di seguito, è stata studiata dal Dr. Costantino Paglialuga, laureato in Chimica presso l’Università di Camerino e dal Dr. Valery Mikhailovich Uvarov, capo del Dipartimento di Ricerche Ufologiche, Paleoscienza e paleotecnologia al National Security Academy di San Pietroburgo Russia, secondo questi scienziati, la distruzione o la deviazione dei corpi celesti, si otterrebbe utilizzando enormi globi di plasma, prodotti dal “macchinario alieno”. 

“Quello che nel 1908 migliaia di persone videro in gran parte della Siberia era il volo di questi enormi globi di plasma, con il risultato che i testimoni dell’evento di Tunguska attribuirono l’intero fenomeno alla comparsa di una serie di fulmini globulari! Apparentemente le sfere di Plasma sono prodotte da un generatore di energia situato nelle profondità della Terra”. 

I primi a venire a conoscenza dell’incombente calamità furono, ovviamente, gli sciamani delle tribù locali: due mesi prima dell’esplosione nella taiga iniziarono a circolare voci sulla prossima fine del mondo, gli sciamani (dopo aver appreso dagli antenati il volere degli dei) cominciarono a spostarsi da un insediamento all’altro, avvertendo le popolazioni limitrofe dell’imminente cataclisma, le quali cominciarono a trasferirsi con le proprie mandrie in posti più sicuri. L’esodo degli Evenki iniziò subito dopo il raduno, avvenuto nel mese di maggio, di tutti i clan nomadi: “Gli anziani stabilirono che bisognava cambiare il tracciato ciclico delle loro emigrazioni e che i clan dovevano spostarsi assieme lungo quello nuovo. Vi fu quindi un’importante circostanza rituale nella quale il Grande Sciamano annunciò la Fine del Mondo”. Anche gli animali selvatici, rispondendo istintivamente all’influsso negativo del crescente campo elettromagnetico, cominciarono ad andarsene, gli uccelli abbandonarono le loro aree di nidificazione, i cigni lasciarono i laghi, i pesci scomparvero dai fiumi, addirittura un’immensa distesa di taiga, estesa varie decine di migliaia di chilometri quadrati, perse la propria fauna; nelle zone di pericolo rimasero soltanto coloro che non credevano alle parole degli sciamani. 

Uvarov riferisce la generazione delle sfere di plasma riportando i resoconti dei testimoni: “A nord-ovest comparve una colonna infuocata a forma di lancia di circa 6 metri di diametro. Una volta scomparsa, si udirono cinque forti e secche detonazioni, come colpi di cannone, distinte e a breve distanza le une dalle altre”. “Dalla stazione commerciale di Teteria furono avvistate colonne di fuoco in direzione nord. Anche in altri luoghi (Kezma, Nizhne-Ilimsk,Vitim) che non si trovavano lungo un’ unica direttrice, si osservarono "colonne di fuoco". Presso la miniera di Stepanovsky (vicina alla città di yuzhno-Eniseisk), trenta minuti prima della caduta del meteorite iniziò un terremoto, in questo istante un testimone che si trovava nei pressi di un piccolo lago improvvisamente vide questi prosciugarsi e dal fondo aprirsi come dei battenti di una porta, sui bordi delle due gigantesche ante erano visibili delle dentellature. 

Il testimone preso dal panico fuggì e solo dopo aver percorso una considerevole distanza cadde, poté quindi osservare da lontano che al posto del lago ora si innalzava una "colonna di luce splendente", alla cui sommità si trovava una sfera, il tutto accompagnato da un terribile rimbombante ronzio; i suoi abiti presero fuoco ma senza fiamma e le radiazioni gli bruciarono viso e orecchi. Persone sbalordite asseriscono di aver visto volteggiare sopra il sito dello schianto i globi di plasma sino a tarda sera e questo fatto fu notato da gran parte degli osservatori. Ma non è tutto, perché come leggeremo in seguito, troveremo importanti conferme dell’esistenza di questa installazione nei racconti tradizionali della popolazione locale situata vicino alla zona dell’esplosione di Tunguska, dove le leggende narrano di “fulmini ardenti”, “sfere fiammeggianti” e di tremende esplosioni col risultato che per centinaia di chilometri la superficie circostante si è ridotta ad un deserto disseminato di rocce; il nome antico di questi luoghi in lingua Yakuta è Ulyuyu Cherkechekh, “Valle della Morte”.

La Siberia, il luogo più inospitale della Terra

La Repubblica di Yakutia (conosciuta anche come Jakutia o Sakha), si trova nella Russia nord-orientale (Siberia), a sud della tundra artica in Russia ed è conosciuta come il luogo abitato più freddo del pianeta Terra. In questa regione si trova la taiga siberiana, un vasto tratto di foresta di conifere prevalentemente arido, completamente incontaminato e inesplorato come la giungla amazzonica, e che si estende su un territorio disabitato per più di 100.000 kmq nella parte occidentale della Yakutia. Privo di qualsiasi tipo di strada, il territorio è in gran parte coperto da una fitta foresta, con numerosi alberi sradicati, vaste paludi e consistenti sciami di zanzare, praticamente, lo scenario ideale per l'ambientazione di miti e leggende su strane creature e fatti misteriosi, ed è proprio in queste terre che, secondo i racconti locali, dimorerebbe il Chuchuna, la creatura umanoide conosciuta anche come Yeti o Big Foot, ma un mistero ben più affascinante avvolge questa valle desolata. 

Nei pressi del bacino superiore del fiume Viliuy, c'è una zona difficile da raggiungere che porta i segni di un tremendo cataclisma avvenuto circa 800 anni fa e che ha sradicato l'intera foresta e sparso frammenti di roccia per centinai di chilometri quadrati. Secondo i racconti degli abitanti locali, l'intera area sarebbe piena di strane e innaturali strutture metalliche a forma di cupola, situate in profondità nel permafrost, rilevabili in superficie a causa per il loro colore in contrasto con le vegetazione locale. Il nome antico di questa zona è "Uliuiu Cherkechekh", che si traduce, appunto, come "Valle della Morte", perché per gli abitanti del luogo, chi si avventura in questa zona, difficilmente ne può uscire vivo. I cacciatori nomadi solitari hanno descritto queste cupole come delle grandi "case di ferro" (kheldyu) impiantate nel terreno perennemente ghiacciato, sembra siano fatte di un metallo simile al rame nell'aspetto ma, a differenza del rame, non può essere scalfito o danneggiato. Nessuno è mai stato in grado di tagliare anche un frammento, alcune di queste caldaie - la forma ricorderebbe quella di una pentola capovolta - hanno un'apertura sulla parte superiore, con una scala a chiocciola che conduce fino a una galleria circolare con numerose "camere metalliche" e nonostante i - 40 gradi esterni, i cacciatori affermano che gli interni risultano essere piacevolmente caldi. 

Gli anziani del luogo, ovviamente non conoscono l'origine di queste strutture misteriose che chiamano "olgius", i racconti mitici fanno risalire la loro costruzione ai demoni della taiga, Niurgun Bootur e Tong Durai, inoltre, sanno molto bene quanto siano pericolosi per l'uomo questi oggetti. Infatti, si racconta degli effetti che le caldaie hanno sulla vegetazione vicina e delle reazioni fisiche delle persone che si sono avvicinati troppo e per troppo tempo, in passato, c'erano uomini audaci tra i cacciatori locali che avrebbero dormito in queste stanze utilizzandole come rifugio per la notte. Costoro contrassero una malattia sconosciuta, e coloro che vi avevano trascorso diverse notti di fila, ben presto morirono; per questo motivo, gli anziani delle tribù locali hanno dichiarato queste zone maledette, e quindi proibite. Vecchi nomadi ci hanno addirittura raccontato di alcuni buchi metallici, intorno ai quali giacevano miseramente delle persone di carnagione scura, monoculari e rivestite di metallo, infatti, un giorno, un boscaiolo che lavorava nella zona nell’estinguere il fuoco sviluppatosi nella taiga, si accorse pure lui di queste stranezze giacché, in prossimità della zona incendiata, aveva notato un "buco di ferro" e nelle vicinanze vi erano persone rivestite di metallo. Costantino Paglialunga ci riferisce di un’importante testimonianza: «Fu il generale dell'aeronautica russa Vasily Alekseev, ex agente del Kgb, a svelarmi quella che forse è la parte più importante dell'enigma. 

Mi disse che nella zona più disabitata della Siberia esistevano costruzioni metalliche che non erano terrestri». «Mi raccontò che i militari russi sono da molti anni al corrente dell'esistenza in Siberia di strane costruzioni metalliche non terrestri. La zona è stata per molto tempo sotto segreto militare con il divieto di sorvolo. E quella zona è tuttora superprotetta perché vi sono stati trovati importanti giacimenti di diamanti e d'oro». “In tempi passati i più audaci tra i cacciatori locali presero a trascorrere la notte in quelle stanze; perché al loro interno la temperatura era mite, poi però costoro iniziarono ad ammalarsi gravemente e quelli che avevano passato li diverse notti di seguito ben presto morirono”. Un altro testimone, un cacciatore di nome Mikhail Koretskij si recò nella zona l’ultima volta nel 1939, dove s’imbatté in un buco "nero" affiorante dal terreno: "La Valle della Morte è estesa lungo un affluente destro del fiume Viliuj. In sostanza la zona è composta di un’intera catena montuosa nelle cui vallate vi è il letto del fiume. Per quanto riguarda gli oggetti misteriosi, ce ne dovrebbero essere tanti perché per tre stagioni ne ho visti sette di questi 'calderoni'. Tutti hanno una struttura misteriosa: per prima cosa la loro misura va dai sei ai nove metri di diametro. Come seconda cosa posso dire che sono stati costruiti con un metallo sconosciuto. Questo non è rame, come si diceva. Abbiamo provato tante volte a scalfirlo con uno scalpello ma inutilmente, perché non è stata lasciata nemmeno la traccia sulla sua superficie. Il metallo non si spezza e non si forgia. 

L’oggetto è protetto da una pellicola di materiale sconosciuto che assomiglia allo smeriglio. Abbiamo trovato poi degli strani pozzi sulla superficie del terreno, comunicanti con delle camere sotterranee, delle quali hanno parlato pure alcuni cacciatori yakuti. La vegetazione attorno a questi oggetti assumeva forme gigantesche: era alta quasi il doppio di un uomo, foglie e rami assai grandi rispetto agli alberi normali. Abbiamo anche pernottato in questi 'calderoni'. Eravamo un gruppo di sei persone e non abbiamo avuto nessuna sensazione strana durante la notte. Al mattino abbiamo lasciato il posto tranquilli, senza alcun timore o disagio. Nessuno di noi si è poi ammalato, tranne uno cui sono caduti i capelli dopo circa tre mesi. Io, invece, ho avuto sulla parte sinistra della testa tre piccole chiazze, per la caduta dei capelli, grandi come la capocchia di un fiammifero; si sono manifestate nella zona in cui c’è stato il contatto con il metallo durante il sonno. Sono state medicate per moltissimi anni, ma non mi sono passate neanche oggi..." Nel 1936, lungo il fiume Olguidakh ("luogo del calderone"), un geologo incaricato dagli anziani indigeni si imbatté in quello che aveva tutta l'area di essere una enorme cupola di metallo liscio, di colore rossastro, sporgente dal suolo e con un bordo talmente affilato da "tagliare le unghie". 

Le pareti dell'oggetto erano circa due centimetri di spessore e, secondo la relazione ufficiale, era possibile vedere l'interno della cupola attraverso un foro sulla parte posteriore. Nel 1979 una spedizione archeologica da Yakutsk cercò di individuare il luogo descritto del geologo, ma i mutamenti del territorio e della vegetazione avvenuti in più di quarant'anni non consentirono scoprire l'oggetto misterioso. Va detto che in quella località, dicono i locali, si può passare a 3 metri da qualcosa senza nemmeno notarla, che la vegetazione attorno alle cupole è visibilmente più rigogliosa rispetto alle piante circostanti, con gigantesche foglie di farfaraccio e steli lunghi quanto la statura di un uomo. Le leggende Yakuy sulla “Valle della Morte” contengono, inoltre, molti riferimenti a esplosioni, trombe d'aria e sfere di fuoco fiammeggianti che volteggiano in aria, e tutti questi fenomeni, in un modo o nell'altro, sono connessi con le misteriose strutture di metallo che si trovano nella valle. Si narra che, all'inizio del secolo scorso, fu vista una sfera di fuoco incandescente emergere dal foro principale di una delle cupole e salire verso l'alto sotto forma di una sottile colonna di fuoco. Il fenomeno, accompagnato da un boato sordo, simile al suono registrato durante le esplosioni nucleari, dopo aver raggiunto una notevole altezza volò lasciando dietro di sé una lunga "scia di fumo e fuoco".


Le scoperte di Richard Carlovich Maak

Uno dei primi ricercatori russi a testimoniare ufficialmente questa presenza è stato R. C. Maak, il quale nel 1853 lasciò scritto: "In Suntar mi è stato raccontato che nelle vicinanze delle sorgenti del fiume Viliuj vi è un suo affluente chiamato Algyi Timirnit (Grande Caldaia Sotterrata). Nelle vicinanze della sua riva, in mezzo alla foresta, vi è nel terreno come sepolto un grande 'calderone fatto di rame', del quale emerge soltanto una piccola parte della sua struttura. Le sue dimensioni rimangono ignote come pure il significato di questa presenza è oscuro, sebbene che nel suo intorno ci siano tantissimi alberi." 

Richard Carlovich Maak nacque il 23 Agosto 1825 nella città di Harensburg, sull’isola di Ezel, appartenente all’epoca all’Estonia, educato in una scuola classica di San Pietroburgo, si iscrisse successivamente alla Facoltà di Scienze Naturali presso la locale Università. Attratto da tutte le novità e dall’ignoto, per questa ragione, fu selezionato per insegnare nella lontana città di Irkutsk. 

Il giovane professore della scuola classica accettò però di partecipare alle attività di ricerca del Dipartimento Siberiano della Compagnia Geografica Imperiale Russa e con piacere intraprese delle spedizioni nei bacini dei fiumi quali il Viliuj, Chona e Tunguska Inferiore. Riferendosi alla storia anteriore a queste spedizioni, Maak ebbe a dire:"Già vi erano dicerie, logorate dal tempo, che mettevano in condizioni di supporre che l’area del fiume Viliuj, distretto della Yakutia, fosse ricca di ferro, di giacimenti minerali, di pietre preziose e che in molti altri fiumi abbondassero le sabbie aurifere". La spedizione nel bacino del fiume Viliuj cominciò in pratica nel Gennaio del 1854, su questo fiume i ricercatori lavorarono in gruppi e Maak si assunse il carico più oneroso della spedizione, avendo scelto di andare a nord del Circolo Polare Artico. 

Dopo essere arrivato in prossimità del fiume Olenek, egli ritornò alle sorgenti del Viliuj e qui la spedizione fu raggiunta da un freddo intenso e da gran gelo, l’ostinato Maak pretese allora che tutti i suoi aiutanti rispettassero gli accordi presi e successivamente riconobbe che considerava tutto quel lavoro una missione d’affari, nonostante ciò, Maak era uno scienziato puro e riuscì a visitare per primo quei luoghi dove cento anni più tardi venne messo a profitto il principale deposito di diamanti della Russia. Maak riportò tutte le sue scoperte nel famoso libro "Il Territorio del Viliuj", edito a San Pietroburgo, nel quale illustrò dettagliatamente le caratteristiche geomorfologiche e meteorologiche della zona del Viliuj ed anche della Yakutia, accompagnate da precisi disegni e da numerose tabelle di dati, tuttora è considerato un testo di notevole importanza scientifica e storica, tanto è vero che è stato ristampato nel 1994 in un unico volume. 

Nello studio dell’antica cultura della Yakutia, egli si è trovato di fronte a remote tradizioni che parlavano degli Olguydach, case funzionanti come caldaie. "Presso la popolazione del bacino del Viliuj Superiore esiste una leggenda sulla sorgente di questo fiume dove vi è una grande caldaia di bronzo chiamata 'olguy'. La leggenda gli attribuisce enorme importanza. La 'casa caldaia'è conosciuta nei pressi degli affluenti del gran fiume anche col nome di Olguydach e per questa ragione è sospetta di fatti mitici come quello di generare del calore."

Le testimonianze delle tribù locali

Nella Yakutia o Repubblica Saha, esiste un poema epico d'origine antica, l'Olonkho, che ebbe inizio molto probabilmente quando gli antenati vivevano nell'originaria "Terra Madre", situata nella regione compresa tra il Lago Baikal e il fiume Angara. In tale luogo s'intrapresero relazioni con gli antenati dei popoli provenienti dalla Turchia e dalla Mongolia che vivevano nell'Altai e nel Saiany, tanto che i Kurykans, gli antenati della Yakutia, avevano molto in comune con gli antenati del popolo turco durante il periodo compreso tra il VI° e VIII° secolo. 

Si ritiene che la comparsa dell'Olonkho si debba collocare tra il VI° ed il XV° secolo e una delle principali caratteristiche di tale poema è di essere una storia originale. Composto di oltre 200 canti, che sino ad alcuni decenni fa sono stati tramandati solo per via orale o meglio per mezzo di canzoni, presenta differenti eroi e cospiratori: Niurgun Bootor, l'Impetuoso, è il più importante e rappresentativo giacché molto espressivo e sagace. 

Tale poema epico è stato ricostruito dal fondatore della letteratura saha: Platon Aleksevich Oiuunuskay (1893-1939), famoso poeta, egli era pure un riconosciuto narratore dell'Olonkho, un olonkhosut, ed autore di molti lavori scientifici; la versione russa di tale poema, creata da Vladimir Derzhavin, risale al 1975. Il 25 Novembre 2005 l'Olonkho è stato proclamato, dal direttore generale dell'Unesco, uno dei tanti capolavori facenti parte del Patrimonio Orale e Intangibile dell'Umanità con lo scopo di valorizzarlo e preservarlo. Nella saga del Niurgun Bootor, l'Impetuoso, si trovano notizie sugli oggetti strani ed anche su esplosioni veramente forti che ogni tanto accadono sin dai tempi più remoti, gli antichi nomi geografici della zona occupata dagli yakuti e dai tungusi, corrispondono totalmente al contenuto della leggenda, ma danno un'indicazione approssimativa sugli oggetti coperti dal terreno ghiacciato. 

Nello specifico, il poema ci narra che gli oggetti sconosciuti apparvero nel tempo più remoto, alcuni di essi sono delle grandi "case di ferro" che posano su appoggi multipli laterali, non hanno né porte né finestre, ma solo un ingresso spazioso che permette di scendere con una specie di scala a chiocciola e che rassomiglia alla "gola" di un enorme buco, sistemato alla sommità di un'altissima cupola. 

Altri oggetti sono dei "coperchi" semisferici che si trovano in diversi posti e un "rampone trilaterale di ferro" che si vede emergere dalla terra solo in parte, ma con l’andar del tempo tutti questi manufatti si sono quasi completamente nascosti nel gelo perpetuo. Le esplosioni, che ogni tanto succedono nella zona, sono strettamente legate a questi oggetti misteriosi, la leggenda parla anche della causa reale di tutti i vari disastri avvenuti. 

Si tratterebbe di un "cratere misterioso" eruttante fumo e fuoco, con un coperchio d’acciaio dentro il quale si trova un intero paese sotterraneo, in esso vivrebbe l’enorme gigante Uot Usumu Tong Duuray, il cui nome significa "alieno malvagio", che buca la terra e si nasconde sotto di essa: egli, con un turbine di fuoco, distrugge tutto quello che trova nel suo intorno, seminando infezione e lanciando un "pallone" di fuoco, la leggenda aggiunge inoltre, che con quattro tuoni successivi, questo pallone si dirige ad un’altezza sempre più alta fino a scomparire dietro l’orizzonte dei cieli gialli occidentali, lasciando una "traccia di fuoco e fumo". Visto così, l’eroe era considerato un personaggio positivo, dato che andava a distruggere delle altre tribù, ma sembra proprio che l’immagine data dalla leggenda sia incredibilmente simile a quella che si è verificata nella Tunguska nel 1908. Al momento dell’uscita dell’eroe malvagio Tong Duuray dal cratere, nel cielo appariva il messaggero del "Dyesegey Celeste", il gigante Kun Erbye, il quale, come una stella cadente più veloce del fulmine, attraversava il cielo per avvertire Nurgun Bootor della battaglia che stava per cominciare.
Disseminando una bufera di pietre,
facendo balenare lampi e rimbombare
un quadruplice tuono dietro di sé,
Niurgun Bootor volava senza deviare...
.
La sua descrizione nelle leggende è simile alla situazione di volo e dell’esplosione del bolide di Chulym che è penetrato nell’atmosfera fino all’altezza di circa 100 Km, ripetendo esattamente la traiettoria del meteorite della Tunguska ed è esploso con un fascio di scintille sopra il fiume Chulym il 26 febbraio 1984, i pescatori della zona, hanno inoltreosservato che da dietro le colline, situate verso il nord, sono saliti verso il cielo due grandi palloni illuminati e che sono spariti dietro le nuvole; in ambedue i casi si parla della direzione nord, dove si trova l’epica "Valle della Morte". 

Per ritornare alle leggende, il più grande evento descritto riguarda proprio l’uscita di Tong Duuray dalle profondità terrestri e la sua battaglia con Nurgun Bootor: prima dal “cratere” usciva un turbine di fuoco rassomigliante ad un serpente, sul cui apice si formava un “pallone di fuoco” che, dopo una serie di colpi di tuono, si lanciava verso il cielo. 

Insieme con lui, dalla terra, usciva la sua scorta “uno sciame di turbini sanguinari e perniciosi”, che creavano distruzione nei dintorni; a volte succedeva che Tong Duuray incontrasse Nurgun Bootor proprio sopra il luogo della sua uscita, dopo di ché la zona rimaneva senza vita per moltissimo tempo. In genere, la situazione di questi eventi è ben variegata: dal cratere potevano uscire più "giganti di fuoco" alla volta, volare per un certo tempo e poi esplodere tutti insieme, lo stesso succedeva anche nel momento dell’uscita di Tong Duuray e gli strati di terreno lasciano capire, in particolare, che tra le successive esplosioni potevano passare dai 600 ai 700 anni.

La leggenda ne parla con colori vivaci, ma l’analfabetismo ha impedito di documentarle in una maniera più accessibile e più vicina alla nostra civiltà.

...Imprendibile in volo, privo di ombra,
il fulmineo araldo, messaggero del Celeste Dyesegey,
sfolgorante nella sua cotta metallica, più repentino
del lampo, Kun Erbye, il campione.
Sfrecciava, come stella cadente, solo l'aria sibilava
dietro di lui... Sfrecciava come un dardo oltre i limiti
dei gialli cieli occidentali, sino alla rapida
china inferiore dei cieli sospesi sopra l'abisso.
Sfrecciava alto; solo il tuono rumoreggiava...
Un fuoco blu ardeva dietro di lui, un fuoco bianco
imperversava nella sua scia, scintille rosse volteggiavano.
.
L'evento di Tunguska

L’evento accaduto a Tunguska è solo l’apice di una serie di manifestazioni cominciate ben due mesi prima, questi fenomeni "anomali" sono imputati secondo Valery Mikhailovich Uvarov a effetti collaterali dell’impianto siberiano mentre attingeva energia dal pianeta, al fine di produrre enormi globi di plasma destinati a distruggere il corpo cosmico: l’ubicazione stessa dell’installazione non sembra essere casuale, il periodico scientifico Russo Tekhnika Molodiozhi (numero 1, 1984) avrebbe pubblicato l'esito di una ricerca che parla di una "super-amomalia" magnetica (definita il terzo polo magnetico terrestre) le cui origini arrivano da una profondità di mezzo raggio terrestre, sotto la Siberia orientale. Questa sembrerebbe l’ubicazione e la fonte dalla quale si alimenta il macchinario alieno, l’effetto dell’installazione fu così potente che nei giorni precedenti l’esplosione del 30 giugno, in molti paesi d’Europa, così come nella Siberia Occidentale, l’oscurità notturna fu sostituita da un’insolita luminosità, come se quelle aree stessero sperimentando il fenomeno delle “notti bianche” tipico dell’estate ad alta latitudine. 

Ovunque facevano la loro comparsa nubi argentee che si estendevano da est a ovest lungo le linee di forza, risplendenti nella luce dell’alba e del crepuscolo, probabilmente questa enorme energia sprigionata era un effetto collaterale dell’installazione che stava immagazzinando una grande quantità di energia dal pianeta. (“Un’attenta disamina delle anomalie ottiche riscontrate nel periodo tra giugno e luglio del 1908 conferma la supposizione che i primi segni fossero ravvisati già diversi giorni prima della caduta del meteorite: si suppone il 23, 25 o 29 giugno. Tali anomalie includono anomali bagliori nel cielo, nubi nottilucenti luminose non viste prima, disturbi nel normale cammino dei punti neutri Arago e Babinet e la comparsa di aloni solari prolungati. All’inizio del 1° luglio scomparvero in maniera esponenziale”. 

Vladimir N. Vasilyev Planet.Space Sci., vol.46, N.2/3., 1998). Prima e dopo l'esplosione di Tunguska furono registrate in Artico delle Aurore Boreali non previste, cioè non provocate dal sole, lo studio è stato pubblicato negli anni '60 dagli studiosi Kovalevsky, Ivanov, Plehkhanov,Zhuravlyov e Molotov, ma la domanda è questa: come possono esserci aurore boreali se non è il Sole a provocarle? Forse è un altro "effetto collaterale" dell'impianto Siberiano? Il professor L. Weber dell’Università di Kiel osservò deviazioni regolari, periodiche e inusuali dell’ago della bussola, questo effetto si ripeté ogni pomeriggio dal 27 giugno fino al 30 giugno 1908 (il giorno dell’evento). Le registrazioni sembravano quelle di tempeste geomagnetiche, in genere associate con l’attività elettrica solare, che però non erano previste per quel periodo, pertanto, da cosa furono generate queste anomalie: un altro effetto collaterale dell’impianto siberiano? 

Secondo le ricerche del geofisico Andrei Ol’khovatov proprio il giorno della immane catastrofe in quella zona erano in corso sia perturbazioni simiche che meteorologiche di grande entità, come ha notato E. Krinov, uno dei ricercatori che si è occupato di Tunguska: “Vi era la sensazione dell’avvicinarsi di qualche insolito fenomeno naturale”. E’ lecito pensare che tutta quella zona fosse soggetta a sconvolgimenti ambientali dovuti all’enorme energia raccolta dall’installazione. Negli archivi dell’ex osservatorio meteorologico e magnetico di Irkutsk, sono state scoperte annotazioni scritte da A. K. Kokorin, osservatore meteorologico, a circa 600 chilometri di distanza dal luogo dell’esplosione di Tunguska. 

Nel suo registro, nella sezione “Note”, è contenuto un commento di eccezionale importanza, il quale indica che nella circostanza in questione vi era più di un corpo in volo. “Alle 7.00 due cerchi (sfere) infuocati di dimensioni gigantesche (60 metri di diametro secondo le testimonianze oculari) sono apparsi in direzione nord, per poi scomparire a distanza di 4 minuti; subito dopo il loro allontanamento si è udito un forte rumore, simile a quello dl vento, che si propagava da nord a sud e che è durato circa 5 minuti, ad esso sono seguiti suoni e tuoni, come detonazioni di enormi armi da fuoco, che hanno fatto tremare le finestre. 

Queste sono durate 2 minuti… e ad esse è seguito un suono secco come quello di un colpo di fucile, questi ultimi suoni sono durati 2 minuti. Tutto è avvenuto in piena luce del giorno.” Si tratterebbe delle sfere che si stavano dirigendo sul luogo dell’esplosione; da notare l’ora dell’avvistamento, le 7.00 AM, mentre l’esplosione di Tunguska avvenne alle 7.14. Il geofisico Andrei Ol’khovatov afferma che la disposizione degli alberi attorno all’epicentro dell’esplosione, non suggerisce in alcun modo l’idea del violento impatto di un corpo celeste, bensì l’effetto vorticoso di un plasma di altissima energia: infatti questo effetto di vortice che avrebbe fatto letteralmente ruotare gli alberi – come di fatto si è verificato nell’area dopo l’esplosione – è maggiormente pronunciato nell’epicentro che non a 20 chilometri di distanza da esso; se la causa dell’esplosione fosse stata un corpo celeste si sarebbe dovuto osservare l’esatto contrario. E’ risaputo che alcune chiazze di vegetazione nel luogo dell’esplosione sono rimaste misteriosamente intatte, merito probabilmente delle nuvole a “pecorelle”, che avrebbero protetto alcuni sprazzi di terreno dal rogo irradiante. I testimoni raccontano dell’esplosione come una grande luce improvvisa “cinquantamila volte più luminosa del sole” accompagnata da un “calore terribile” e da una “spaventosa lingua di fumo nero”. 

L’astronomo Felix Zigel scrisse nel 1961 su Znaniye-Sila: “Secondo le testimonianze raccolte si può affermare che l’energia radiale dell’esplosione di Tunguska era pari a un’alta percentuale dell’energia totale. Un esplosione chimica è da escludersi perché in un scoppio di questo genere il rapporto dei parametri è molto inferiore”. Zigel ha stimato la temperatura in decine di milioni di gradi e guardando i rami bruciati nella zona del disastro Zigel capì inoltre che il calore fu istantaneo e non causato da un incendio. Zolotov, eminente geofisico, durante una spedizione da lui guidata a Tunguska tra il 1959-1960 osservò un alternarsi di parti bruciate e parti intatte in tutta la zona e un alternarsi di rami bruciati e rami incolumi nello stesso albero completamente arso. Zigel commentò: “Ciò significa che la bruciatura degli alberi fu causata da una radiazione luminosa proveniente dalla zona dell’esplosione e che le bruciature sugli alberi furono possibili solo la dove rami e foglie non schermavano la corteccia.” Secondo le testimonianze raccolte, la mattina dell’evento il popolo dei Tungusi osservò scariche elettriche a cielo sereno “come fulmini” che colpirono violentemente il terreno, in corrispondenza dell’epicentro gli scienziati hanno scoperto luoghi in cui l’80% degli alberi sono stati colpiti. Si è scoperto, inoltre, che gli alberi e le piante cresciute dopo l’esplosione del 1908 invece di raggiungere i 7 - 8 metri d’altezza nella loro crescita, in realtà hanno raggiunto l’altezza di 17 - 22 metri, dimensioni che in natura si possono conseguire solo dopo duecento o trecento anni, mentre il suddetto risultato è stato ottenuto in circa 60 anni. 

La circonferenza dei tronchi degli stessi alberi, inoltre, ha raggiunto un valore quattro volte superiore quello normale giacché gli anelli, prima del 1908, avevano uno spessore medio di 0,42 mm e dopo l’esplosione presentavano anelli dell’ordine di 5 - 10 mm. Lo scienziato Sobolev ha parlato di un cambiamento genetico per spiegare queste anomalie che hanno causato una velocità d’accrescimento come minimo 100 volte superiore a quella normale, tale effetto però afferma lo studioso: “Non può essere attribuito esclusivamente ad una esplosione nucleare o qualcosa di simile. Viene spontaneo però credere che delle radiazioni particolari, con un livello molto intenso, abbiano colpito quella vasta area ed abbiano dato uno stimolo notevole alla crescita d’ogni genere di vegetazione. 

Nella Tunguska non si sono verificati effetti di natura nucleare, naturalmente per come noi li conosciamo, per il semplice fatto che la vita in quella zona si è perpetuata ed accresciuta, pur avendo avuto un impulso nell’aumento di ritmo riproduttivo cellulare”.


Conclusioni

Per 50 anni i militari hanno posto un'attenzione molto seria su questo misterioso territorio siberiano, vi hanno condotto addirittura dei test nucleari, i cui risultati hanno lasciato esterrefatti gli stessi specialisti e non solo quelli russi. Nel Settembre del 1990 la stazione radio tedesca "Radio Deutsche Welle" ha reso noto che nel 1954 è stato effettuato un test atomico della potenza di 10 kiloton che in pratica è risultato di una potenza pari a 20-30 megaton, testimoniato del resto da tutte le stazioni sismiche dislocate in varie località del pianeta. La causa di una così inaspettata e considerevole divergenza, prodotta dalla misteriosa esplosione, non ha avuto una spiegazione plausibile. 

La TASS, in tale circostanza, diffuse la notizia che era stata fatta esplodere una bomba all’idrogeno d’imprecisata potenza, i militari, inquieti per questo risultato, ispezionarono accuratamente il terreno e, avendo scoperto oggetti strani ma funzionanti e sporgenti dalla superficie, li investigarono per alcuni anni; le zone del ritrovamento furono confinate come pure furono vietati sorvoli d’aerei. 

Un testimone attendibile ci ha confermato che in quasi 50 anni d’investigazioni, sono stati abbattuti moltissimi alberi della taiga e addirittura è stata completamente rovesciata una collina, si è scoperto così un oggetto acuminato, a forma di triedro, di circa tre metri di diametro; immediatamente dopo la scoperta, la zona fu dichiarata di massima segretezza. L’insorgere del "top secret" per opera del potere militare, portò anche alla diffusione di notizie false e probabilmente furono minacciati tutti coloro i quali avrebbero potuto fornire informazioni in merito. Non è stato difficile raggiungere tale obiettivo giacché il popolo yakuto, supportato dalle proprie leggende, era già stato avvertito di fare molta attenzione agli oggetti interrati, dato che erano molto pericolosi per la vita degli uomini. 

I cacciatori, come pure gli allevatori di renne, sapevano che gli strani oggetti metallici potevano rappresentare un valido riparo al forte freddo siberiano, perché al suo interno trovavano un clima ottimo come quell’estivo, nacque egualmente la diceria che coloro i quali vi avessero pernottato, avrebbero potuto contrarre strane malattie che in certi casi potevano portare alla morte. Lo stesso professor Antonov, abitante a Suntar, ha confermato l’esistenza degli oggetti interrati ma ha sconsigliato nel modo più assoluto di toccarli o entrarvi, pena una sicura morte. Le sue ricerche, iniziate nel 1992, si sono concluse felicemente, soprattutto per aver usufruito dell’aiuto di un cacciatore, abitante in un villaggio della zona di Oleminsk, ha asserito inoltre di aver trovato un oggetto metallico che arrivava sino alla profondità di 40 metri. La zona indicata, però, è esattamente opposta a quella della Valle della Morte, situata praticamente a sud del fiume Viliuj, anche questa è un’immensa zona disabitata, coperta quasi esclusivamente dalla taiga e costellata dalla presenza di numerosi fiumi, affluenti dello stesso Viliuj e del grande fiume Lena. 

Il destino ha voluto che anche in quest’enorme superficie della Yakutia, proprio al confine con il fiume Viliuj, i militari sovietici nel lontano 1969 facessero esplodere una bomba nucleare di notevole potenza, arrivata con un missile dalla lontana Bielorussia. Inutile raccontare l’inquinamento provocato dall’esplosione sulla superficie terrestre, avvenuta a qualche centinaio di chilometri proprio dalla capitale Yakutsk. Secondo alcune ipotesi, le cupole potrebbero essere i rottami di un'antica astronave distrutta in un incidente o in una battaglia aerea, mentre il ricercatore russo Valery Uvarov, afferma che le misteriose cupole della Siberia non sono altro che un'arma costruita in antichità dagli extraterrestri per proteggere il nostro pianeta da eventuali pericoli esterni, tipo meteoriti o alieni ostili. 

Il sistema di difesa, composto da numerose cupole interrate, sarebbe collegato ad una centrale elettrica costruita nelle profondità del suolo e capace di operare automaticamente, proteggendo la Terra da minacce esterne. Uvarov è convinto che il sistema di difesa extraterrestre sia entrato in funzione tra volte negli ultimi cento anni: nel 1908 abbattendo il famoso meteorite di Tunguska; nel 1984 distruggendo il meteorite Chulym - penetrato nell’atmosfera fino all’altezza di circa 100 Km, ripetendo esattamente la traiettoria del meteorite della Tunguska ed è esploso con un fascio di scintille sopra il fiume Chulym - e, più recentemente, il meteorite Vitim nel 2002. Oggi, avendo riscontrato un significativo aumento dei livelli di radiazione nella zona e il progressivo abbandono dei boschi della fauna selvatica, il ricercatore russo ha l'impressione che il sistema si stia preparando a scongiurare una nuova minaccia imminente.


Riflessioni dalla Georgia

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Il Georgia Guidestones (nella foto), un monumento composto da lastre di granito disposte verticalmente a imitazione dei cerchi di pietre degli antichi Celti in Gran Bretagna e Francia, rappresenta un monito per noi, in questo momento particolare. Il monumento fu concepito e donato da un “ristretto gruppo di americani in cerca dell’Era della Ragione”: si tratta di una commemorazione degli antichi sacrifici offerti dalla classe sacerdotale dei Druidi per soddisfare l’insaziabile sete di sangue della loro divinità.


Una delle frasi incise nel granito del Guidestones propone ad un’élite: “Mantieni l’Umanità sotto 500 000 000 in perenne equilibrio con la natura”, e di seguito: “Guida saggiamente la riproduzione, migliorando salute e diversità.”

Cinquecento milioni di persone. La popolazione mondiale non deve superare questa cifra tonda, ideale secondo i demografi e gli ambientalisti di tutto il mondo. Rispetto agli otto miliardi di persone presenti sul pianeta, immaginarsi di scendere a cinquecento milioni equivarrebbe a ridurre la popolazione di almeno il 94% del totale. Negli Obiettivi per l’Umanità, il Club di Roma afferma che: “la popolazione ottimale deve essere compresa tra cinquecento milioni e un miliardo di individui perché si possa garantirne la sostenibilità.”

Il fondatore della CNN Ted Turner si è spinto ancora più oltre con il suo ideale di popolazione ottimale: “Un totale di duecentocinquanta o trecento milioni di persone, ossia una diminuzione del 95% rispetto alle cifre attuali, sarebbe perfetto.”

Il cofondatore di Earth First, Dave Foreman, potrebbe incarnare il non plus ultra dei sociopatici amanti della morte nel momento in cui afferma: “I miei tre obiettivi principali sarebbero di ridurre la popolazione umana a circa 100 milioni su scala mondiale, distruggere la infrastrutture industriali constatando in seguito il ritorno della natura selvaggia sul pianeta, con tutta la sua complementarietà e varietà di specie.”

Il 9 gennaio 1949, l’«Evening Independent» pubblicò un articolo intitolato Posterity begins at home (N.d.T.: I Posteri cominciano a casa), in cui l’autore narra a proposito di un uomo e una donna (George e Grace) che frequentano un corso di “popolazione mondiale: le cause e le soluzioni”. L’autore, Hal Boyle, riporta il dialogo tra i due protagonisti che si avviano verso casa: “Grace credeva che il pianeta potesse sostenere in maniera adeguata una popolazione di 750 000 000 persone. George le spiegò gentilmente come mai fosse nel torto. La cifra esatta, affermò lui, era quella di 500 000 000 e che: «se la popolazione contasse altrettanti individui, ognuno sulla faccia della terra disporrebbe di pane, latte e bistecche: tutte le cose migliori che il pianeta ci offre. E non ci sarebbero motivi per farci la guerra, poiché a nessuno mancherebbe niente. Poco a poco dovremmo fare in modo di raggiungere il ragionevole numero di 500 000 000 di persone sulla terra.»”

In questo pezzo umoristico, redatto in un periodo di minore incretinimento, è evidente la critica dell’autore al movimento eugenetico nascente negli Stati Uniti d’ispirazione rockefelleriana: il racconto termina infatti con un’immagine di George e Grace, felici, e con sei figli.

Ancora oggi persiste l’ossessione dell’espansione del genere umano entro limiti ben precisi relativamente al numero di individui presenti sulla terra. A giugno di quest’anno, un progetto di massima intitolato “Un pianeta, quante persone? Un’analisi della capacità di carico terrestre” e rilasciato dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, cita nuovamente questa numerologia mistica che si riafferma in veste di livello ultimo e insuperabile che le élite si prefiggono di raggiungere, al di sopra del quale non verrà consentito l’accesso a nessun essere umano: 

“analizzando le 94 diverse stime dei limiti della popolazione terrestre, questi vanno da un minimo di 500 000 000 a un massimo di 1 000 000 000 000 000 000 000.”

Sebbene tale progetto si affretti a mettere nero su bianco che “il risultato dei tentativi di definire un limite stazionario per una popolazione sostenibile sembri destinato all’incertezza”, gli autori spiegano:

“i modelli che dettano le dinamiche chiave della Terra possono servire da mappa per le scelte che avranno un impatto sul nostro futuro in quanto collettività (per quanti di noi che, alla fine, ci arriveranno).”

In altre parole: modellano questo o quel possibile scenario della cosiddetta “impronta umana” e il numero desiderato seguirà di conseguenza. Dobbiamo solo sperare che i loro computer che elaborano i modelli siano più in sintonia tra loro rispetto a quelli utilizzati dall’IPCC: questi ultimi calcolano le probabilità di un diluvio che dovrebbe sommergere il pianeta a causa del riscaldamento globale, oppure congelarlo improvvisamente a causa del raffreddamento globale, dipende di quale ambientalista eugenista si ascolta il parere. Un documento del 2010 intitolato Le risorse terrene, idriche ed energetiche limitate controlleranno la popolazione umana in futuro?, redatto dagli scienziati della Cornell University, propone senza alcuna esitazione l’abbattimento selettivo della popolazione attuale fino al raggiungimento della cifra di due miliardi. Il documento, inizialmente, fornisce un quadro pessimistico per l’umanità se non si attua il più rapidamente possibile una politica di abbattimento selettivo su scala mondiale:

“Per raggiungere l’obiettivo della riduzione della popolazione mondiale e ottenere la cifra ottimale di circa due miliardi in poco più di un secolo, dagli attuali 6,8 miliardi di individui, è necessario attuare una politica demografica che assicuri che ogni coppia abbia in media un solo figlio.”

Non è finita qui:

“Sebbene una rapida riduzione della popolazione fino ai due miliardi potrebbe causare problemi di ordine sociale, economico e politico, una crescita rapida e costante scaturirà una situazione disperata in cui si verificheranno gravi carestie ed epidemie.”

Da notare i tempi dei verbi condizionale e futuro piazzati accuratamente all’interno di questa frase. Ridurre il numero di individui sulla faccia della Terra potrebbe creare disagi, ma un’ulteriore crescita sarà catastrofica. Attraverso questa affermazione, gli autori fanno eco alla minaccia neomalthusiana: “la popolazione deve ridursi, altrimenti…”. Infine, gli autori affermano:

“Dobbiamo evitare che la popolazione continui ad aumentare oltre i limiti delle risorse naturali terrestri, poiché ciò porterà inevitabilmente ad un aumento delle malattie, alla malnutrizione e a violenti conflitti per accaparrarsi le risorse limitate.”

Simili avvertimenti pronunciati da Malthus nel XIX secolo e da Paul Ehrlich nel XX non si sono ovviamente rivelati altro che delle insulsaggini, sebbene l’ultimo autore menzionato mantenga, ad oggi, la sua presa di posizione. Questa razza di ambientalisti-eugenisti (per usare un termine coniato da Aaron Dykes nel 2007) si trascina dietro un’enorme zavorra.

Anche un’organizzazione che si autodefinisce “la comunità mondiale” è ammaliata dal numero 500 000 000:

“La Comunità Mondiale propone una politica globale severa a scopi benefici, altrimenti la situazione andrà a deteriorarsi. In pratica, una popolazione di dieci o dodici milioni di individui sarebbe scomodamente alta e metterebbe alla prova le risorse mondiali. Ma qual è dunque la popolazione ottimale in termini quantitativi? Quale dovrebbe essere il nostro obiettivo? Una popolazione dovrebbe essere abbastanza esigua da essere sostenibile a tempo indeterminato lasciando così un ampio margine di manovra sia all’uomo che alle altre forme di vita. Dovrebbe però essere anche abbastanza numerosa da garantire la formazione di civiltà sane. Proponiamo una popolazione mondiale di 500 000 000 di persone.”

Di nuovo questi 500 000 000. Cos’ha questo numero (il 5) che rende così rabbiosi gli ambientalisti eugenisti? Secondo la tabella mistica dei numeri, il 5 rappresenta l’equilibrio, il bilanciamento, e via dicendo, ma corrisponde esattamente alla scritta incisa sul Guidestones, che recita: “Mantieni l’Umanità sotto 500 000 000 in perenne equilibrio con la natura.”

Equilibrio. Ordine. Queste sono parole utilizzate da tiranni che credono di essere destinati a regnare sull’umanità. Secondo lo studioso Alan Roper, nel suo saggio Eugenetica Antica del 1913, il numero scelto (il 5) sembra che abbia una sorta di significato mistico.

Roper spiega che: “[…] c’è il quesito dei numeri della popolazione. Non è la concezione dell’Eugenetica che porta indubbiamente al limite di 5 040: vi è un certo elemento malthusiano, nonché il vero pregiudizio di una dottrina mistica dei numeri.”

Mentre scrive dell’ossessione degli eugenisti con i limiti fissi riguardo alle cifre della popolazione, Roper cita Platone, uno dei primi ad aderire alla “dottrina mistica dei numeri”:

“[…] egli (Platone) fisserebbe la popolazione dello stato ad un massimo di 8 000 individui. Affinché questo equilibrio statico possa essere raggiunto, i guardiani hanno il compito di regolare la quantità delle unioni matrimoniali”.

Roper cita anche il libro di William Bateson Biological Fact and Structure of Society (N.d.T.: Le realtà biologiche e la struttura sociale), in cui si spiega che è possibile stabilire la popolazione ad un livello ideale soltanto attraverso la misurazione del “quantitativo energetico” della Terra, evitando che “si formi uno strato troppo spesso di protoplasma umano sul pianeta”:

“È un dato di fatto che, ad oggi, dovrebbe esistere lo sforzo da parte di organizzazioni sociali esitanti di fissare un numero ottimale, e non un numero massimo. Quella che tra l’altro è la tacita ambizione di molti pubblicitari, ossia ricoprire il pianeta con uno spesso strato di protoplasma umano sulla superficie terrestre, risulta essere una pazzia sconsiderata alla luce di conoscenze e considerazioni naturali.”

Nel saggio redatto nel periodo che precede la prima guerra mondiale, Roper afferma che “vi è una tendenza naturale che limita il numero della popolazione rispetto al quantitativo energetico che la Terra può fornire. Tra le classi intelligenti di una comunità civilizzata, questo viene effettuato attraverso il controllo riproduttivo.”

Torniamo per un attimo alla seconda incisione sul Georgia Guidestones: “Guida saggiamente la riproduzione, migliorando salute e diversità.”

Il concetto eugenetico completo di “popolazione ideale” è stato formulato tempo addietro, più precisamente nel XIX secolo, ed è stato a sua volta la continuazione dei ben più antichi principi di infanticidio. Ancora oggi l’élite mondiale, ossessionata dalla numerologia, continua a muovere avanti e indietro le pedine della popolazione in nome dell’ambiente.

Chi venne a prendere Papa Giovanni Paolo II?

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Giovanni Paolo II è stato senz’altro un grande papa, anche sotto l'aspetto politico, non staremo qui a ripeterlo, e le grandi manifestazioni di popolo, di ogni nazionalità e credo religioso e politico, che da ultimo hanno accompagnato gli ultimi giorni della sua malattia e il suo trapasso e i suoi funerali testimoniano quanto la sua figura avesse inciso e improntato di sé non solo il suo pontificato ma anche tutto l’ultimo quarto del secolo scorso del nostro mondo.

Ma papa Giovanni Paolo II era anche – e forse “innanzitutto” – una grande figura spirituale e un grande mistico. Ho sottolineato “innanzitutto” perché ritengo che nel suo operare si siano espressi e abbiano agito proprio questa spiritualità e l’assistenza dello Spirito Santo – o comunque, per chi dovesse credere diversamente, il collegamento col Mondo Superiore e l’opera di quel Mondo nel mondo nostro, attraverso di lui. Uno “strumento”, dunque, ma attivo e consapevole, perché si è mosso lui, con intelligenza e in prima persona, un uomo di Dio.

Giovanni Paolo II è stato senz'altro riconosciuto come una delle figure più eminenti del XX secolo


 
Qui è a New York, nel suo viaggio in America e all'O.N.U.

Ma non siamo qui per fare panegirici, dicevamo del suo profondo misticismo. Lo testimoniano quel suo motto “Totus tuus” e la devozione mariana – verso quella figura che tutto il mondo cristiano dell'Europa orientale chiama la "Madre di Dio" - che hanno sempre informato il suo cuore e la sua azione. Il pathos di quelle Via Crucis del Venerdì Santo, con la Croce portata in braccio fino all’ultimo, anche quando le forze del suo corpo non c’erano più; gli instancabili viaggi per predicare la Buona Novella e la salvezza ma anche la difesa dell’uomo di fronte alle ingiustizie; la forza con cui, pur nella sua normale pacatezza d’animo, sapeva tener testa di fronte ai contestatori quando era necessario (ricordiamo, ad esempio, i suoi discorsi e messaggi di incoraggiamento alle folle immense della sua Polonia soggiogata dai sovietici e ai tempi del generale Jaruselski; o anche il suo viaggio in Guatemala e le sue ferme parole ai sandinisti che disturbavano la Messa che egli stava celebrando).


Una grande Figura,  dunque; ed è naturale, quindi, che l’opinione pubblica del mondo e i mass media abbiano seguito la sua vicenda, in ogni momento e in tutto quello che faceva, con grande attenzione, ogni suo gesto, ogni sua presa di posizione aveva un significato e una risonanza. Ed è comprensibile, con questo carisma che lo accompagnava, che l’attenzione su di lui sia addirittura esplosa come è esplosa, e con calda partecipazione, soprattutto negli ultimi giorni, molto dolorosi, della sua vita, con la malattia che lo immobilizzava – una persona così attiva e vitale! -, i ricoveri all’ospedale Gemelli, le operazioni, il volersi esprimere, parlare, stare vicino alla gente fino all’ultimo, quando gli era divenuto impossibile anche il solo parlare e poteva fare solo qualche gesto di benedizione.

Tutto questo ha destato una grande impressione e perciò sappiamo tutto di questi suoi ultimi giorni, anche oltre ogni discrezione e rispetto che un uomo – ogni uomo - in sofferenza e nei momenti terminali meriterebbe. Gli occhi di tutti erano fissati là, verso quella finestra, verso l’appartamento papale, verso la stanza dove il papa moriva; soprattutto quelli impietosi delle telecamere e dei giornalisti e sui media, alla radio, sui giornali ci sono stati dibattiti, discorsi, fiumi di parole, un presenzialismo di tanti “addetti ai lavori” ed “esperti” molto stancante e molto discutibile. L’umana pietà avrebbe invece richiesto riserbo e un seguire sommesso la vicenda e preghiere.

Comunque, in questo modo abbiamo saputo tutto di quelle ultime ore e una notizia, un fatto che è accaduto in quegli ultimissimi momenti ci ha molto colpito e fatto sussultare; ne parleremo tra poco.

Era un grande mistico, come dicevamo. Non ci meraviglia, quindi, se il Mondo Superiore, come diremo, abbia dato in quei momenti una manifestazione di sé vicino a lui, anzi, che si sia presentato a lui, a quella grande anima che era, per accoglierlo.

Sappiamo tutto. E così sappiamo che negli ultimi due giorni, quanto meno nell’ultimo giorno e mezzo, dalla notte del 31 marzo, dopo che la mattina gli era stata impartita l’estrema unzione, papa Giovanni Paolo II era in coma, non parlava, non rispondeva più, non reagiva alle attenzioni e alle sollecitudini che si tenevano verso di lui; insomma non aveva alcuna coscienza e non era assolutamente presente a quello che gli accadeva intorno, dei medici e delle persone che lo assistevano e degli altri grandi prelati che erano ammessi per un momento a vederlo. Figuriamoci poi se poteva sapere di quello che c’era fuori, sul piazzale di S. Pietro, pieno di folla silenziosa, addolorata, in attesa e in preghiera, espressione del caldo e sincero affetto che il popolo aveva per lui.
  
Sappiamo tutto. E così sappiamo di alcune parole, assolutamente le ultime da lui pronunciate, anzi che sono uscite da lui; uscite non si sa come dalla sua bocca, ricordiamoci che aveva la cannula alla trachea per facilitare la respirazione, aveva iniziato la rieducazione per parlare qualche giorno prima ma non gli era riuscito, non aveva pronunciato più parole nelle sue ultime faticose comparse alla finestra dell’appartamento papale ma solo piccoli, stentati gesti di benedizione con la mano. 

Non parlava più, era assopito nel torpore del coma da molte ore, ed ecco, all’improvviso, queste sue ultime parole e poi più nulla; il papa è rimasto fino alla sua morte in quell’incoscienza in cui era assopito e dalla quale non era più uscito. Cioè, non è che lui fosse tornato per un attimo cosciente, di nuovo in grado di poter parlare e così avesse pronunciato quella frase consapevolmente e poi fosse di nuovo ricaduto nel coma. Un tale ritorno di coscienza, sia pure per un attimo, viene escluso in modo assoluto da tutti quelli che in quei momenti fatali gli erano accanto. Quei suoni sono dunque usciti da una persona in coma, una persona sulla soglia della morte e di quell'oscuro passaggio in cui "gli occhi", cioè tutti i sensi e tutta la sensibilità sono immersi, fissi e rivolti al nuovo mondo che si apre davanti..    

Essi dunque non possono essere, dunque, che il frutto di un “vissuto” (se così vogliamo chiamarlo) elaborato nello stato di coma; quelle parole sono state senz'altro un derivato da percezioni, da "un qualcosa" che è stato "visto" in quello stato di incoscienza e inconsapevolezza del mondo esterno. Devono necessariamente essere stati l'espressione - diremmo noi studiosi del paranormale, nel nostro linguaggio - di percezioni extrasensoriali e di un vissuto ESP e NDE..Queste ultime parole emesse da papa Giovanni Paolo II la mattina del 1 aprile sono state raccolte con difficoltà ma con sufficiente sicurezza dal portavoce ufficiale del Vaticano, l’onnipresente Gioaquim Navarro Valls e dal segretario del papa monsignor Stanislaw Dzwisz che erano presenti, e poi sono state da loro ricostruite e interpretate concordemente e concordemente ci sono state riferite. Loro stessi ci hanno detto di questa estrema difficoltà di riconoscere quello che veniva detto in quel mormorio di parole, in quei pochi rauchi suoni emessi dal papa in stato di incoscienza ma concordemente hanno convenuto che quelle parole erano – che il papa aveva detto – 

“Vi ho cercato, adesso siete venuti da me, per questo vi ringrazio”.

Sempre il portavoce del Vaticano ha spiegato queste parole – ne ha dato la “sua” lettura e spiegazione – dicendo che con esse papa Wojtyla voleva riferirsi alle migliaia di ragazzi, i “papa boys”, che, accorsi da tutto il mondo, riempivano la sottostante piazza S. Pietro e pregavano per lui. Il papa amava i suoi ragazzi, dei quali tante volte si era circondato. I papa boys amavano il loro papa, che così tanto si era occupato di loro e li considerava la speranza del futuro. Nulla di strano dunque - verrebbe da pensare - che il papa, sapendo di quelle migliaia di giovani presenze verso cui si indirizzava la sua sollecitudine, avesse rivolto a loro il suo pensiero e le sue parole e li avesse ringraziati per la loro presenza e per quella loro estrema dimostrazione di affetto.

Nulla di più improbabile, nulla di più inverosimile, nulla di più sbagliato - a mio modesto avviso - di una tale interpretazione. Nulla di strano "se" il papa, sapendo di quelle migliaia di giovani presenze .... Ma il papa era in stato di incoscienza da tante ore, nulla poteva sapere di quella folla in silenziosa trepidazione per lui e in preghiera; se anche gliene avessero parlato, se anche glielo avessero detto prima, quando aveva ancora qualche barlume di coscienza, una persona in coma non poteva esprimere delle considerazioni al riguardo. Papa Giovanni Paolo II non aveva più avere il riflesso cosciente e non poteva parlare per un tale riflesso cosciente; la folla e i giovani non potevano essere oggetto di una sua attenzione, di un suo pensiero e di sue parole consapevoli in quel momento, nello stato di coma in cui si trovava. Neanche come risonanza subliminale di un vocio, perché la folla, di sotto, era silenziosa. Nello stato di coma quelle parole dovevano essere invece il riflesso e la risposta a un vissuto di coma.

“Vi ho cercato, adesso siete venuti da me”. A che, a chi si riferiva, cosa vedeva, a chi parlava il mistico papa Wojtila, il mistico del "totus tuus"? Doveva trattarsi di un qualcosa, quelle parole dovevano riferirsi a "qualcuno" ("qualcuno" al plurale, perché le parole erano al plurale) che stava davanti a lui, che lui “vedeva”, che era presente nella sua mente (e non ai suoi occhi fisici), nella sua psiche, nel suo spirito. Altrimenti, se si fosse voluto riferire ai giovani sottostanti venuti per lui, avrebbe piuttosto detto “Li ho cercati, sono venuti da me, li ringrazio”.

No, no, si riferiva a qualcosa che la sua mente, nello stato modificato di coscienza del coma, vedeva; a qualcosa che la sua coscienza, esteriorizzata dal corpo e dai canali sensoriali, percepiva nella dimensione diversa di quello stato di coscienza diverso. Non poteva trattarsi che di “Esseri” immateriali, spirituali, percepibili (solo) in stato di coscienza modificato; Esseri di Luce - perché papa Giovanni Paolo II era stato lui stesso, in vita, una Figura luminosa – che si erano presentati a lui in quel momento terminale, in quel momento di crisi di passaggio. E si trattava di “Esseri” che lui ha riconosciuto, sapeva chi erano, erano stati l’oggetto del suo amoroso pensiero e della sua costante ricerca durante la sua vita - altrimenti non avrebbe detto “Vi ho cercato”, “siete venuti”. “Esseri” che erano una promessa di speranza e di gioia – perciò le sue parole “vi ringrazio”.


Il fenomeno verosimilmente accaduto a papa Giovanni Paolo II deve essere stato uno di quelli che appartengono alla classe fenomenica ben conosciuto dalla ricerca psichica che va sotto il nome di “visioni sul letto di morte” oppure “visioni dei morenti”. La letteratura sul paranormale ne descrive tantissimi episodi e vi sono molte raccolte specializzate che parlano specificamente di questi di casi. 

Molto spesso chi si trova accanto a una persona che sta per morire ha notato – e poi ha riferito – che il morente, ancora cosciente ovvero già incosciente, diceva di vedere – vicino a sé, accanto al letto, per aria, nella stanza – dei parenti o amici premorti che riconosceva e chiamava per nome ovvero dei personaggi a lui sconosciuti - tutte figure che nessun altro dei presenti accanto al morente vedeva - e parlava con loro; ovvero, se il morente era in stato incosciente e non poteva parlare, dava segni e teneva una mimica come se si vedesse o ci fosse accanto a lui qualcuno, invisibile agli altri presenti, e parlasse con lui.

Gli stessi defunti, nelle loro comunicazioni spirituali inviate attraverso i medium, molte volte hanno detto che, al momento del trapasso, sono venuti ad accoglierli o comunque hanno visto – e si sono salutati, ci hanno parlato – parenti o amici già morti, o Esseri di Luce o Angeli o altre figure. 

Sono notissimi, poi, i casi di N.D.E., Near Death Experience, in cui la persona malata o in pericolo di vita e in condizione perimortale e spesso in coma, una volta che si è risvegliata dal coma e si è salvata dalla morte, ha raccontato che, in quella condizione e in quei momenti, si è visto di fronte o ha incontrato quelle figure fantomatiche di cui si è detto (parenti e amici premorti, Esseri di Luce ecc.), che lo hanno poi rimandato indietro, dicendogli o facendogli capire che non era ancora giunto per lui il momento di venire là dove stavano loro.

Il fenomeno paranormale delle “visioni dei morenti” rientra nella più vasta categoria delle “apparizioni”, che si hanno quando viene percepita, per via extrasensoriale, la presenza psichica di una persona che fisicamente (cioè con il suo corpo fisico) non c’è. Questa percezione avviene perché (quando) la mente è in uno stato di coscienza diverso da quello normale (in cui si percepisce attraverso i sensi) e invece percepisce direttamente con la mente le realtà mentali. La mente percipiente e le realtà mentali percepite (Esseri o informazioni) hanno una natura (psichica, spirituale) analoga, si trovano su una stessa lunghezza d’onda, e così la prima può “sentire” le seconde (e viceversa), ne avverte la presenza e l’esistenza nel suo campo di percezione, le conosce e le riconosce e può comunicare con loro.

L’analisi di quanto è accaduto a papa Giovanni Paolo II mostra con sufficiente evidenza che si sono verificati tutti gli elementi per un fenomeno del genere: stato di incoscienza e premortale, per cui quello che papa Giovanni Paolo ha detto non è riferibile a un elaborato cosciente; percezione, da parte sua e in questo stato, di "qualcosa", personaggi e figure, che hanno determinato la sua reazione con quelle parole e che gli altri non vedevano; riferibilità di queste parole (per il senso, anche grammaticale, che hanno) a una presenza invisibile e non a una realtà materiale del momento; piena corrispondenza con gli altri casi del genere di apparizioni ai morenti sul letto di morte.

Dunque, tutto lascia ritenere che papa Giovanni Paolo II abbia avuto una visione del genere nel momento della sua morte.

Del resto, i casi di fenomeni paranormali – tipici, come tipologia del fatto accaduto, a quanto già conosciuto, studiato e catalogato dalla parapsicologia - che avvengono in corrispondenza con il trapasso di un papa non mancano. E così, è noto che quando morì Palo VI, l’orologio della sua stanza suonò da solo, come riferì, a suo tempo, il suo segretario.

S. Alfonso de’ Liguori stava nel suo palazzo ad Arenzo, nell’allora Regno di Napoli, quando d'improvviso, stava seduto su un seggiolone, cadde in torpore di sonno e vi rimase immobile per ventiquattro ore. Nello stesso tempo fu visto in Vaticano vicino al letto di papa Clemente XIV, che era malato, e gli prestava assistenza. S. Alfonso si risvegliò da quel torpore alle sette del mattino del giorno dopo, proprio nel momento in cui il papa era morto.    

Un sacerdote, Gaetano Dall’Olio, che era anche professore presso l’Università di Bologna, una notte dell’agosto del 1921 sognò un suo antico insegnante, che da tempo era morto. Questi nel sogno, tra le altre cose, fece una predizione, gli disse che papa Benedetto XV, allora regnante, aveva nominato il cardinale Achille Ratti, che presto sarebbe stato il suo successore, perché il papa sarebbe morto tra il 20 e il 25 del gennaio successivo. Il giorno dopo, Gaetano Dall’Olio raccontò il sogno a diversi sacerdoti della sua parrocchia, che sono stati dunque i testimoni del racconto e del fatto. Effettivamente, Benedetto XV, che allora stava ancora bene, morì il 22 gennaio seguente e gli successe proprio il cardinale Ratti col nome di Pio XI

Ma la domanda che più sentiamo urgerci dentro è chi possano essere stati quegli Esseri di Luce che sono comparsi a papa Giovanni Paolo II sul suo letto di morte. Questo rimarrà un mistero, nessuno ce lo dirà mai; e forse non è neanche lecito domandarselo, curiosare. 

Ma un indizio, uno sì, lo abbiamo. Una possibile (e che a noi piace) risposta su queste visioni si può avere mettendo insieme la sua devozione e quelle sue ultime parole. Queste sono state “Vi ho cercato…”. Chi ha cercato, a chi si è sempre rivolto papa Wojtyla? Quale la sua invocazione, il suo richiamo, a chi lui si affidava, in chi soprattutto confidava, specie negli ultimi tempi, quando sentiva tutta la gravità della sua malattia? Ci tornano a mente - non possono non tornare a mente -  a questo punto e a questo proposito, quelle altre sue parole “Totus tuus” che sempre sono state il suo viatico, il suo "affidarsi". 

E poi chi potevano essere gli altri Esseri di Luce – perché il papa, nelle sue parole “Vi ho cercato, siete venuti, vi ringrazio” parlava al plurale - soprattutto Chi poteva essere l'altro Essere di Luce che accompagnava la Figura del “Totus tuus”? Fermiamoci alla domanda.

A parte queste ultime considerazioni, che restano delle pure illazioni, dei presentimenti che ci lasciano senza fiato, per tutto il resto penso che quanto ho sopra detto basti per ritenere che l’interpretazione sopra data alle parole del papa e l’ipotesi avanzata di una sua della presumibile "visione sul letto di morte" siano qualcosa di più, di molto di più di una semplice congettura.



Elohim Australiani

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“Prima di ogni cosa esisteva Altjeringa, il Mondo del Sogno; i Kundingas, i Padri venuti dallo spazio sognavano l’Australia, la nostra terra, cercando un luogo dal quale i loro discendenti avrebbero potuto trarre nutrimento e conoscenza”. 


Un insolito passato

Il termine Aborigeni Australiani, identifica le popolazioni autoctone dell’Australia, ovvero i discendenti di coloro che, circa 60.000 anni fa giunsero in quel continente, anche se questa data è ancora molto discussa tra gli archeologi. Quello che più ci interessa ai fini di questo articolo, nonostante la loro storia sia un argomento non privo di importanti episodi, è il complesso di credenze, miti e raffigurazioni che riguardano un antico passato, un periodo nel quale si affaccia prepotente l’idea di una interazione con esseri provenienti dalle stelle. Quest’ultimo termine, diventato quasi un luogo comune quando ci si interessa di culture che riportano avvenimenti vicini all’ipotesi extraterrestre, è in questo caso perfettamente aderente alle tradizioni di coloro che vengono spesso indicati come i primi abitanti del pianeta terra. 

Per quanto possa sembrare impossibile, ci sono cose in Australia che non si possono spiegare, cose che rendono questa terra, o comunque gran parte di essa, un mondo a parte, che è possibile osservare e recepire soltanto se ci si pone in uno stato introspettivo, liberandosi dai preconcetti. In questa “dimensione parallela”, l’unico padrone è il Sogno, un particolare stato della mente che permette, una volta superato il rito del Kadajingera, di distinguere una normale roccia da quella che invece rappresenta “il Sogno dell’Acqua”, oppure osservare gli anfratti tra i monti e trovare “il Sogno della Giustizia”. Non è soltanto una antica credenza, il residuo di atavici insegnamenti; per gli Aborigeni si tratta di una vera e propria eredità, il dono lasciato dai Fratelli dello Spazio. Gli Dei che scesero dal cielo sono una costante nella cultura di questo popolo, sono le radici stesse di un passato che si presenta con non pochi misteri da risolvere. 


Quello che rimane sono delle pitture rupestri, in particolare quelle presenti nella zona di Alice Springs (dove è possibile imbattersi in pitture raffiguranti esseri con abiti spaziali); altri siti degni di nota sono quelli di Ndahla Gorge (degli Dei con antenne), di Yarbiri Soak e di Nimingarra. Un particolare curioso riguarda invece Moon City, che la leggenda vuole distrutta dal carro di fuoco del Dio del Sole; stranamente la zona risulta completamente erosa e disseccata, un fenomeno che gli archeologi attribuiscono ad un effetto della natura, senza però spiegare per quale motivo, tutto intorno, non esistano tracce di erosione.

Chi fossero questi misteriosi esseri non è facile dirlo; più ci si addentra nella cultura degli Aborigeni, più ci si scontra con realtà che non dovrebbero esistere. In un territorio ancora in gran parte selvaggio, teatro di innumerevoli avvistamenti Ufo, una creazione che ancora oggi qualcuno si ostina a definire “primitiva” è a conoscenza del legame esistente tra la luna e il ciclo delle maree (il mito di Alinda, l’Uomo Luna), ed è al corrente che la stessa luna ha un ciclo differente da quello del sole. Chi portò queste conoscenze? Possibile credere che siano nate dalla semplice osservazione della volta celeste? 

Il mistero dei Wandjina

Molte delle tradizioni orali si riferiscono ripetutamente a delle particolari stelle, Beta e le Pleiadi, e tutte partono dai ricordi legati ai misteriosi Wandjina, esseri giganteschi, senza bocca, e dagli occhi neri, che portano sulla testa una sorta di aureola a raggi. Vengono molto spesso rappresentati con una infinità di trattini verticali, a simboleggiare la pioggia della quale sono i portatori; il loro capo, Maswac, è così potente che non ha bisogno della bocca per esprimere la sua autorità.


I Wandjina, che tradotto letteralmente significa “il Tutto”, vissero in un tempo chiamato “dei genitori”, un'era durante la quale alcuni di questi Dei, descritti come esseri umani giganteschi e senza bocca, con la testa raggiata e gli occhi neri, insegnarono le leggi agli uomini. In un periodo indeterminato della nostra storia i Wandjina subirono una trasformazione, e crearono il mondo attraverso il canto (da notare la somiglianza con il suono biblico, il Verbo e il Logos).

Provenivano da una particolare epoca, chiamata “Il Tempo del Sogno”, durante la quale gli Dei non avevano una forma ben definita, pur essendo comunque di enormi proporzioni. Il loro principale compito fu quello di insegnare "le leggi, i precetti e le regole di comportamento", oltre che introdurre i rituali e le pratiche cerimoniali ancora oggi in uso presso le varie tribù. 

Importante osservare come le tribù indigene indichino questi Dei con un secondo nome, “Lo Spirito nella Nuvola”, raffigurando una sequenza di figure umane stilizzate insieme a rappresentazioni di nuvole. Questa dualità di forme antropomorfe e nuvole è molto diffusa nelle culture primitive, e trova anche un interessante parallelo nei racconti biblici narrati nel Libro dell’Esodo.


Ma le maggiori somiglianze sono quelle riscontrate con gli antichi e moderni racconti riguardanti l’interazione con il nostro pianeta di esseri provenienti dallo spazio; per quanto questa ipotesi possa apparire scontata, ed essere magari etichettata come il solito argomento portato avanti dai ricercatori in campo ufologico, esistono alcuni fatti che, ad oggi, non trovano alcuna spiegazione plausibile se non quella appena citata. Alcune tribù Aborigene, ad esempio, raccontano di un essere chiamato Djamar; veniva dallo spazio e atterrò sulla terra a bordo di un oggetto lucido, lasciando sul terreno quattro fori perfettamente regolari.


Ancora oggi, si racconta che la sua presenza sia preceduta da un forte vento, e ancora oggi, nel letto di sassi di un torrente, sono visibili i fori prodotti dalla sua “macchina volante”; a riprova della veridicità del loro racconto, gli Aborigeni mostrano le colline circostanti sulle quali non cresce più alcuna pianta, e le cortecce danneggiate, tutti danni permanenti provocati dall’atterraggio di Djamar; difficile a questo punto non fare un raffronto con i risultati delle indagini condotte sul presunto atterraggio di Ufo in epoca moderna.

Il veivolo di Djamar si chiamava “Tjurunga”, e viene descritto come un lungo e lucente oggetto sigariforme dalle tante luci. Altra tradizione “sospetta”, è quella che parla degli “uomini intelligenti” o “uomini di alto grado” e delle loro “ascensioni celesti”. Si tratta degli sciamani aborigeni, i cui rituali di iniziazione mostrano un sorprendente parallelismo con la descrizione dei moderni casi di Abduction; lo stesso dicasi per il rituale di “morte e resurrezione”, durante i quali, al risveglio dallo stato estatico, il candidato racconta di un meraviglioso mondo celeste, e tutti i soggetti, anche se appartenenti a tribù diverse e non in contatto tra loro, descrivono lo stesso scenario.

Riassumendo abbiamo: stato di estasi (rapimento da parte degli Dei celesti), rimozione rituale di parti del corpo (esperimenti sulle vittime dei moderni rapimenti), salite aeree e viaggi in strani mondi (descrizione delle astronavi da parte dei rapiti), trasformazione personale (esperienze mistiche dei rapiti). A riprova di quanto appena detto ecco un confronto tra due diverse testimonianze:

Frank Lavery, contattista australiano, da una dichiarazione rilasciata nel luglio del 1977: “…ero sdraiato sul pavimento di una stanza poco illuminata…alzai gli occhi e vedi una figura umana…poi una fascio di luce bianca mi abbagliò…mi sollevavo piano da terra…ma opponevo resistenza e poco dopo mi sentii precipitare in basso…”.

Racconto di uno sciamano Aborigeno: “…ero sdraiato…un fascio di luce bianco abbagliò il mio occhio interiore…un uomo, molti uomini…mi sentivo salire verso l’aria, in alto, nel cielo, ma lo sforzo era troppo e tornai alla piena consapevolezza”. 

Dreamtime: Il tempo del Sogno

Nella mitologia degli aborigeni australiani, il “Dreamtime”, il Tempo del Sogno, rappresenta l'epoca precedente alla creazione del mondo, voluto dalle “creature sognanti” che cantavano tutto il creato. Ognuno di questi canti è la descrizione del percorso che segue ogni creatura ancestrale durante il suo viaggio originario; importante rilevare che ogni canto, quasi fosse una vera e propria mappa, possiede una propria struttura musicale, a sua volta corrispondente alla morfologia del territorio attraversato.

Il Tempo del Sogno è un elemento comune a tutte le tradizioni culturali aborigene, anche se poi molto spesso diverse tra loro per altri versi; le origini delle storie riferite al Tempo del Sogno si perdono nella notte dei tempi, tramandate sempre allo stesso modo da più di 40.000 anni. Per quanto possa apparire semplice nella sua esposizione, il Dreamtime in realtà si esprime attraverso regole ben precise e contiene molte parti, queste quelle principali:

1. La storia delle cose che sono accadute.
2. Come si venne a creare l'universo.
3. Come furono creati gli esseri umani.
4. Come il Creatore sognò il loro ruolo all’interno del cosmo.

I racconti relativi al Sogno accennano spesso a Jiva o Guruwari, una sorta di seme di energia che venne depositato sulla Terra, la cui potenza creatrice è proprio il Sogno, capace di plasmare e dare vita ad ogni cosa. Anche lo stesso termine (Dreamtime), assume significati diversi in base al contesto nel quale viene usato; il Tempo del Sogno, infatti, si riferisce al “tempo prima del tempo”, oppure al “tempo della creazione di tutte le cose”, mentre per riferirsi a un individuo oppure a un gruppo di credenze e tradizioni si usa l’espressione Dreaming. 


Ayers Rock: la montagna sacra

Quando si scrive dell’Australia, degli Aborigeni e dei misteri che li circondano, non si può non citare il monolito più grande del mondo: nove chilometri di circonferenza e una moltitudine di enigmi, fanno di Ayers Rock una sorta di totem che simboleggia il mito della creazione. Nella tradizione sacra il luogo prende il nome di Uluru, il Cuore Rosso, plasmato dai Padri dello spazio quando il mondo era ancora piatto e senza alcuna forma.

Gli aborigeni rappresentano i più antichi abitanti del Cuore Rosso, la loro esistenza, infatti, fa retrodatare di oltre 30.000 anni la presenza dell'uomo in Australia. Le varie tribù, che tra loro si definiscono genericamente con il nome di Arunta, sono accomunate da un complesso di credenze mitiche e religiose intimamente legate alla natura, e in particolare, proprio alle strutture rocciose di Ayers Rock e dei vicini Monti Olgas. Nelle caverne che si aprono alle pendici, pitture e graffiti raccontano da millenni una antica eredità, lasciata a questo mondo da misteriosi esseri provenienti dalle stelle.


Proprio su questo complesso roccioso abitavano, ai tempi dell’Altjeringa, gli Uomini Lepre, conosciuti come Pitjantjarjiara, o più comunemente come Kundingas; a questi misteriosi esseri si affiancavano gli Uomini Lumaca (Yankuntjatjara). Nelle grotte ai fianchi della montagna, alle quali il Governo Australiano ha vietato l’accesso tranne che per gli Aborigeni, nei pressi di una roccia chiamata “il Sogno del Saggio”, si svolgono le cerimonie di iniziazione alla Kadajingera. 


Spostandosi da Ayers Rock, i Kundingas, metà uomini e metà animali, avevano iniziato a sognare; questo termine, che ricorre molto spesso nei racconti degli Aborigeni, non deve essere inteso nel senso comune che siamo soliti attribuirgli, si tratta in realtà di una via di mezzo tra il creare e il cantare. I Kundingas attraversarono tutto il territorio australiano alla ricerca di fonti, di rocce, e di percorsi che si sarebbero in seguito rivelati utili ai loro discendenti; durante i loro spostamenti creavano gli uomini dall’argilla, lasciandosi dietro una lunga scia di note musicali.


Quando ripartirono (secondo alcune tradizioni si addormentarono all’interno degli alberi), lasciarono il ricordo del loro sogno nei ricordi e nelle tradizioni dei loro figli, gli Aborigeni. Gli Aborigeni che hanno superato il rito magico iniziatici (Kadajingera), sono in grado di vedere questo mondo, ma poiché la terra nacque dal seme universale, la sua energia appartiene a tutti e da tutti può essere osservata; anche i bianchi, quindi possono distinguere una semplice roccia da una roccia che esprime invece il Sogno dell'Acqua.

Coloro che sono in grado di sognare pur non essendo Aborigeni vengono definiti “Cumbo”, e tutti sono legati da particolari vincoli di parentela, completamente diversi da quelli che noi concepiamo; un Aborigeno, così come un Cumbo, può avere infatti molti “padri” e molte “madri”. Si tratta forse della più antica e semplice spiegazione di un legame tra l’uomo e alcune forme di vita che dimorano nello spazio, un legame che un tempo era ben conosciuto, e che oggi rimane uno dei più antichi misteri da riscoprire. 

Nibiru e Nemesis esistono! (Anche se non proprio come intendeva Sitchin...)

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Il Sistema Solare ha un nuovo membro e potrebbe aiutarci a capire meglio le regioni più esterne e misteriose, come la Nube di Oort. Questo nuovo corpo si chiama 2012 VP113, e si trova oltre quello che è comunemente considerato il confine del Sistema Solare interno. Secondo gli scienziati infatti, si tratta del primo membro certo della Nube di Oort, che è la fascia più esterna in orbita intorno al Sole. Ma la notizia più incredibile è quello che questo piccolo pianeta sembra indicare: la presenza di un nuovo enorme corpo con una massa fino a 10 volte la Terra. Questo ipotetico nuovo grande pianeta del Sistema Solare potrebbe spiegare anche disturbi visti in altri corpi oltre all'orbita di 2012 VP113.

Illustrazione della Nube di Oort

Il Sistema Solare può essere diviso in tre parti: i pianeti rocciosi interni come la Terra o Marte; i giganti gassosi come Giove ma anche Nettuno, ed infine gli oggetti di ghiaccio e roccia della lontana Cintura di Kuiper, di cui fanno parte i pianeti nani come Plutone, Eris, Makemake, etc. Oltre questo confine conosciamo pochissimo del Sistema Solare. Abbiamo scoperto soltanto un'altro oggetto che arriva in regioni così lontane, ed è Sedna. Ma questo nuovo pianeta nano ha un'orbita ben più lontana di Sedna ed è ad oggi il corpo più esterno mai scoperto nel Sistema Solare.

"Questo è un risultato straordinario e ridefinisce la nostra comprensione del Sistema Solare" ha spiegato Linda Elkins-Tanton, direttore del Dipartimento per il Magnetismo Terrestre del Carnegie Institute.

Sedna fu scoperta nel lontano 2003 ma all'epoca nessuno sapeva se fosse un corpo più simile a Plutone oppure diverse e facente parte di una nuova classe di oggetti ancora da determinare. COn la scoperta nel 2012 di VP113, adesso è chiaro che Sedna è parte della Nube Interna di Oort, da dove hanno origine anche le comete.

2012 VP113, con un diametro che si aggira intorno ai 450 km (un po' più piccolo di Vesta), arriva nel suo punto più vicino al Sole a circa 80 volte la distanza che separa noi dalla nostra stella (80 Unità Astronomiche). Per darvi un'idea di quanto significa, la regione interna del Sistema Solare, dei pianeti rocciosi, si trova da 0.39 a 4.2 Unità Astronomiche. I giganti gassosi si trovano da 5 a 30 Unità Astronomiche, mentre la Cintura di Kuiper, composta da migliaia di oggetti di ghiaccio, va da 30 a 50 Unità Astronomiche. Nel sistema solare interno c'è un confine distinto a circa 50 UA. Fino ad ora conoscevamo soltanto Sedna come oggetto che periodicamente esce da questo confine, arrivando a 76 UA.

Queste tre foto mostrano VP113 ripreso a distanza di 2 ore tra una foto e l'altra. Credit: Scott S. Sheppard: Carnegie Institution for Science
Queste tre foto mostrano VP113 ripreso a distanza di 2 ore tra una foto e l'altra. Credit: Scott S. Sheppard: Carnegie Institution for Science

Illustrazione creata in Celestia delle orbite di Sedna, Eris, Plutone ed il nuovo oggetto scoperto, chiamato 2012 VP113
Illustrazione creata in Celestia delle orbite di Sedna, Eris, Plutone ed il nuovo oggetto scoperto, chiamato 2012 VP113 

Orbita di Sedna
Orbita di Sedna

"La ricerca di questi oggetti della Nube Interna di Oort, oltre Sedna e 2012 VP113, dovrebbe continuare dato che ci potrebbe insegnare molto del nostro Sistema Solare e di come si è formato ed evoluto." ha spiegato Sheppard.

Sheppard e Trujillo hanno usato la nuova camera DECam (Dark Energy Camera) sul telescopio NOAO da 4 metri, in Cile, per fare la scoperta. La DECam ha il più grande campo di vista di qualsiasi telescopio di questa classe e questo la rende ottimale per questo tipo di indagini su grandi regioni del cieli per cercare oggetti molto piccoli. In seguito alla scoperta, il più grande Telescopio Magellan, da 6.5 metri, a Las Campanas Observatory, è stato usato per determinare l'orbita di 2012 VP113 ed ottenere informazioni dettagliate riguardo alle proprietà della sua superficie.

Ecco la DECam montata sul telescopio da 4 metri dell'ESO
Ecco la DECam montata sul telescopio da 4 metri dell'ESO

Data l'ampiezza della regione del cielo che è stata osservata, Sheppard e Trujillo hanno determinato che circa 900 oggetti con orbite simili a Sedna e 2012 VP113 e con grandezze sopra i 1.000 km, dovrebbero esistere in questa parte interna della Nube di Oort e dovrebbero rappresentare in totale una popolazione che potrebbe essere globalmente maggiore persino rispetto a quella della Cintura di Kuiper e la Fascia di Asteroidi.

"Alcuni di questi oggetti della Nube Interna di Oort potrebbero rivaleggiare in grandezza a pianeti come Marte e la Terra. Questo perché molti degli oggetti interni della Nube di Oort sono così distanti che anche quelli più grandi sarebbero troppo pallidi per essere scoperti con le attuali tecnologie" spiega Sheppard.

Sia Sedna che 2012 VP113 sono stati infatti scoperti durante il momento in cui si trovavano più vicini al Sole, ma hanno orbite che si estendono fino a centinaia di UA e diventerebbero troppo pallidi per essere scoperti. Infatti, la similitudine nelle orbite di Sedna, 2012 VP113 ed alcuni altri oggetti più esterni della Cintura di Kuiper, fanno intuire la presenza di un oggetto molto massiccio che porta gli oggetti in queste configurazioni orbitali. Sheppard e Trujillo suggeriscono che una Super-Terra (come ne abbiamo scoperte tante intorno ad altre stelle) o un oggetto ancor più grande ma distante centinaia di UA potrebbe creare questo effetto nelle orbite di questi oggetti.

Illustrazione della Nube di Oort. Credit: NASA
Illustrazione della Nube di Oort. Credit: NASA

Non sarà però facile conciliare tutte queste scoperte con le nostre attuali teorie sulla formazione planetaria. Prima di tutto, non abbiamo ancora un modello che spieghi l'origine di questa regione così interna, della Nube di Oort. Attualmente, le ipotesi principali sono tre: 1) Un pianeta espulso dal Sistema Solare durante l'epoca primordiale della migrazione planetaria potrebbe aver perturbato la Cintura di Kuiper e la Nube di Oort, creando una fascia interna con oggetti in orbite molto ellittiche. 2) Un incontro molto ravvicinato (in termini cosmici), con un'altra stella potrebbe spingere oggetti della regione esterna della Nube di Oort verso una regione più interna. 3) Il Sole è nato in un piccolo ammasso con altre stelle, e magari durante la migrazione di queste stelle, la gravità del Sole ha catturato pianeti in formazione intorno ad altre stelle vicine.

In base a quanto sappiamo, la Nube di Oort è divisa in due regioni, e si pensa che il confine si trova intorno a 1.500 UA. Questo preciso confine è dato dal fatto che da questo punto in avanti, la gravità di stelle vicine potrebbero perturbare questi oggetti, rendendoli instabili. La scoperta di questa nube si deve appunto alla necessità di scoprire da dove arrivavano le comete e cosa disturbava la loro orbita spingendole verso l'interno. Ma la regione Interna dell Nube di Oort non sarebbe influenzabile facilmente da altre stelle e questo potrebbe contribuire a mantenere stabili orbite planetarie di oggetti più grandi.



Sulla Famiglia di Yahweh

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Pensare ad un culto della dea madre all’interno della religione ebraica potrebbe a prima vista sembrare completamente insensato: in fondo stiamo parlando della religione monoteistica per eccellenza, che non ammette altra divinità all’infuori di Jahweh e che condanna senza remissione ogni pur velata forma di deviazione politeistica.

Le cose stanno certamente così, ma solo se ci riferiamo all’Ebraismo post-mosaico, mentre, in realtà, poco o nulla si può sapere con certezza sulla natura di culto ebraico prima della migrazione dall’Egitto e quel poco che riusciamo a ipotizzare su basi razionali sembra andare decisamente contro la visione classica dell’Israelitismo.

Nella storia ebraica, Abramo adora una divinità chiamata “Elohim” (e vedremo che questo termine ha una enorme importanza, essendo il plurale di “El”), che viene anche chiamato “El Shaddai” (“l’onnipotente”) o con un paio di altre varianti, mentre l’uso del “tetragrammon” si sviluppa solo dopo l’incontro di Mosé con Dio sul Monte Sinai. Il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe è, per altro, un Dio che vuole sacrifici di animali ed espiazioni regolari, che si intromette sulla vita umana con repentinità sorprendente e che richiede atti spesso assurdi ai suoi fedeli. Il corretto rapporto umano verso questo Dio è l’obbedienza e addirittura la prima storia dell’umanità è una storia di persone oscillanti tra autonomia e obbedienza incondizionata a questo Dio antropomorfico, in cui abbondano le qualità umane e che spesso si mostra adirato verso il suo popolo. Il Dio della Genesi è, inoltre, chiaramente bisessuale, venendo alternativamente indicato con termini sia femminili che maschili: ad esempio si parla di una sua maternità (e non, come erroneamente tradotto in seguito, paternità), di un suo “parto con doglie” dell’umanità, mentre viene indicato come “padre”  solo due volte in tutto il primo libro della Torah [1].

Sulla base delle discrepanze tra visione divina pre-mosaica e post-mosaica, alcuni studiosi hanno concluso che un vero e proprio rigido monoteismo sia iniziato solo dopo l’Esodo, tra il 1300 e il 1200 a.C., mentre in precedenza, non diversamente dagli altri culti semiti, la religione ebraica era animista, cioè basata sul culto delle forze della natura, magistica, cioè sviluppata su pratiche di magia imitativa, e sostanzialmente antropomorfica, con un culto del trascendente che apparirà solo in un secondo tempo [2].

Soprattutto (e qui sta certamente l’elemento più stupefacente) era una religione politeistica, in cui singole tribù probabilmente adoravano divinità diverse. E’ soprattutto questa ipotesi che ha mosso le ire di letteralisti sia ebrei che cristiani, che hanno accusato i suoi sostenitori di trarre conclusioni fondate sul nulla e relative ad epoche su cui nessuna fonte ci può informare correttamente.


Lasciando da parte il fatto che la stessa obiezione può essere rivoltata proprio contro i letteralisti, dal momento che non un solo versetto della Genesi ci conferma che un Dio nazionale esistesse già al tempo dei patriarchi, in effetti qualche prova a sostegno di una teoria politeista esiste e deriva da una lettura attenta della Bibbia.

Cancelliamo per un istante tutta la costruzione teologica che è diventata parte del nostro substrato culturale e poniamo, anche solo per assurdo, come mera ipotesi, l’assunto che la religione ebraica non si sia sviluppata singolarmente ma derivi da un più ampio nucleo religioso-mitologico mediorientale, da cui derivano tutte le religioni del Mediterraneo orientale, incluse quelle sumeriche e greco-arcaiche. Sarebbe possibile trovare elementi a sostegno di questa idea?

Effettivamente sì. Solo per fare qualche esempio e senza scendere nei particolari, è impossibile non notare la quasi perfetta sovrapponibilità del racconto di Noè e del diluvio universale con quello del diluvio di Gilgamesh o di quello di Deucalione e Pirra; la somiglianza delle vicende di Eva con quelle di Pandora; la sovrapponibilità del racconto di Sodoma e Gomorra con il mito di Enki ed Enlil[3].

Ma, soprattutto, una teoria di questo genere renderebbe ragione di alcuni elementi davvero oscuri della Tanakh:

- in Geremia 10:11 troviamo: “«Così direte loro: ‘Gli dèi che non hanno fatto i cieli e la terra scompariranno dalla terra e da sotto il cielo’»“, che, evidentemente, implica l’esistenza di più dei anche se con ruoli diversi;

- in Genesi 1:2 abbiamo “In principio Dio creò il cielo e la terra“, che a prima vista potrebbe effettivamente sembrare un’affermazione molto monoteista, ma in cui, come accennato, se si legge l’originale ebraico, Dio è designato con la parola “Elohim” che è plurale (dei) di “El” o “Eloha” (dio), risultando come “il principio gli dei crearono…”, né vale riferirsi al verbo al singolare, visto che esso può tranquillamente indicare un collettivo (l’insieme degli dei) o pensare ad una variazione linguistica intervenuta nel corso del tempo, perché fino almeno a Genesi 2:4 “Elohim” viene usato per indicare dei (stranieri) al plurale;

- in Esodo 22:28 leggiamo, nell’originale ebraico, “non bestemmierai contro gli dei e non maledirai il principe del tuo popolo“, che, ancora una volta, implica l’esistenza di più dei, né è fondata l’obiezione di alcuni che qui ci si riferisca a dei stranieri e falsi, perché non avrebbe alcun senso una proibizione di bestemmiare contro di loro;

- in Salmi 136:1, infine, si recita “Lodate il Dio degli dei: perché la sua misericordia dura per sempre“, che ha poco senso se non pensando ad un pantheon di divinità di cui uno degli dei è a capo (un po’ come Zeus in Grecia o come in tutti i casi di politeismo antropomorfico).

Insomma, l’eventualità che in epoca mosaica si sia passati, attraverso canali usuali di inglobamento di divinità tribali minori da parte di divinità di tribù vincenti, da un politeismo di radice indo-europea al classico monoteismo ebraico e che tracce sparse del culto precedente siano rimaste all’interno della Tanakh esiste e appare non così remota.

E’ all’interno di questo quadro che va inserita la possibilità, in fondo piuttosto ovvia se si parte dal presupposto di un origine comune per le varie religioni mediterranee, di esistenza di una dea madre all’interno dell’antica religione israelita.

In questo senso, qualche anno fa, ha fatto piuttosto scalpore un testo scritto dal celebre storico e antropologo ebreo Raphael Patai [4] in cui l’autore ha sostenuto che la religione ebraica non solo storicamente avrebbe avuto elementi di politeismo, ma che tali elementi si sono concentrati specialmente sull’adorazione di dee e, in primo luogo, su un culto della dea madre. Il libro sostiene tale teoria attraverso l’interpretazione di numerosissime e difficilmente oppugnabili fonti archeologiche e testuali che non è qui il caso di ripercorrere e, in effetti, risulta assolutamente evidente che numerosi esseri divini femminili siano da tempi immemorabili presenti nel folklore ebraico e nelle rappresentazioni artistiche semitiche, da Astarte ad Anath, da Ashima o Asherah ai cherubini (che nell’originale ebraico sono “le cherubine”) nel Tempio di Salomone, da Matronit (Shekhinà), alla Sposa dello Shabbat, con, tra l’altro, ben precisi rituali ad esse legati, quali quelli di unione (“Yichudim”) di Dio con la sua Shekinah.


Proviamo a dare una rapida scorsa ad alcune di tali poco conosciute presenze femminili nella cultura ebraica.

Ashima (in ebraico אֲשִׁימָא) era una delle divinità protettrici delle singole città della Samaria menzionate espressamente  nella Bibbia ebraica, in un passo di 2 Re 17:30 in cui il processo di assorbimento delle divinità locali da parte della divinità nazionale Yahweh risulta piuttosto chiaro. In origine Ashima era una dea semitica occidentale della sorte legata alla dea accadica Shimti (“destino”), ma appare come “Ashim-Yahu” e “Ashim-Beth-El” nel tempio ebraico a Elefantina in Egitto[5].

Nel ciclo ugaritico di Baal / Hadad Anath, invece, è una violenta dea della guerra, una vergine guerriera che, in riferimenti più tardi, diventa amante di Baal, figlio di El, oppure una delle sue mogli dal momento che nella cultura semitica nord-occidentale era permesso avere più mogli e legami al di fuori del matrimonio erano normali per le divinità in tutti i pantheon.

Nella nord-cananea “Leggenda di Aqhat”, all’appena nato Aqhat, figlio del giudice Daniel, viene dato un meraviglioso arco con frecce creato per Anath dal dio artigiano Kothar-wa-Khasis. Quando Aqhat cresce la dea Anath cerca di ottenere l’arco da lui, offrendogli in cambio anche l’immortalità, ma Aqhat rifiuta. 

Come Inanna nell’Epopea di Gilgamesh (i richiami tra i due racconti sono piuttosto palesi), Anath si lamenta con El che le concede di riprendersi l’arco con la forza ma quando Anath invia contro Aqhat il suo aiutante Yatpan, il figlio di Daniel rimane ucciso (innescando una sorta di faida tra la sorella di Aqhat e Yatpan) e l’arco viene perduto in mare. Lo studioso Gibson[6], in una ipotesi a lungo osteggiata da altri antropologi culturali, ha riconosciuto in Atath una delle mogli di El, non a caso spesso definita nei poemi ugarici semplicemente “Elat” (“la dea” per eccellenza, in quanto moglie del dio per eccellenza). 

Di fatto, sebbene Anath non venga  mai menzionata nelle Scritture ebraiche come dea, il suo nome è apparentemente conservato nei nomi delle città Beth Anat e Anathoth, che fanno pensare ad una antica presenza di templi a lei dedicati e, tra l’altro, l’eroe Shamgar, figlio di Anath, è menzionato in Giudici 3:31 e in Giudici 5:06, facendo pensare alla possibilità di una sua interpretazione come semidio, sebbene John Day abbia pensato piuttosto ad un uomo posto sotto la protezione della dea[7]. Infine, è attestato che, verso il 410 a.C., i mercenari ebrei di Elefantina (l’odierna Assuan) adorassero una dea chiamata Anat-Yahu (Anath-Jahvè), venerata nel tempio originariamente costruito dai profughi della conquista babilonese della Giuda.


Se per Ashima e Anath possiamo parlare, comunque, di divinità in qualche modo straniere, retaggi periferici (samaritani e cananei) di culti precedenti, pienamente appartenente alla tradizione giudaica è la figura sacra della Shekhinah.

Il termine Shekhinah deriva dal verbo ebraico “שכן”, con il significato letterale di “stabilirsi, abitare” (ed è in questo senso molto presente nella Tanakh, ad esempio in Esodo 40:35, Genesi 09:27 e 14:13, Salmi 37:3, Geremia 33:16) e può  significare anche “regalità” o “residenza regale” (come nel Salmo 132:5): conseguentemente, nel classico pensiero ebraico, la Shekhinah si riferisce ad una abitazione o a una dimora della presenza divina, nel senso che, mentre in prossimità della Shekhinah, la connessione a Dio è più facilmente percepibile.

Ciò che risulta più interessante è la personificazione della Shekhinah con attributi femminili presente nel Talmud, che ha fatto pensare[8] ad un retaggio culturale riferito ad una divinità arcaica, una sorta di “sposa di Dio”, la cui antropomorfizzazione sembra riemergere in ambito cabbalistico, in particolare negli scritti di Isaac Luria, nel cui celebre “Inno dello Shabbat” troviamo:

“Io canto inni

per entrare nel cancello

del Campo

di mele santo.

Una nuova tavola

ci prepariamo per Lei,

un candelabro getta

la sua bella luce su di noi.

Ondeggiando a destra e sinistra

la sposa si avvicina,

in gioielli sacri

e vestimenti per festa … “[9]

Allo stesso modo, un paragrafo nello Zohar inizia così: “Si deve preparare un comodo sedile con cuscini ricamati [...] come uno che prepara un baldacchino per una sposa, perché essa è regina e  sposa per lo Shabbat [...] È per questo che i maestri della Mishna erano soliti uscire alla vigilia di Shabbat per riceverla sulla strada, e dicevano: ‘Vieni sposa, vieni sposa’. E si deve cantare e gioire a tavola in suo onore [...] si deve ricevere la Dama con molte candele accese, tanta gioia, bei vestiti, e una casa abbellita …“[10]


Proprio su queste basi Patai[11] e molti altri dopo di lui hanno visto in questa figura, chiaramente simbolica, il riassorbimento post-mosaico di un culto tribale riferito ad una dea della conoscenza, a sua volta, come accennato, antropomorfizzazione di un sentire comune probabilmente simile all’eggregoro.

Tra le divinità del pantheon semitico e dell’Israelitismo pre-mosaico, comunque, la più importante doveva essere quella che più da vicino riguarda il nostro discorso sul femminino sacro: Asherah (in ebraico אֲשֵׁרָה), la dea madre semitica per eccellenza, il cui culto doveva essere diffusissimo in tutta l’area del Mediterraneo orientale se, pur con nomi leggermente diversi, la ritroviamo anche area accadica (Ashratum / Ashratu), ittita (Asherdu, Ashertu) e ugarica (Athirat). In a dea ugaritico (più esattamente trascritto come Aṯirat)[12].

Nella letteratura ebraica la troviamo in particolare nel “Libro di Geremia” scritto intorno al 628 a.C. (Ger. 7:18 e Ger. 44:17-19, 25), in cui ci si riferisce a Asherah come “regina del cielo”(לִמְלֶכֶת הַשָּׁמַיִם).

In precedenza, nei testi di Ugarit (prima del 1200 a.C.) Athirat è quasi sempre definita come “Colei che cammina sul mare” ma, soprattutto, come “la creatrice degli dei (Elohim)”, essendo la consorte del dio El (e, infatti, tra i suoi appellativi figura anche “Elat”, forma femminile di El), caratteristica che mantiene anche in ambito ittita (Asherdu è sposa di Elkunirsa, “El il Creatore della Terra”).

Ciò che stupisce è come figurine identificata con Asherah siano sorprendentemente comuni nella documentazione archeologica dell’area palestinese, ad indicare la popolarità del suo culto fin dai primi tempi dell’esilio babilonese e come siano state trovate numerose iscrizione che collegano Yahweh e Asherah: un ostracon dell’VIII secolo a.C., rinvenuto dagli archeologi israeliani a Kuntillet Ajrud nel 1975, ad esempio, recita “io ho pregato su di voi la benedizione di YHVH nostro custode e della sua Asherah“, mentre una iscrizione di Khirbet el-Kom vicino a Hebron, reca impresso “Sia benedetto il Signore e la sua Ashera, che dai suoi nemici che lo hanno salvato!”. Allo stesso modo, tenendo presente che il simbolo di Ashera era normalmente una stele liscia, una colonna o un albero”, è impossibile non notare la quantità di raffigurazioni di questo tipo trovare in Israele e come “pali sacri” siano citati in Esodo, Deuteronomio, Giudici, 2Cronache, Isaia, Geremia e Michea[13].

Sia le prove archeologiche che i documento dei testi biblici dimostrano, dunque,  tensioni in periodo monarchico tra gruppi che supportavano adorazione del Signore accanto a divinità locali come Ashera e quelli che imponevano il culto del solo Yahweh: la ​​fonte deuteronomista dà certamente prova di una forte partito monoteiste durante il regno di re Giosia, alla fine del VII secolo a.C., ma la forza e la prevalenza del culto monoteistico in periodi precedenti è ampiamente dibattuta, sulla base delle interpretazioni di come gran parte della storia del Deuteronomio sia basata su fonti anteriori e di quanto tali fonti possano essere state rielaborate da redattori deuteronomistici per sostenere il loro punto di vista teologico.


E’ in questo quadro che un certo numero di studiosi, tra cui gli archeologi William G. Dever[14] e Judith Hadley[15] sostengono che, in un quadro di diffuso politeismo arcaico, Asherah, vista come dea madre creatrice e, conseguentemente, come trasposizione religiosa della fertilità e della fecondità, rappresentasse una dea consorte del Signore nella religione israelita popolare del periodo monarchico e fosse venerata come la Regina del Cielo. Altri (da Mark S. Smith a John Day e Andre Lemaire[16]) pur non obiettando sull’esistenza di un culto politeista e sulla presenza di divinità femminili nell’Israelitismo arcaico, negano che nell’Età del Ferro si potesse parlare di determinazioni sessuali femminili paritarie in campo teologico e ritengono che, piuttosto, in un progressivo passaggio verso il monoteismo, il culto di Asherah rappresentasse una forma di mediazione subordinata al Signore.

Recentemente, infine, in un documentario della BBC, la Dott.ssa Francesca Stavrakopoulou, Senior Lecturer presso l’Università di Exeter ha dichiarato: “La maggioranza dei biblisti di tutto il mondo ormai accetta come prova convincente che Dio una volta avesse una consorte”  e, intervistato nel medesimo documentario riguardo alla possibilità che gli Ebrei fossero monoteisti, avendo quindi una religione distinta dalla religione cananea, il Prof. Herbert Niehr dell’Università di Tubinga ha dichiarato: “Tra il X secolo e l’inizio del loro esilio nel 586 a.C. il politeismo era la religione normale in tutta Israele; solo in seguito le cose cominciarono a cambiare e molto lentamente. Direi che è corretto parlare di monoteismo solo per gli ultimi secoli, forse solo dal periodo dei Maccabei, cioè solo a partire dal II secolo a.C.“[17].


Ecco, allora, che l’ipotesi di un culto primario atavico mediorientale della dea madre associato ad un culto maschile e proveniente da un nucleo primario diffuso in tutto bacino mediterraneo comincia a prendere sempre più corpo e con esso l’ipotesi che, ancora una volta, in Israele come in molte altre civiltà antiche, solo l’impulso di una società progressivamente sempre più androcratica abbia portato allo schiacciamento di tale culto primario e naturale, sviluppando un monoteismo maschile capace di assorbire completamente le istanze religiose precedenti ma, a quanto pare, non di cancellarne completamente le tracce.

Note
[1] J. E. McFadyen, Introduction to the Old Testament (Classic Reprint), Forgotten Books 2010, pp. 18 ss. passim.

[2] M. Kister, Ancient Gods: Polytheism in Eretz Israel and Neighboring Countries from the Second Millenium Bce to the Islamic Period , Eisenbrauns 2008, passim.

[3] M.S. Smith, The Early History of God: Yahweh and the Other Deities in Ancient Israel,  Wm. B. Eerdmans Publishing Company 2002, pp. 46-84 passim.

[4] R. Patai, The Hebrew Goddess, Wayne State University Press 1990.

[5] M.S. Smith, God in Translation: Deities in Cross-Cultural Discourse in the Biblical World, Wm. B. Eerdmans Publishing Company 2010, ppp. 112 ss.

[6] J.C. L. Gibson, Genesis, Westminster John Knox Press 1982, pp. 203 ss.

[7] J. Day, Yahweh and the Gods and Goddesses of Canaan, Sheffield Academic Press 2002, pp. 161-163.

[8] R. Patai, Citato, p. 93 ss.; J.Day, Citato, pp.63 ss.

[9] Citato in J.D. Dunn, N. Snyder, E. Yattah, Window of the Soul: The Kabbalah of Rabbi Isaac Luria, Weiser Books 2008, pp. 98-99.

[10] Zohar, I, 21.

[11] R. Patai, Citato, p. 211.

[12] D. Penchansky, Twilight of the Gods: Polytheism in the Hebrew Bible, Westminster John Knox Press 2005, pp. 108 ss.

[13] M.S. Smith, The Origins of Biblical Monotheism: Israel’s Polytheistic Background and the Ugaritic Texts, Oxford University Press 2003, passim.

[14] W.J. Dever, Did God Have A Wife? Archaeology And Folk Religion In Ancient Israel, Wm. B. Eerdmans Publishing Company 2005, p.72 ss.

[15] J.M. Hadley, The Cult of Asherah in Ancient Israel and Judah: Evidence for a Hebrew Goddess, Cambridge University Press, passim.

[16] M.S. Smith 2003, Citato, J.Day, Citato, A. Lemaire, The Birth of Monotheism: The Rise and Disappearance of Yahwism, Biblical Archaeology Society 2007.

[17] “Bible’s buried secrets”, BBC – febbraio 2011.

Lady Gaga - Goddess of Love

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Quale ruolo hanno ricoperto e ricoprono tutt'ora gli artisti nell'ambito della "Scacchiera degli Illuminati"?

Ogni qualvolta che gli artisti pop contemporanei pubblicano i loro ultimi successi una schiera di moderni "esegeti musicali" analizzano testi e video delle loro canzoni per esaminarne i possibili contenuti occulti, esoterici, massonici e/o satanici.

E' altrettanto vero che oggi come oggi sempre più frequente è il ricorso a un certo tipo di simbologia e contenuti grafici e scenografici che sono innegabilmente riconducibili a un certo ambiente esoterico e, come osserveremo nel seguito dell'articolo anche una certa 'cultura' e competenza al riguardo di tematiche facenti capo all'ermetismo, all'occulto e al sapere esoterico.

Molti videoclip sono ricchi di riferimenti all'occhio di Horus, alla piramide onniveggente, o meglio al triangolo, agli angeli caduti e alle divinità pagane.


Progetto Atlanticus ha già illustrato la propria chiave di lettura al riguardo nell'articolo “La Magia della Musica” nel quale si descrive una interpretazione del tutto opposta a quella presentata nei principali canali di informazione e controinformazione che affrontano queste tematiche.

E questa posizione parte dal dubbio che ci si è posti al riguardo del motivo del perché mai gli Illuminati dovrebbero rischiare di essere scoperti mostrando così apertamente al grande pubblico i simboli del loro potere che hanno gelosamente celato per secoli.

Possiamo invece ipotizzare che gli artisti, sia contemporanei come del nostro passato, alcuni anche forse pilotati da altre mani più consce, altri per loro propria capacità, si sentano chiamati a diventare player del necessario risveglio delle coscienze finalizzate a bloccare i piani del NWO e non ad alimentarne i successi.

Non è raro infatti trovare nei testi delle canzoni delle denunce, delle condanne al sistema di potere esistente. Sempre facendo riferimento alla contemporaneità mi viene in mente l'album “The Resistance” dei Muse in cui vi è la forte influenza del romanzo1984 di George Orwell,e il testo della loro canzone “Uprising” (traducibile in italiano in “Rivolta” o “Insorgere”) il cui ritornello recita: “... They will not force us. They will stop degrading us. They will not control us. We will be victorious...”

Oppure si pensi a Micheal Jackson, oppure a Imagine di John Lennon e al sogno di un mondo senza confini, senza religioni, senza guerre... Se da un lato può sembrare l'elegia del NWO è invece la descrizione di un utopico mondo 'anarchico' dove l'uomo sia veramente libero in accordo con l'adagio “ama il prossimo tuo come te stesso”.


Perché vedete, amici di Atlanticus, come ebbi a scrivere nel post “Un 'Buon' Nuovo Ordine Mondiale”, io sono convinto che il "mondialismo" sia comunque la naturale evoluzione a cui dovrebbe tendere il genere umano, così come probabilmente prevedeva il nostro buon vecchio Enki.

Ma esistono due modi di concepire l'idea di "mondialismo"... quello a noi già ben noto, del Player C, fatto di complotti, cospirazioni, guerre, violenze, crisi economiche, signoraggio che conducono al dominio totale e programmato su miliardi di esseri umani tenuti nell'ignoranza e nell'inconsapevolezza della loro condizione.

Oppure quello cantato da John Lennon nella canzone "Imagine". John Lennon la cui persecuzione da parte delle istituzioni governative americane documentate nel documentario “US vs John Lennon” e la sua tragica fine sono in qualche misura simili alla persecuzione mediatica e giudiziaria di cui è stata vittima Micheal Jackson la cui morte avvenuta ormai nel 2009 è ancora avvolta da un cupo velo di mistero.

Mistero alimentato dal fatto che proprio due anni dopo l'uscita dell'album Dangerous (trad. pericoloso) comincia la distruzione di Micheal Jackson attraverso le varie accuse, poi dimostratesi false, di pedofilia. Il primo tentativo degli Illuminati di distruggere l'immagine del Jacko post-ribellione?
Vale la pena osservare che è proprio lo stesso Michael, attorno al 2001, a iniziare a parlare di "cospirazione", del fatto che "loro lo vogliono distruggere", che è il momento "di dire la verità", che loro "vi stanno mentendo", ecc. ecc.


Il Re del Pop, che ha un seguito di fan di milioni di persone in tutto il mondo parla chiaramente di una forma di cospirazione più vasta, non legata soltanto ai suoi processi e ai suoi dissidi con il capo della Sony Music all'epoca, Tony Mottola, che nel 2001 boicottò il lancio di Invincible ma fa esplicito riferimento a delle non precistate "menzogne sui libri di storia" e altra roba del genere. C'è abbastanza materiale per essere seriamente inquietati.

L'opera mediatica di distruzione di un personaggio estremamente scomodo ha dato i suoi frutti e l'influenza dell'eclettico artista sul pubblico non è più la stessa di prima. Finché avviene quello che nessuno si aspetta: nel 2008 viene annunciato che Michael Jackson partirà per un nuovo tour mondiale. 

Il tour del suo rilancio. Dieci date che vengono poi aumentate a cinquanta per fare fronte alla grandissima richiesta. E alcune voci vogliono che durante questo tour Micheal avesse intenzione di spingersi ancora più in là, di raccontare ancora più approfonditamente chi e che cosa governa il mondo. A questo punto gli Illuminati non hanno più scelta, e il 25 giugno 2009, a poche settimane dalla partenza del tour, organizzano l'omicidio del Re del Pop.

D'altra parte se pensiamo alla storia osserveremo innumerevoli casi in cui l'establishment elimina personaggi scomodi le cui parole erano nella potenza di scardinare il Sistema costituito: Giordano Bruno, Galileo Galilei, lo stesso Gesù Cristo. E molti, moltissimi altri importanti personaggi in grado di veicolare messaggi all'umanità nei modi ritenuti più opportuni.

Leonardo da Vinci, Michelangelo, Dante Alighieri i quali, nelle loro opere d'arte, attraverso il sapiente uso di simbologia e linguaggio ermetico, hanno permesso di tramandare nel corso dei secoli quel sapere esoterico di competenza dell'elite. L'eterna lotta tra Player B e Player C, tra chi auspica l'evoluzione spirituale e culturale dell'Uomo e chi invece ne vuole solo la sottomissione.

Con ermetismo o filosofia ermetica ci si riferisce a vari autori probabilmente greci, la più parte sconosciuti, che in lingua greca elaborarono durante il periodo della cultura ellenistica greca e romana, a cominciare dal II secolo d.C., un complesso di dottrine mistico-religiose e filosofiche alle quali si affiancarono teorie astrologiche di origine semita, elementi della filosofia di ispirazione platonica e pitagorica, credenze gnostiche e antiche procedure magiche egizie.

Il termine trae origine da Ermete Trismegisto (dal greco antico «Ermete il tre volte grandissimo»). Nell’atmosfera sincretica dell’Impero romano, al dio Ermes fu dato come epiteto il nome greco del dio egizio Thot. Entrambi erano gli dei della scrittura e della magia nelle loro rispettive culture. Secondo Athanasius Kircher: «Gli Arabi lo chiamano Idris, dall'ebraico Hadores, i fenici Tauto, gli Egizi Thot ma lo chiamano anche Ptha e i Greci Ermete Trismegisto.

Il paragone è volutamente azzardato, ma, considerando i secoli che ci separano dalla stesura della Divina Commedia e dai diversi piani di lettura in cui ogni vera opera d'arte andrebbe letta perché non possiamo pensare alla presenza di linguaggio esoterico-ermetico anche nei videoclip e nella produzione letteraria, musicale, cinematografica contemporanea?

Così come abbiamo imparato a leggere le opere d'arte medievali e rinascimentali secondo i seguenti diversi piani di lettura io desidero e mi adopero nel tentativo di interpretare quelle contemporanee nella seguente maniera.

Il livello letterale, quello più superficiale, che riguarda il significato di superficie della narrazione, la fabula, al quale spesso ci si sofferma perché contemporaneamente quello più fisico, accusando l'opera delle popstar di oggi di una troppo sfrontata sessualizzazione del corpo. Ma non erano forse nudi anche le statue dell'epoca classica, non nudi sono i capolavori del Michelangelo?!


Il livello allegorico, che è quello che rimanda ad un altro significato, collegato al senso letterale da un rapporto analogico.

Il livello morale, nel cui si intende ricavare dai fatti raccontati un modello di comportamento, un'idea di bene e di virtù, un insegnamento morale.

Il livello anagogico (da anà, in alto; agogico, portare) rimanda alle verità teologiche più oscure e che è quello più profondo e che solo esperti esegeti di grande competenza sono in grado di cogliere perché in possesso di chiavi di lettura e strumenti non comuni.



La Gioconda di Leonardo da Vinci, così come molte altre opere pittoriche degli artisti rinascimentali sono fulgido esempio... Da semplice ritratto di giovane donna, essa può essere vista come Maria Maddalena in chiave allegorica fino alla Sophia stessa, la gnosi.

Proviamo allora a tornare alle recenti pubblicazioni di una artista così discussa, contestata, ma adorata dai fan, e così particolare come Lady Gaga, eclettica, musicista, cantante, pittrice e performer straordinaria.

Al di là del libero giudizio personale di ciascuno è indubbio riconoscerle, volendo approfondire e conoscere la sua produzione e la sua espressione artistica la quale non si limita alla musica, una punta di genio e di vera arte che, in quanto arte, può a tutti gli effetti essere osservata e analizzata sotto i diversi piani di lettura sopraccitati.

Curioso come Gaga abbia iniziato ad identificarsi sui suoi profili social come “Goddess of Love” prima dell'uscita del videoclip di G.U.Y. - Così come curiosi sono i riferimenti a divinità classiche e pagane all'interno delle canzoni dell'album Artpop come ad esempio in “Venus” dove leggiamo dopo l'elencazione dei pianeti del sistema solare (equivalenti alle divinità) la seguente criptica frase:

Now serve for the gods
Earth, serve for the stars!

Goddess of Love, dea dell'amore, era infatti uno degli epiteti della dea Ishtar il cui suo simbolo è la stella a otto punte. Suoi importanti santuari si trovavano a Uruk, Zabala e in Babilonia.


Ištar (o Ishtar) era, nella mitologia babilonese, la dea dell'amore e della guerra, derivata dall'omologa dea sumera Inanna.

Inanna non fu mai accasata, nè dominata da alcuno, magnetica quanto indipendente. Sempre in movimento, alla ricerca della sua casa, del suo potere. Regina del cielo, dea delle piogge gentili e dei terribili acquazzoni, dea del mattino e stella della sera, regina della terra e della sua fertilità, ma anche dea della guerra e dell’amore sessuale. Più estroversa persino di Afrodite, era una dea molto attiva. Molti furono i nomi attraverso cui il suo culto si diffuse trasformandosi (Ishtar, Iside, Neith, Meti, Astarte, Cibele, Afrodite, Brigit)

Negli spazi incommensurabili degli abissi delle acque dolci viveva Enki, il dio della saggezza, e con lui vi erano le tavole del destino e vari strumenti magici apportatori di civiltà. Questi erano i suoi tesori che teneva al riparo dall’umanità. Sua figlia, l’astuta regina del cielo, ebbe pietà degli infelici esseri primitivi della terra e preparò la sua barca per recarsi alla dimora paterna. Qui essa venne accolta grandiosamente con un banchetto colmo di cibi e vini. Enki poteva ben essere saggio ma amava sua figlia al di là della saggezza e così a tavola bevve una dopo l’altra le coppe che essa seguitava a offrirgli e poi, ebbro, le promise tutto quello che desiderava. Subito Inanna chiese le tavole del destino e cento altri strumenti di cultura.

Che cosa poteva fare un padre affettuoso se non soddisfare la richiesta della figlia? Inanna imediatamente caricò gli oggetti sulla barca del cielo e salpò per la sua città, Uruk.

Svegliatosi il giorno dopo dalla sua ebbrezza, Enki ricordò quello che aveva fatto e si pentì. Ma era reso inabile da un mal di testa tanto terribile quanto piacevole era stato il bere la sera prima. Così non poteva seguire la figlia finchè non fosse guarito. Intanto, naturalmente Inanna si era messa al sicuro nel suo regno e neppure i sette trucchi che Enki tentò di mettere in atto riuscirono a fargli recuperare i suoi tesori.

Queste tavole erano i basamenti su cui si fonda la civilizzazione, un set di leggi universali e immutabili, nonchè di limiti che devono essere osservati da uomini e dei.

Esse includevano concetti quali regno, sacerdozio, verità, vestiario, armi, l’arte di fare all’amore, la parola, la musica e la canzone, il potere e l’imbroglio, il viaggio, la scrittura, la paura, il giudizio, la decisionalità, le arti delle donne. Attraverso questo dono Inanna si meritò il suo trono e la protezione della sua città.


E il video di G.U.Y. di Lady Gaga, è ricolmo di simbolismi legati alla figura di Inanna/Ishtar e non solo. Proverò a cimentarmi nell'esegesi dello stesso come i miei 'colleghi' complottisti, ma lascerò a voi lettori la possibilità di visionarlo al seguente link indicandovi alcuni punti salienti e presentando la mia personale e opinabile interpretazione.


Il video inizia mostrando un gruppo di banchieri di Wall Street che si accapigliano per denaro mentre Gaga, raffigurata come angelo caduto, resta vittima di questa battaglia. 

L'angelo caduto volendo speculare un po' di più, rappresenta gli angeli caduti noti come Nephilim, ovvero i Vigilanti colpevoli secondo i testi sacri di essersi accoppiati con le femmine Sapiens iniziando quella che è probabilmente la vera linea di sangue degli Illuminati, la seconda stirpe di semi-dei, primi sovrani del mondo postdiluviano portatori di precise e specifiche caratteristiche fenotipiche che in altre ricerche abbiamo identificato con le qualità dei Cro-Magnon e con le caratteristiche del rutilismo presenti in ben specifiche popolazioni antiche.


Gaga ferita si trascina presso un tempio dove viene curata e rimessa in forza rinascendo come divinità. E in questi passi possiamo osservare tutto il repertorio di simbologia occulta messa nell'opera, stella di Ishtar compresa.


Questa idea di adorare una dea è un tema comune a tutte le tradizioni Illuminati - occulte , tra esse troviamo come abbiamo detto l'Afrodite greca, la babilonese Ishtar, l'egizia Iside, e la sumera Semiramide. Concetto peraltro espresso dalla stessa Gaga nell'identificazione recente con la Venere di Botticelli, altra opera ricca di simbologia alchemica come ad esempio la conchiglia sulla quale la dea si manifesta.

Il particolare riferimento alla dea Venere, identificata come la luce del mattino, può essere associato alla figura di Lucifero, il portatore di luce, che come sappiamo corrisponde nell'interpretazione eretica gnostica a Prometeo, e risalendo la china a Enki e al serpente dell'Eden in netta contrapposizione al demiurgo, al Satana come invece la tradizione cattolica lascerebbe erroneamente pensare. Non è un caso infatti che Lucifero, come Venere, sia identificato come stella del mattino che non è altro che uno degli epiteti con il quale lo stesso Gesù Cristo si identifica nell'Apocalisse. (22,16)

Il Cristo luciferino è infatti una delle cause della persecuzione che le sette gnostiche sulle quali si fondava il cristianesimo delle origini e che tra le altre cose credeva nel concetto di metempsicosi delle anime, ad opera della Chiesa cattolica dopo i concili che definirono il canone su cui poi si sarebbe basata la religione vaticana e che determinarono successivamente il massacro dei catari e lo sterminio dei templari.


Tornando al video a questo punto viene prelevato del sangue dalla Gaga/Ishtar/Venere con il quale vengono realizzati dei “cloni” quasi come a voler significare una sorta di legame divino di sangue a partire dai primi Anunnaki di cui Inanna fa parte attraverso i millenni fino a venire a noi. E i cloni che sorgono sono: Gandhi, Gesù Cristo, John Lennon e Micheal Jackson, non a caso sopraccitati per ricordare la loro appartenenza al lato buono della cosiddetta “Scacchiera degli Illuminati” a cui spesso Atlanticus si riferisce.

E infatti questi cloni alla fine del video sferrano il loro attacco finale in chiave apocalittica proprio contro i bankster dell'inizio, ovvero contro il Sistema e il NWO, esattamente come ci si aspetterebbe che facesse il Player B della nostra scacchiera! E non come un adepto dello stesso NWO come invece intendono diversi siti di controinformazione, a mio parere in errore.

Opinione rafforzata da un intervento di Gaga, pubblicato sul suo social network riservato ai fan, nel quale afferma e condanna l'avidità del Sistema.

“... Milioni di dollari non bastano per alcune persone. Vogliono miliardi. Poi hanno bisogno di migliaia di miliardi. Non ero abbastanza per alcune persone. Volevano di più...”

E ancora:

“... Datemi la possibilità di mostrare il significato dell'arte tutta intorno a voi. Aprite i vostri cuori a me ancora una volta affinchè io possa mostrarvi la gioia attraverso i nostri talenti, che siamo più forti come unità rispetto a quando siamo soli. 

Permettetemi di essere per voi la Dea che io so veramente di essere. Permettetemi di mostrare le visioni che sono state nella mia mente per due anni...”

Frasi importanti, di condanna verso un sistema che deve essere cambiato. Quello stesso intento che costò forse la vita a Micheal Jackson seguendo un percorso del tutto simile finalizzato a descrivere la stortura di quel lato di sapere esoterico-occulto al servizio del male, del Player C, del NWO.

Un concetto espresso questo anche nel corso di una intervista pubblica rilasciata il 15 Marzo.

Da sempre l'arte ha rappresentato forse uno dei principali strumenti per veicolare un certo tipo di sapere preservandolo dagli attacchi del Sistema contenendo i germi di quella consapevolezza che è stata negata dall'umanità dalle famiglie appartenenti al vertice della piramide del NWO che hanno sposato la causa del controllo, del potere e del dominio attraverso piani perversi di lungo, lunghissimo periodo, per motivi che trascendono la sola sfera della materialità.

Ma, come già espresso nel corso delle nostre ricerche, sussistono elementi che lascerebbero presupporre la presenza all'interno di queste “famiglie” (intese come linee di sangue) in contrasto con il millenario piano di conquista del mondo che affonda le sue origini fin dai tempi di Abramo.

Famiglie potenti che partecipano al gioco della “Scacchiera degli Illuminati” con regole diverse per giungere ad obiettivi diversi che noi di Progetto Atlanticus abbiamo racchiuso nel contenitore etichettato come Player B. L'identificazione di queste risulta un lavoro molto complesso e difficile data la scarsità (ovvia) di elementi storici su cui basarci. Ma con un po' di fortuna e con qualche rischio possiamo azzardare la collocazione di qualche tassello del mosaico al posto giusto.

E per farlo facciamo ancora riferimento al video di Gaga. Il tempio in cui l'angelo caduto ferito risorge a nuova vita con rinnovato vigore è la ricostruzione della Piscina di Nettuno all'interno di un misterioso e criptico castello edificato sulle colline californiane: Hearst Castle.

Il castello Hearst è un'enorme residenza privata fatta edificare dal magnate della stampa William Randolph Hearst. è situato vicino a San Simeon (California) su una piccola collina affacciata nel pacifico a metà strada tra Los Angeles e San Francisco.


Il castello, che nulla ha a che invidiare con le tenute dei Rothschild e che sembra davvero essere una dimora di una qualche divinità, venne edificato su una tenuta di circa 40.000 acri di proprietà di George Hearst, padre di William Randolph Hearst. Il giovane William visse e crebbe in questo appezzamento di terra e alla morte del padre lo ereditò, dedicandosi insieme alla madre anche ad ampliarlo fino a portarlo ad una dimensione di circa 250.000 acri.

La madre di William, Phoebe Apperson Hearst perse la vita nel 1919; nello stesso anno il magnate diede inizio ai lavori per la costruzione della reggia, affidando i lavori all'architetto Julia Morgan. Hearst era particolarmente volubile e volle spesso che le costruzioni venissero abbattute per essere ricostruite in modo diverso, soprattutto per questo motivo il miliardario non vide mai l'opera finita (morì nel 1951).



Dai primi anni venti Hearst divise la sua magione con l'attrice Marion Davies, che gli sarebbe stata affettuosa compagna fino al resto della sua vita (nonostante egli fosse sposato). Nel promuovere la sua carriera, Hearst entrò in contatto col mondo di Hollywood, i cui più fulgidi rappresentati organizzavano in quel castello dei party scatenati.

Nel corso degli anni venti e trenta moltissime star del mondo del cinema e personalità della politica soggiornarono nel castello come ospiti di Hearst; tra questi vi furono Charlie Chaplin, David Niven, Cary Grant, i Fratelli Marx, Charles Lindbergh, Joan Crawford, Calvin Coolidge e Winston Churchill.

La famiglia Hearst non compare spesso, anzi quasi mai, nelle cronache e nelle consuete liste collegate alla massoneria e ai poteri occulti. Ma il loro legame con certi ambienti secolari è innegabile ed è testimoniato da una serie di preziosi indizi come ad esempio quanto ci riferisce Giacinto Butindaro nel suo post “La Massoneria nelle Chiese Protestanti” dove a un certo punto leggiamo riferendosi alla inquietante vicenda di Billy Graham e David Hill:

“... David Hill sapeva che William Randolph Hearst era parte degli Illuminati, egli era parte del ramo Illuminati – a quello che potrebbe essere definito il 6° grado. William Randolph Hearst era immerso totalmente nel paganesimo. Ciò è molto evidente facendo un giro nella sua villa in California che è stata trasformata in un museo...”

Quella villa è appunto l'Hearst Castle.


William Randolph Hearst (pron. hɚst; San Francisco, 29 aprile 1863 – Beverly Hills, 14 agosto 1951) è stato un editore, imprenditore e politico statunitense. è divenuto celebre, oltre che per la sua smisurata ricchezza (si stima che i suoi introiti arrivarono a toccare i 15 milioni di dollari in un anno), anche per aver creato uno dei più grandi imperi mediatici di sempre, influenzando fortemente lo stile giornalistico e l'opinione pubblica americana.


è considerato, insieme a Joseph Pulitzer, il padre del giornalismo scandalistico (Yellow Journalism). Venne eletto per due volte alla camera dei rappresentanti, per il Partito Democratico, ma non riuscì mai a coronare il suo sogno di divenire governatore dello Stato di New York.

Hearst nasce a San Francisco nel 1863 come Jacques Haussmann, figlio unico di George Hearst, un cercatore d'oro di umili origini arricchitosi incredibilmente durante la grande corsa all'oro californiana del 1849, e di Phoebe Apperson.
La prima infanzia di Hearst è caratterizzata dal lusso e dalla ricchezza che i genitori riescono a garantirgli grazie alla fortuna che il padre ha accumulato nelle miniere di argento e in seguito d'oro.

La madre lo vizia oltremisura, forse per questo il ragazzo sviluppa un carattere molto deciso, forte ma anche arrogante e supponente che lo caratterizzerà per tutta la vita e che probabilmente sarà determinante per il suo enorme successo negli affari. Dopo aver frequentato la scuola di preparazione al college di St. Paul a Concord nel New Hampshire, Hearst riesce ad essere ammesso all'università di Harvard. Durante il periodo universitario prenderà parte a diverse fratellanze e club sociali, tra questi il Delta Kappa Epsilon e l'A.D. Club. Ciò che segnerà di più la vita del giovane Hearst sarà la sua entrata a far parte della redazione dell'Harvard Lampoon: una rivista satirica nota per aver dato alla luce libri come Il signore dei tranelli ed altre parodie.

Inoltre sono documentati dei rapporti tra la famiglia Hearst con la famiglia Van Duyn che, guarda caso, rientra nell'elenco delle 13 famiglie portatori di quella linea di sangue “divina” che Icke identifica in 'rettiliana' che rappresenterebbero, se non il vertice, uno dei livelli più alti della piramide.
Dinastia Van Duyn che ha origini nei Paesi Bassi (Olanda) ed è probabile che sia da relazionare con la riduzione della popolazione (controllo demografico) e la manipolazione del sistema medico attraverso la Federazione Americana Planned Parenhood, (fondata dal colonnello Edward S. Van Duyn) una organizzazione che promuove l'aborto, la sterilizzazione, il controllo mentale ed è stata finanziata fra le altre da fondazioni quali la Vincent Astor, la Fondazione Russell e la Fondazione J.Z.S. Reynolds.

Il Colonnello Edward S. Van Duyn frequentò la 'Union Church' che è stata associata da tempo alla società segreta di 'Arti Oscure' Wicca. Nel 1933 ha fondato the Planned Parenthood Center of Syracuse, a New York. Planned Parenthood Federation of America è stata una istituzione ispirata dagli Illuminati che doveva servire a diversi obiettivi segreti di controllo della popolazione mondiale con lo scopo a lungo termine di ridurla dell'80% il che ci ricollega a quelle misteriose scritte incise sulle cosiddette Guidestones della Georgia tra cui leggiamo: “Mantieni l'umanità a 500milioni di individui”.

I propositi della organizzazione sono rivelatori perchè implicano trovare mezzi efficaci per la regolarizzazione volontaria della fertilità, compresi la contraccezione, l'aborto, la sterilizzazione e i servizi per le persone sterili, promuovere e stimolare le ricerche biomediche, socioeconomiche e demografiche, sviluppare l'informazione adeguata, l'educazione e programmi formativi per aumentare la conoscenza sulla sessualità e la riproduzione umana.

I Van Duyn, secondo l'impostazione Ickiana appartengono alle tredici delle più ricche famiglie del mondo che sono i personaggi che veramente controllano e comandano il mondo da dietro le quinte. Vengono, da molti, anche definiti la “Nobiltà Nera”. Anche se noi riteniamo che la nobiltà nera sia ancora meno tangibile e a un livello persino superiore alle tredici famiglie. La loro caratteristica principale è quella di essere nascosti agli occhi della popolazione mondiale.

Il loro albero genealogico va indietro migliaia di anni, alcuni dicono che risale alla civiltà sumera/babilonese. Sono molto attenti a mantenere il loro legame di sangue di generazione in generazione senza interromperla. Il loro potere risiede nel controllo specie quello economico (gruppo Bilderberg ecc…), “il denaro crea potere” è la loro filosofia. Il loro controllo punta a possedere tutte le banche internazionali, il settore petrolifero e tutti i più potenti settori industriali e commerciali. Sono infiltrati nella politica e nella maggior parte dei governi e degli organi statali e parastatali. Inoltre negli organi internazionali primo fra tutti l’ONU e poi il Fondo Monetario Internazionale.

Ma, paradossalmente, queste sono esattamente quelle figure che Gaga si propone di combattere nel suo video attraverso i cloni di Gesù Cristo, John Lennon, Gandhi e Micheal Jackson, quindi figure che ritengo positive, i quali hanno combattuto a loro modo il Sistema, rimettendoci tutti la vita.

Ma allora perché i 'cloni' escono dall'Hearst Castle? E' forse possibile che ci sia un conflitto tra le grandi “famiglie” discendenti dai primi semi-dei Nephilim rappresentati dall'angelo caduto?

Questa è proprio la chiave di lettura suggerita dal Progetto Atlanticus attraverso la “Scacchiera degli Illuminati” nella quale i tre Player, Player A, Player B e Player C, tutti facenti capo a ordini esoterici e collegati geneticamente e genealogicamente agli “Antichi Dei” decidono le sorti dell'umanità nel bene e nel male.

Così come gli dei intervenivano direttamente nelle vicende umane nei miti e nei testi sacri, così questi moderni novelli “dei” esercitano il loro potere in virtù delle regole e degli obiettivi che si sono posti ovvero:

Lato A: coloro che operano per mantenere l’umanità a uno stato di ‘beata ignoranza’, consapevoli del fatto che un’umanità dotata di conoscenze tecnologico-scientifiche, ma assente di equilibrio e armonia spirituale rappresenta un grande pericolo per il pianeta, in attesa di tempi maturi;

Lato B: coloro che agiscono al fine di consentire all’umanità di raggiungere quell’equilibrio spirituale e quel tasso di consapevolezza idoneo al raggiungimento di un nuovo livello evolutivo;

Lato C: coloro che agiscono per l’imbarbarimento dell’uomo occultando la verità propedeuticamente al perseguimento del controllo globale del mondo a loro esclusivo vantaggio.

E' possibile allora che gli “Antichi Dei” traducibili nelle 13 famiglie ickiane siano in realtà non un corpo unico mosso da obiettivi comuni, ma un universo più sfaccettato rappresentato dai discendenti della genealogia divina o semi-divina Anunnaka prima e Nephilimica dopo con il peccato originale compiuto dagli angeli caduti che si unirono alle belle figlie degli uomini generando i semi-dei Nephilim biondi con gli occhi azzurri come abbiamo cercato di raccontare nell'articolo “Marte. Storia di un antico esodo”?

Progetto Atlanticus confida di sì, considerando che la massoneria, l'ermetismo, l'esoterismo nasce originariamente con quegli scopi di evoluzione spirituale e culturale propri del Player B e che solo in un secondo momento questi strumenti vennero utilizzati per il dominio abbandonando l'originale progetto e percorso della libera muratoria.

Per questo il rischio di fare di tutta l'erba un fascio quando ci si rivolge allo sfaccettato mondo esoterico-massonico è quello di etichettare tutto come negativo rinunciando a comprendere le regole del gioco e ponendosi al di fuori di quel percorso necessario di consapevolezza di cui l'umanità necessita e di cui gli “Antichi Dei” appartenenti alla fazione di Enki, attende da svariate migliaia di anni.

Fonti:    
Sfameni Gasparro, Giulia, Gnostica et Hermetica. Saggi sullo gnosticismo e sull'ermetismo, Roma 1982
Rotondi Secchi Tarugi, Luisa (ed.), L'Ermetismo nell'Antichità e nel Rinascimento, Milano 1998

La Fisica Quantistica incontra la Medicina... e la Storia dimenticata

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La Fisica Quantistica incontra la Medicina con l’apparecchiatura Quec-Phisis,all’avanguardia nel campo della medicina, del benessere e della riabilitazione. E se gli antichi avessero trovato il modo di utilizzare queste forze?


Sembra che numerose antiche civiltà conoscessero il funzionamento dell’energia illimitata dell’Universo  e si sono poi impegnate a tramandarlo con i testi, le tradizioni orali, le icone e altri mezzi,, consci dell’importanza di tramandare quel codice  per l’umanita’ del futuro.

La terapia di “IONORISONANZA SEQEX” è la sintesi dei più avanzati studi di biofisica effettuati negli ultimi decenni… Per darne un’idea faremo un paio di esempi: pensiamo innanzitutto agli studi effettuati dalla NASA sugli astronauti che effettuavano voli nello spazio.

Si era notato che questi astronauti, al rientro dallo spazio, manifestavano una condizione di salute psico-fisica nettamente peggiore rispetto a quando erano partiti.

Bisogna considerare, infatti, che gli astronauti, al momento della partenza sono perfettamente sani da tutti i punti di vista; uno dei grandi squilibri che si è visto, ad esempio, è stato il forte stato di “stress ossidativo” che essi manifestavano al loro ritorno; in altre parole essi partivano con bassi livelli di radicali liberi nel sangue e tornavano con livelli elevatissimi, in condizioni, appunto, di forte “STRESS OSSIDATIVO”.

Per questo furono intrapresi studi per capire il perché di tali fenomeni.

Gli studi si sono ben presto concentrati sull’elettromagnetismo in quanto le astronavi ne erano prive; in altre parole gli astronauti erano temporaneamente sottratti all’influsso del magnetismo terrestre e ciò poteva durare anche mesi.



Per capire l’importanza di questo concetto bisogna ricordare che la Terra possiede 2 poli magnetici (polo nord e polo sud) e che tra questi 2 poli esiste, ovviamente, un campo magnetico che avvolge tutta la Terra ( basta pensare alla bussola ); questo campo magnetico è di fondamentale importanza per tutte le forme di vita esistenti.


Per capire ancora meglio l’importanza dell’elettromagnetismo terrestre sugli organismi viventi basta pensare ad un esperimento effettuato anni fa da alcuni scienziati: sono state prese 30 cavie e messe in una stanza dotata di ogni confort (luce, cibo, acqua, temperatura ideali); altre 30 cavie sono state messe in un’altra stanza dotata degli stessi confort: l’unica differenza consisteva nel fatto che la seconda stanza era schermata, cioè era stata fatta diventare quella che in gergo biofisico si chiama “gabbia di Faraday”.

In altre parole erano stati esclusi dal campo elettromagnetico terrestre.

Ebbene, dopo alcuni mesi le 30 cavie messe in una stanza normale godevano tutte di ottima salute, mentre delle 30 cavie messe nella “gabbia di Faraday” alcune erano morte, mentre altre si erano ammalate di invecchiamento precoce o di tumore.

Questo esperimento dimostra inequivocabilmente quanto il campo elettromagnetico sia importante per la salute degli esseri viventi.

A questo punto è lecito porsi una domanda: quali sono gli effetti dei campi elettromagnetici sui sistemi biologici, cioè sull’organismo umano?

La risposta è ovvia: tutte le cellule del nostro organismo sono soggette a campi elettromagnetici che ne determinano lo stato di salute o di malattia: l’esempio delle cavie dimostra come le cellule possano ammalarsi o, al contrario, guarire in base ai campi elettromagnetici in cui esse vivono costantemente.

Che cos’è la tecnologia Quec-Phisis


La tecnologia Quec-Phisis è la risposta più all’avanguardia nell’applicazione delle ricerche sulla Elettro-Dinamica Quantistica e genera quei segnali magnetici in grado di stimolare l’attivazione delle funzioni enzimatiche compromesse, ripristinando l’efficienza di tutto il sistema corporeo. Molte turbe funzionali e malattie sono,infatti, riconducibili a squilibri o a blocchi enzimatici.

I segnali magnetici vengono erogati in modo estremamente mirato e personalizzato: ogni paziente viene infatti sottoposto ad una visita medica nella quale vengono raccolti dati importanti per la programmazione personalizzata dell’apparecchiatura.

Con questo apparecchio si può accelerare notevolmente la ripresa fisica ed il riequilibrio fisiologico della persona trattata, con un effetto progressivo e cumulativo nel tempo. Viene, inoltre, potenziato l’effetto di farmaci ed altri terapie complementari, accelerando lo smaltimento di eventuali componenti nocivi.

Eccellente per attività sportiva, benessere e prevenzione.

Risultati
  • Azione anti-ossidante
  • Riequilibrio dei liquidi corporei (eliminazione ritenzione idrica)
  • Ridotta affaticabilità (ansia ,stress, recupero da stati depressivi)
  • Maggiore energia e vitalità
  • Miglioramento delle funzioni cardio-respiratorie
  • Ripristino del corretto assorbimento dei nutrienti delle cellule ( ringiovanimento cellulare)
  • Riduzione del dolore sia acuto che cronico
  • Miglioramento della qualità della vita nelle malattie degenerative ed oncologiche
  • Rafforza il sistema immunitario
  • Questi elencati sono i tratti generali cui corrispondono un numero veramente elevato di patologie trattabili.
  • Bellezza e Benessere
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Per la bellezza e il  benessere della persona la novità risiede, oltre che nella assoluta non invasività dei trattamenti, estremamente rilassanti, nel fatto che cura in modo naturale la salute del corpo, risana contemporaneamente l’equilibrio omeostatico e di membrana cellulare, il sistema enzimatico, il Ph corporeo, detossinando l’organismo ed eliminando i radicali liberi.

I risultati estetici, di rinnovamento e ringiovanimento cellulare e della pelle, di anti-aging reale, richiedono, forse, più tempo di quelli, solo d’effetto, cui siamo ormai abituati,  ma avvengono progressivamente e stabilmente come conseguenza del risanamento dall’interno di tutto il corpo, con una azione molto potenziata e veloce rispetto al semplice utilizzo di prodotti ed elementi naturali.

È un approccio quantistico-tecnologico-olistico anche nella bellezza. Dalla salute vera viene la bellezza.

Trattamento

Ogni individuo nasce con un suo particolare equilibrio basato sugli scambi ossido-riduttivi e sull’acidità dei suoi fluidi organici. il Test Quec-Phisis ne analizza in pochi minuti lo stato di equilibrio e dispone la sequenza correttiva.

Il trattamento Quec-Phisis è semplice e rapido.

Con i dati ottenuti dal Test Quec-Phisis il software programma la sequenza personalizzata di onde. La persona si sdraia vestita sul lettino ed il trattamento dura 40 minuti.

Controindicazioni

Non ci sono effetti collaterali. Le onde elettromagnetiche emesse sono assolutamente NON NOCIVE o dannose per il corpo umano perchè sono a bassissima intensità.

Un po’ di storia

DOMINIO DI COERENZA DELL’ACQUA: tutto è nato con questa teoria.

Getullio Talpo, ricercatore all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, incontra nel 1999 altri due fisici, Giuliano Preparata ed Emilio Del Giudice, che avevano formulato nel 1988 la teoria del “dominio di coerenza dell’acqua”, secondo la quale le attività e gli scambi di molecole nell’organismo non avvengono per caso, ma seguono uno “schema” basato sul campo magnetico prodotto dall’acqua, che costituisce il 99 per cento delle molecole totali dell’organismo.

Le molecole d’acqua vengono stimolate attraverso diverse fonti come l’energia sonora, elettromagnetismo, particelle che la attraversano e molto altro.


Solo le molecole che reagiscono alla frequenza di questo campo magnetico interagiscono tra di loro, avviando in modo ordinato le reazioni chimiche.

In caso di patologia, lo “schema” è alterato, e lo si può recuperare applicando dall’esterno onde Elf (a bassissima intensità come quelle emesse dall’apparecchiatura Quec-Phisis) .

Nel 2009, Luc Montagnier, scopritore del virus Hiv e Premio Nobel per la Medicina, ha riconosciuto la validità della teoria del dominio di coerenza, dichiarando come l’acqua non è affatto una sostanza inerte, ma può assumere configurazioni particolari che emettono onde elettromagnetiche.

E’ proprio in base a questo principio che è stata ideata e realizzata l’apparecchiatura Quec-Phisis

LA CATALISI QUANTO-ELETTRODINAMICA

I metalli presenti in ogni essere vivente classificati come elettroliti, oligoelementi ed elementi in tracce, hanno la capacità di catalizzare, cioè di facilitare e rendere più veloci le attivazioni enzimatiche all’interno del corpo.

Le ricerche nel campo dell’Ellettrodinamica Quantistica dimostrano che questi metalli funzionano come antenne e, se attivati, emettono un segnale elettromagnetico coerente e di frequenza nota.

Quando un debolissimo campo magnetico variabile (valori inferiori a quello del campo magnetico terrestre), con una opportuna intensità e frequenza, investe il corrispondente elemento metallico si attivano le reazioni chimiche che influenzano il metabolismo cellulare.

La patologia può esprimersi attraverso disregolazione di questa raffinata “risonanza” all’interno del complesso enzimatico cellulare.

Fattori come stress, alimentazione, traumi, malattie, effetti collaterali di terapie farmacologiche, alterano gli equilibri e riducono la funzionalità degli enzimi, provocando nel soggetto alterazioni strutturali e fisiologiche.
La tecnologia Quec-Phisis è la più aggiornata risposta all’applicazione di queste ricerche e genera segnali magnetici in grado di stimolare l’attivazione delle catalisi enzimatiche compromesse ripristinando l’efficienza dei sistemi ossidoriduttivi ed omeostatici.

La Ionorisonanza nell’antichita’

E possibile che nell’antichita si conoscessero le proprieta’ elettromagnetiche della terra e che, alcuni luoghi di culto, nelle particolari architetture servissero per generare o accumulare questo tipo di energia curativa?
La stanza del sarcofago e’ una risposta come Teotihuacan; Il luogo dove vengono creati gli Dei.

Lo Zed nella piramide di Cheope con la camera del Re

Bill Schul e Ed Pettit, in Pyramids and the Second Reality, mostrano con modelli in plexiglass e raggi laser, come la geometria della Piramide di Cheope concentri l’energia nella Camera del Re.

Allora quale energia viene concentrata?

Le misurazioni scientifiche hanno rivelato che la Terra possiede “un battito cardiaco” detto “Risonanza di Schuman”, che pulsa tra la superficie della Terra e la base della ionosfera. Vibra approssimativamente in 7.8 cicli al secondo, proprio tra i livelli di onde cerebrali Alfa e Teta del cervello umano e una onda portante della “coscienza a riposo” dei cavalli, dei cani e anche dei gatti. Questo è uno stato di rilassamento profondo e di sintonia intuitiva. La risonanza di Schumann ha una lunghezza d’onda così vasta che fa il giro della Terra in pochi secondi e passa facilmente attraverso il cemento.

Per molti anni ho guidato una compagnia, il MindCenter, a Silicon Valley, che si occupava di Biofeedback delle Onde Cerebrali (EEG). Attraverso il feedback EEG possiamo apprendere come regolare volontariamente lo stato di coscienza e il rilassamento attraverso la monitorizzazione elettronica e il “ritorno” delle frequenze cerebrali (come toni musicali). Uno dei principali obiettivi di molti praticanti, era apprendere come rallentare l’attività cerebrale dal livello Beta (solitamente attività verso l’esterno, sopra i 13 cicli al secondo), al livello Alfa del rilassamento e della creatività (8-13 cicli al secondo) e persino allo stato meditativo e altamente intuitivo del livello Teta (4-8 cps)

Manley P.Hall, nel suo Secret Teachings of All Ages, descrive sempre una conoscenza tramandata nei millenni, riguardante l’iniziazione nella Camera del Re della piramide di Cheope.

“Il candidato entrava nel grande sarcofago di pietra e per tre giorni il suo spirito si liberava dal suo corpo mortale e viaggiava verso l’eternità. La sua Ka, come un uccello, volava nelle sfere spirituali dello spazio. Egli scopriva che tutto l’universo era vivo, tutto l’universo era progresso, tutto l’universo era crescita eterna. Realizzava che il suo corpo era una casa dalla quale poteva uscire per poi ritornare, senza morire e così otteneva l’immortalità. Alla fine dei tre giorni tornava in sè e avendo personalmente sperimentato il grande mistero, diveniva in effetti iniziato…”

Il particolare sarcofago nella camera del Re

Proprio tra il Teta e l’Alfa siamo svegli, ma non forziamo l’attività mentale. Nei nostri esperimenti troviamo questa frequenza in risonanza con le frequenze di Schumann suddette e qui abbiamo il portale della coscienza che permette di estedere la consapevolezza nei reami oltre il fisico. Le persone scopriranno spesso una saggezza insolita, informazioni e persino entità conscie in questo stato. Io tendo molto a credere che facilitare tale esplorazione e controllo fosse almeno uno dei propositi della camera del Re della Grande Piramide.

La forma a mezzo ottaedro delle piramidi di Cheope è una parte chiave della struttura fondamentale dello spazio stesso.

Si alterna con tetraedri nella formazione del Vector Equilibrium, la madre di tutte le simmetrie geometriche e la Matrice di Vettori Isotropica, la struttura invisibile dello spazio.


Questo “scheletro” metafisico del cosmo stesso è stato confermato da uno studio di 10 anni di un Astronomo Italiano, che ha cercato di capire se la disposizione dei cluster di galassie fosse casuale o avesse una struttura intrinseca. E’ risultato che si basa sul cosiddetto “Universo a Cartone delle Uova” – Ottaedri – punto a punto.


La Matrice dell’Energia

Se invece esistesse un vero codice, un messaggio criptato secoli fa, così importante che potrebbe darci accesso a energia pulita e illimitata e una base per progettare sistemi sostenibili per l’umanità?

Se ci fossero forze che farebbero di tutto per evitare che venga rivelato?

Cos’è il codice? E’ un modello fondamentale che rivela come l’energia agisce nell’universo. A livello basilare consiste in un toroide, un vortice di energia a forma di ciambella esistente in tutte le scale, unito al Vector Equilibrium (VE), la struttura dello spazio stesso. Questo codice ha già provato la sua utilità nell’accedere ad energia pulita e abbondante, nell’espandere ed evolvere la nostra coscienza e nell’avanzamento scientifico.

Il Toroide

Il Vector Equilibrium (VE)

Il Vector Equilibrium nel Toroide

Nassim Haramein ha mostrato come il codice appaia nei messaggi sacri e protetti delle civiltà antiche. E’ estremamente coerente e spesso incorporato a schemi come il “fiore della vita” o la “matrice di 64 tetraedri”. 

Guardate i seguenti esempi.

Il Fiore della Vita

La matrice di 64 tetraedri di Haramein

Tale avanzata e fondamentale conoscenza ci sia stata inviata lungo i millenni da numerose antiche culture, attraverso storie, icone, costruzioni e perfino alfabeti in luoghi di tutto il mondo, dall’America Centrale all’Egitto, alla Cina.

Il Tempio di Osiride – Abydos, Egitto

Abydos, in Egitto, ospita alcuni dei siti archeologici più antichi. Potete trovarvi una rappresentazione molto precisa del fiore della vita, stampata in qualche modo nel muro di uno dei Templi di Osiride che ha più di 3000 anni.

La Città Dimenticata, Beijing, China


All’entrata della Città Dimenticata, un antico palazzo imperiale di Beijing costruito circa nel 1400, potete vedere lo stesso fiore della vita sotto la zampa del Cane Fu (chiamati più precisamente “Leoni Guardiani”). 

Questo palazzo fu la dimora di 24 imperatori delle Dinastie Ming e Qing. I Cani Fu potevano essere non solo un simbolo di protezione delle dimore e dei loro abitanti, ma anche dei guardiani della conoscenza dell’energia universale.


Potrebbe essere che il Cane Fu femmina sia il guardiano della forza vitale, sempre nella forma di un cucciolo sotto la sua zampa, mentre il compagno maschile sia a guardia della conoscenza di come accedere a tale energia vitale, progetto sostenibile e trasformazione della coscienza.

Il Tempio Dorato, Amritsar, India


Il fiore della vita si trova anche nel percorso attorno al Tempio Dorato o Harmandir Sahib, uno dei santuari sacri della religione Sikh. Venne costruito nel 16° secolo e rappresenta il “Tempio di Dio“. Questo tempio venne progettato in modo intricato e mostra diversi aspetti simbolici. Per esempio possiede quattro entrate che significano l’importanza dell’accettazione e dell’apertura nella religione Sikh, tutti i visitatori sono benvenuti. Data la cura nella costruzione dei templi, sembra significativo che anche qui appaia il fiore della vita. Si tratta solo di una coincidenza o questi antichi architetti conoscevano questo simbolo e la sua importanza per l’umanità? Vediamo immagini del Fiore della Vita anche in Turchia e Austria come nelle immagini seguenti.

Fiore della Vita in India

Fiore della Vita in Turchia

Fiore della Vita in Austria

Kototama

Il Giornale Online
Morihei Ueshiba, Fondatore dell’Aikido

Kotokama sembra un messaggio delle culture antiche, che ci insegna come sintonizzare la coscienza all’energia dell’universo. Kotokama è una antica tradizione Giapponese che significa “spirito del linguaggio”, “suono sacro” o “conoscenza della vibrazione dell’Universo”. E’ la pratica del generare suoni e parole rituali per influenzare il corpo, la mente e l’anima. Il canto Kotokama crea un toroide risonante attorno al corpo come dimostra Jack Wada. I testi antichi citano 49 suoni nel Kotokama e un tono, il 50° che li comprende tutti. Questo 50° tono è il segreto, è la dinamica attiva del toroide e permette di accedere a livelli superiori di coscienza attraverso il Kotokama. Questa è una via strategica per tramandare informazione vitale lungo le generazioni. Solo coincidenza che la sequenza di vocali sia identica al nome Ebraico di Dio, “Yahweh”, che le persone non dovrebbero nominare ad alta voce?

Nella nostra era corrente abbiamo evidenza scientifica a dimostrazione che questo processo sia di grande effetto sulla nostra coscienza. Mi sono preparato al Monroe Institute in Virginia, dove hanno studiato le esperienze “extracorporee” per decenni. Assiema da altri studenti ho appreso a cantare un tono e visualizzare un’aura di luce toroidale attorno a me, che fluisce entrando dai miei piedi ed uscendo dalla testa. Sembra che una esperta ricreazione (visiva e auditiva) del flusso di energia fondamentale sia la chiave per espandere la coscienza e accedere all’energia dello spazio per ottenere elettricità. E’ possibile che questo accesso all’espansione di coscienza, questo legame con la forza creativa, sia stato nascosto alle persone?

  

Immagini: Il concetto di “Re-bal” o “Pallone Risonante” del Monroe Institute attorno al corpo umano. Cantando in risonanza con questo campo dovremmo espandere la coscienza oltre il corpo, ripreso anche da un crop circle in Inghilterra.

Albero della Vita Cabalistico

L’Albero della Vita Cabalistico, una delle icone centrali del libro sacro Ebraico, la Torah, rivela una struttura di 64 tetraedri se visualizzato in 3d come suggerito dai testi antichi. (1)

Se visualizziamo in 3d, possiamo vedere che il “seme” in fondo all’albero cresce in un tetraedro e quindi in un ottaedro, allo stesso modo in cui la geometria vivente diviene complessa in modo efficiente, in tutte le scale.

Albero della Vita Cabalistico

Tetraedro

Ottaedro

Tetraedro e Ottaedro

CropCircle

Lo stesso schema è apparso nei cosiddetti “cropcircles”. Alcuni di questi sembrano messaggi da culture avanzate sul come agisca l’energia dell’Universo, in modo da insegnare agli umani come allinearsi alla natura, stessa cosa suggerita dalla tradizione Kotokama, prima che sia troppo tardi.

Nassim Haramein e Jean Luc Bozzoli hanno assemblato informazioni per mostrare come la moltiplicazione dell’Albero della Vita riveli la matrice di 64 tetraedri che incorpora il Vector Equilibrium.

Combacia anche perfettamente al fiore della vita…anch’esso apparso nei cropcircles




  

Come si legano assieme tutti questi dati? Sembra che numerose antiche civiltà conoscessero il funzionamento dell’energia illimitata dell’Universo  e si sono poi impegnate a tramandarlo con i testi, le tradizioni orali, le icone e altri mezzi,, consci dell’importanza di tramandare quel codice per l’umanita’ del futuro.
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Ora che abbiamo questa informazione vitale, possiamo apprendere come meglio allienarci col flusso dell’Universo per accedere ad energia abbondante e a stati di coscienza che conosciamo come armonia o amore, ora estremamente necessario per creare un pianeta prosperante.

Bibliografia:
The Secret Teachings of all Ages, Manley P. Hall, P. CXXIII
Secrets of the Great Pyramid. Pgs.189-190.
The Sign and the Seal, p. 273.


La Grande Depressione. Reverente omaggio a Hjalmar Schacht.

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La gigantesca statura di Hjalmar Schacht si staglia su tutti gli economisti del secolo passato che si son dovuti cimentare con la Grande Depressione, per il semplice motivo che è stato l’unico a risolverla, ed nel giro di pochi anni.

SchachtHjalmar La Grande Depressione. Reverente omaggio a Hjalmar Schacht.

Il suo nome é stato oggetto di un tignoso ostracismo e di una conventio ad excludendum difficilmente rinvenibile nella storia, e le sue teorie economiche poco o punto studiate.

Ciò é accaduto per due motivi.

Quello tecnico é da addebitarsi alla ritrosia che provano gli economisti a parlare dell’unico che é stato in grado di far emergere la Germania dalla Grande depressione, in un contesto globale sinistrato, nel volgere di pochi anni.

Quello politico é legato al fatto che l’allora Governo tedesco ha utilizzato gli stupefacenti risultati di Schacht a fini bellici.

Occorre quindi operare una drastica separazione tra mezzi e fini. I mezzi sono moralmente ed eticamente neutri: sono solo uno strumento logico e tecnico. I fini invece sono e devono essere sottoposti a giudizio morale ed etico.

In questo post richiameremo a grandi linee la teoria e la prassi di Schacht, perché conoscerle potrebbe essere, mutatis mutandis, di utilità nell’affrontare la nuova grande depressione cui l’Occidente sta andando incontro. Il fatto che l’autore abbia una componente ebraica dovrebbe preservarlo da possibili misinterpretazioni.

Si da per scontato che il Lettore conosca bene la storia economica della Grande Depressione ed abbia letto in originale i trattati di Keynes, cui gli epigoni mettono spesso in bocca frasi e concetti che mai si sarebbe sognato di dire o pensare.

Biografia.

Hjalmar Horace Greeley Schacht nacque a Tingleff il 22 gennaio 1877 da famiglia ebrea: padre tedesco e madre danese, che erano vissuti a lungo negli Stati Uniti. Studiò medicina e si laureò in economia nel 1899. Notato per la sua cultura, intelligenza e capacità lavorativa da Jokob Goldschmidt, Presidente della Dresdner Bank, vi entrò e nel 1903 ed in soli cinque anni ne divenne il capo nel 1908, a trentun anni. Nel 1905 ebbe modo di fare amicizia con J.P. Morgan. Dal 1908 al 1915 fu Amministratore della Dresdner Bank e nel 1923 fu nominato responsabile economico della Repubblica di Weimar. L’anno successivo assunse la Presidenza dell’allora Reichsbank, carica che tenne fino al 17 marzo 1930, per ritornarvi il 17 marzo 1933. Nell’agosot 1934 fu nominato Ministro dell’Economia e nel maggio 1935 Plenipotenziario generale. mantenne la carica ministeriale con il portafoglio fino al 1937, quindi senza portafoglio. Nel 1939 fu obbligato a dimettersi dalla Presidenza della Reichsbank.

Internato nel 1943 a Dachau, nel dopoguerra fu incriminato ed imputato al Processo di Norimberga, ove fu assolto da tutti i capi di accusa “per non aver commesso il fatto” ovvero “perché il fatto non sussite”.

Operato finanziario ed economico.

La Grande Depressione colpì una Germania politicamente instabile e con Governi molto deboli, oberata dai debiti di guerra, con tassi di disoccupazione che arrivarono ad oltre il 50% ed una svalutazione a sei zeri. Tutto il mondo ne era rimasto colpito, ed il fatto che stesse un pochino meglio della Germania non significa che non fossero immiseriti.

Schacht dimostrò un mix di cultura, teoria e praticità forse unico nella storia. «The banker who saved his country», «Schacht was an enigmatic man whose motivations often are hard to unravel», «he paints a complex man as driven by a sense of duty that was all too often warped by ambition and hubris»: così lo dipinge Weitz.

Anche se esporremo didatticamente per punti, l’azione di Scacht é unica, pur articolandosi su disparati settori ma pur sempre in un piano strategico complesso ma realistico. L’unico corrispettivo storico allo stesso livello potrebbe essere Deng Xiao Ping.

1. Disoccupazione. Oltre a costituire un immenso dramma umano, una disoccupazione oltre il 50% costituita in concreto quanto serio pericolo per l’ordine e la stabilità politica del Paese. A differenza di Roosevelt, che finanziava aziende che curavano quindi grandi opere pubbliche, operazione non priva di attriti e diseconomie, Schacht suggerì di inquadrare i disoccupati in una sorte di organizzazione paramilitare che garantisse un minimo di ordine e la sopravvivenza loro e delle loro famiglie. Questa enorme forza lavoro fu direttamente impiegata in grandi opere infrastrutturali, quali la costruzione di autostrade, aeroporti, stazioni e rete ferroviaria, ma anche e soprattutto direttamente come maestranze nell’industria, che si trovava così ad operare senza alcun costo del lavoro. Appena vi erano segnali di miglioramento, questa organizzazione congedava quelle persone, e solo quelle, che avrebbero potuto essere assunte dall’industria in ripresa. Non erano previsti quindi sussidi di disoccupazione.

2. Ripresa dei commerci: il baratto ed abolizione della moneta. In una situazione depressiva mondiale i commerci internazionali erano di fatto nulli. Schacht reintrodusse nel sistema economico il baratto, merce contro merce. Da manuale la sua operazione con l’Argentina, all’epoca la principale esportatrice di granaglie e carne ed a quel tempo con l’export azzerato. Con reciproca ampia soddisfazione Schacht iniziò una serie di baratti tra i prodotti industriali tedeschi contro granaglie e carne, stabilendo di volta in volta le equivalenze. Questa operazione concorse a raggiungere diversi obiettivi: la Germania aveva di che mangiare, cosa non da poco dato il momento, l’industria tedesca aveva ordinativi, e quindi iniziava a riprendersi ed a poter riassumere personale e maestranze, l’Argentina usciva rapidamente dalla depressione. Questo sistema evitava ogni forma di intermediazione e l’esportazione di valuta.

3. I Mefo. Con il progetto Mefo il genio di Schacht raggiunse vette impensabili. Dapprima Schacht fondò la società Metallurgische Forschungsgesellschaft m. b. H. (Mefo) con capitale sociale di un milione di marchi, ben presto azzerato da un’inflazione a nove zeri. Questa società aveva la caratteristica di non esistere: per intenderci, non aveva né sede né personale. Quindi la Mefo si mise ad emettere un gran numero di buoni Mefo, una sorta di cambiali a tre mesi, talora di durata maggiore, che la Reichsbank puntualmente rinnovava, e che potevano girare solo in Germania. Questi buoni erano denominati in una pleiade di valori: dai marchi, a valute straniere, merci, immobili, lavoro, e via quant’altro. La Banca centrale rinnovava questi Buoni secondo “equità”, ossia mantenendone il reale potere di acquisto in funzione dell’uso e dell’utente. Ovviamente, mai a nessuno venne in mente di portare i Mefo allo sconto.

In buona sostanza, i Buoni Mefo raggiunsero un volume di oltre 12 mld marchi, contro un debito pubblico di 19, senza causare la minima inflazione e sfuggendo, per di più, ad ogni forma di contabilizzazione nel bilancio dello Stato, che tornò nel giro di due anni in pareggio.

Una discreta parte dei Mefo terminò la sua vita trasformati dapprima in Mefo immobiliari e quindi in obbligazioni a base immobiliare, gradatamente riassorbite nel mercato ordinario. Si noti comunque che, dato il tipo di questa operazione, nessuno aveva interesse a tenere una contabilità degna di quel nome. La stragrande maggioranza dei tedeschi non ne seppe nemmeno della loro esistenza.

Considerazioni.

Siamo perfettamente consci che sintetizzare l’opera di Schacht in millecinquecento parole omette per forza di cose molti argomenti ed espone solo per capi, senza un approfondimento critico.

Tolto dal contesto della Grande Depressione, l’operato di Schacht dovrebbe essere considerato una gigantesca operazione ai limiti della legalità: ma in quel particolarissimo frangente bloccò l’iperinflazione, eliminò la disoccupazione, rimise in moto commerci ed industria, stabilizzò la valuta. Questa é una ulteriore dimostrazione del fatto che i mezzi sono neutri: é il fine per cui sono impiegati che li caratterizza per buoni o cattivi.

Occorre dare atto a Schacht, oltre alle evidenti doti tecniche, di un equilibrio mentale molto sopra la norma. Aveva capito alla perfezione che in momenti eccezionali si devono usare mezzi eccezionali, da abbandonare rapidamente al normalizzarsi degli eventi. E’ l’accurata scelta della tempistica a rendere grande un economista. Una altra grande dote di Schacht fu l’aver compreso la mentalità del suo popolo, che non vide nulla di male nel ricorso a paramilitarizzare la disoccupazione, vera carta vincente perché eliminò in un amen ogni tensione sociale e ridiede stimolo all’industria.

Un discorso a parte sarebbe l’uso che i Governati tedeschi fecero delle arti economiche di Schacht: ma proprio perché non sarebbe pertinente al tema di questo post non siamo obbligati a parlarne.

Conclusioni.

Mentre il mondo e l’Occidente stanno avviandosi verso un nuova grande depressione potrebbe essere utile considerare se si possa trarre un qualche ammaestramento dall’opera di Schacht. Qui ne riportiamo solo alcuni spunti, sui quali riflettere.

1. Il problema più drammatico di una grande depressione é la disoccupazione di massa, cui conseguono fame e torbidi sociali. La differenza tra democrazia e dittatura sono sei pasti saltati. La soluzione paramilitare era la più ovvia in quella nazione ed in quell’epoca. Essa presentava diversi aspetti positivi:

a. Assicurava vitto, alloggio ed uno stipendio piccolo, ma essenziale.
b. Non era un sussidio, bensì uno stipendio per un lavoro svolto. Più dignitoso e soprattutto produttivo.
c. Dal punto di vista contabile non si confondeva l’assistenza con altri capitoli di spesa.
d. Rese possibile eseguire una gran quantità di infrastrutture, dalla rete ferroviaria a quella stradale ed autostradale.
e. Permise di riqualificare maestranze, mettendole quindi in grado di diventare autonome per una normale assunzione nell’industria.
f. Sgravò la produzione di tutti gli oneri espliciti ed impliciti del costo del lavoro, consentendo una ripresa e, quindi, la normalizzazione graduale ma vigorosa.
g. Eliminò alla radice la causa principale dei torbidi sociali.

Oggi, ed in Europa, la paramilitarizzazione sembrerebbe una via improponibile, ma l’inquadramento in una sorta di “servizio civile” potrebbe essere una strada possibile, da valutarsi con cura nei suoi pro e nei suoi contro. Non é una panacea ed il timing é essenziale.

2. I Mefo costituirono una liquidità a circolazione limitata, circolare e coatta. Con la loro fantasmagorica duttilità di impiego fornirono all’industria una specie di valuta alternativa non quotata, il cui ammontare non intaccava in nulla il debito sovrano, fornendo nel contempo liquidità abbondante agli operatori. Al di là di chi li volle, a posteriori, identificare esclusivamente come uno strumento per aggirare il Trattato di Versailles, i Mefo riportarono in due anni l’industria tedesca ai livelli produttivi massimi. L’Europa attuale non si rende ancora conto, a parere dello scrivente, di quanto un marchingegno del genere potrebbe esserle di utilità.

3. Il ritorno al baratto rappresenta significativamente la genialità dell’uomo. Una volta fissati i controvalori merce contro merce, tutta la transazione poteva avvenire immune dalle turbolenze valutarie che caratterizzarono quell’epoca, con reciproca soddisfazione e guadagno, facendo lavorare la produzione a ritmo sostenuto. Questo è un altro escamotage da non sottovalutare. Ciò non vuol dire copiarlo, ma solo utlizzarlo con buon senso.

4. Per valutare appieno la portata del mix delle soluzioni elaborate da Schacht, si consideri infine che misero in grado l’economia tedesca di reggere senza alcun segno di collasso ai lunghi anni di conflitto.

Letteratura suggerita.

- Weitz J. Hitler’s Banker. Hjalmar Horace Greeley Schacht.  John Little, Brown, 361pp.
BIS. Monetary policy implementation: Misconceptions and their consequence. 2008
BCR. Strategia di politica monetaria.
- Schacht HH. Confessions of the Old Wizard: The Autobiography of Hjalmar Horace Greeley Schacht. Literary Licensing, Llc. 2011

Nota.

Finanza e politica. Stefano Sylos Labini. Come la creazione di moneta può creare occupazione. Lo segnalo, perché mi sembra ben fatto e sintetico. Anche se nell’insieme non mi sembrerebbe cogliere significative differenze interpretative della figura di Schacht, questo post contiene alcune differenze di fonti e di interpretazioni che potrebbero complementare la lettura di questo post.

Luoghi Maledetti - Il caso del Passo Dyatlov

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Esistono davvero luoghi maledetti? Sembrerebbe che nel mondo ne esistano di diversa fattura e non pochi: foreste e montagne dalle quali alcune persone spariscono inspiegabilmente, ma anche luoghi dove sono stati ritrovate persone e ricercatori, uccise in circostanze misteriose da qualcosa di sconosciuto.


Il Triangolo delle Bermuda, il Triangolo del Diavolo nel Pacifico, la Valle della Morte in Siberia, la Foresta dei Suicidi in Giappone, Miasnoy Bor in Russia, la Montagna dei Morti e tanti tanti altri luoghi “maledetti” in ogni parte del mondo. Diversi anche in Italia. 

Da migliaia di anni ci sono luoghi sulla Terra creduti sinistri o maledetti e si racconta che chi si e' avventurato in quei luoghi, ignorando gli avvertimenti, sia scomparso per sempre o sia morto in maniera orribile. Ma cosa rende questi posti tanto pericolosi da essere poche le persone che si sono avventurate in quei luoghi, e ancor meno quelli che sono sopravvissuti per poter raccontare quello che hanno visto?

Difficile stabilirlo. D'altronde chi avrebbe il coraggio di indagare in quei luoghi? L'avvertimento, molte volte tramandato attraverso il mito o i racconti della tradizione popolare delle popolazioni autoctone è quasi sempre quello di non entrare in quelle zone, foreste, montagne spesso identificate con appellativi quali “della morte” o “del diavolo”, perché non ne uscirete mai vivi. Le leggende sono molte, addirittura qualcuno azzarda l’ipotesi che popoli alieni abbiano abbandonato lì le loro potenti armi. 

E’ il caso della Tunguska, dei suoi misteriosi calderoni e del presunto macchinario alieno o antidiluviano ivi nascosto in grado di distruggere i corpi celesti quali meteoriti o comete in rotta di collisione con la Terra così come ipotizzato dal Dr. Costantino Paglialunga e dal Dr. Valery Mikhailovich Uvarov, Capo del Dipartimento di Ricerche Ufologiche, Paleoscienza e paleotecnologia al National Security Academy di San Pietroburgo Russia.

La distruzione o la deviazione dei corpi celesti afferma Uvarov, si ottiene utilizzando enormi globi di plasma, prodotti dal “macchinario alieno”. Quello che nel 1908 migliaia di persone videro in gran parte della Siberia era il loro volo, con il risultato che i testimoni dell’evento di Tunguska attribuirono l’intero fenomeno alla comparsa di una serie di fulmini globulari. 

Apparentemente le sfere di “Plasma” sono prodotte da un generatore di energia situato nelle profondità della Terra”. Troviamo importanti conferme dell’esistenza di questa installazione nei racconti tradizionali della popolazione locale situata vicino alla zona dell’esplosione di Tunguska. Le leggende narrano di “fulmini ardenti”, “sfere fiammeggianti” e di tremende esplosioni col risultato che per centinaia di chilometri la superficie circostante si trasforma in un deserto disseminato di rocce. 


Nella Yakutia o Repubblica Saha, esiste un poema epico d'origine antica, l'Olonkho, che ebbe inizio molto probabilmente quando gli antenati vivevano nell'originaria "Terra Madre", situata nella regione compresa tra il Lago Baikal e il fiume Angara. In tale luogo s'intrapresero relazioni con gli antenati dei popoli provenienti dalla Turchia e dalla Mongolia che vivevano nell'Altai e nel Saiany, tanto che i Kurykans, gli antenati della Yakutia, avevano molto in comune con gli antenati del popolo turco durante il periodo compreso tra il VI° e VIII° secolo. 

Una curiosità: i monti Altai sono diventati famosi nell’ambito della ricerca scientifica antropologica grazie alla scoperta dei misteriosi crani appartenenti all’Homo Denisova che hanno creato molto scalpore a causa della difficoltà di integrazione degli stessi nella consolidata e tradizionale teoria dell’Out of Africa I e II relativamente alla remota storia del genere Homo.

Ad ogni modo, si ritiene che la comparsa dell'Olonkho si debba collocare tra il VI° ed il XV° secolo e una delle principali caratteristiche di tale poema è di essere una storia originale. Composto di oltre 200 canti, che sino ad alcuni decenni fa sono stati tramandati solo per via orale o meglio per mezzo di canzoni, presenta differenti eroi e cospiratori: Niurgun Bootor, l'Impetuoso, è il più importante e rappresentativo giacché molto espressivo e sagace. 

Il 25 Novembre 2005 l'Olonkho è stato proclamato, dal direttore generale dell'Unesco, uno dei tanti capolavori facenti parte del Patrimonio Orale e Intangibile dell'Umanità con lo scopo di valorizzarlo e preservarlo. Nella saga del Niurgun Bootor, l'Impetuoso, si trovano notizie sugli oggetti strani ed anche su esplosioni veramente forti che ogni tanto accadono sin dai tempi più remoti, gli antichi nomi geografici della zona occupata dagli yakuti e dai tungusi, corrispondono totalmente al contenuto della leggenda, ma danno un'indicazione approssimativa sugli oggetti coperti dal terreno ghiacciato. 

Nello specifico, il poema ci narra che gli oggetti sconosciuti apparvero nel tempo più remoto, alcuni di essi sono delle grandi "case di ferro" che posano su appoggi multipli laterali, non hanno né porte né finestre, ma solo un ingresso spazioso che permette di scendere con una specie di scala a chiocciola e che rassomiglia alla "gola" di un enorme buco, sistemato alla sommità di un'altissima cupola. 

Altri oggetti sono dei "coperchi" semisferici che si trovano in diversi posti e un "rampone trilaterale di ferro" che si vede emergere dalla terra solo in parte, ma con l’andar del tempo tutti questi manufatti si sono quasi completamente nascosti nel gelo perpetuo. Le esplosioni, che ogni tanto succedono nella zona, sono strettamente legate a questi oggetti misteriosi, la leggenda parla anche della causa reale di tutti i vari disastri avvenuti. 

Si tratterebbe di un "cratere misterioso" eruttante fumo e fuoco, con un coperchio d’acciaio dentro il quale si trova un intero paese sotterraneo, in esso vivrebbe l’enorme gigante Uot Usumu Tong Duuray, il cui nome significa "alieno malvagio", che buca la terra e si nasconde sotto di essa: egli, con un turbine di fuoco, distrugge tutto quello che trova nel suo intorno, seminando infezione e lanciando un "pallone" di fuoco, la leggenda aggiunge inoltre, che con quattro tuoni successivi, questo pallone si dirige ad un’altezza sempre più alta fino a scomparire dietro l’orizzonte dei cieli gialli occidentali, lasciando una "traccia di fuoco e fumo". Visto così, l’eroe era considerato un personaggio positivo, dato che andava a distruggere delle altre tribù, ma sembra proprio che l’immagine data dalla leggenda sia incredibilmente simile a quella che si è verificata nella Tunguska nel 1908. 

Al momento dell’uscita dell’eroe malvagio Tong Duuray dal cratere, nel cielo appariva il messaggero del "Dyesegey Celeste", il gigante Kun Erbye, il quale, come una stella cadente più veloce del fulmine, attraversava il cielo per avvertire Nurgun Bootor della battaglia che stava per cominciare.

Disseminando una bufera di pietre,
facendo balenare lampi e rimbombare
un quadruplice tuono dietro di sé,
Niurgun Bootor volava senza deviare...

La sua descrizione nelle leggende è simile alla situazione di volo e dell’esplosione del bolide di Chulym che è penetrato nell’atmosfera fino all’altezza di circa 100 Km, ripetendo esattamente la traiettoria del meteorite della Tunguska ed è esploso con un fascio di scintille sopra il fiume Chulym il 26 febbraio 1984, i pescatori della zona, hanno inoltreosservato che da dietro le colline, situate verso il nord, sono saliti verso il cielo due grandi palloni illuminati e che sono spariti dietro le nuvole; in ambedue i casi si parla della direzione nord, dove si trova l’epica "Valle della Morte". 

Per ritornare alle leggende, il più grande evento descritto riguarda proprio l’uscita di Tong Duuray dalle profondità terrestri e la sua battaglia con Nurgun Bootor: prima dal “cratere” usciva un turbine di fuoco rassomigliante ad un serpente, sul cui apice si formava un “pallone di fuoco” che, dopo una serie di colpi di tuono, si lanciava verso il cielo. 


Insieme con lui, dalla terra, usciva la sua scorta “uno sciame di turbini sanguinari e perniciosi”, che creavano distruzione nei dintorni; a volte succedeva che Tong Duuray incontrasse Nurgun Bootor proprio sopra il luogo della sua uscita, dopo di ché la zona rimaneva senza vita per moltissimo tempo. 

In genere, la situazione di questi eventi è ben variegata: dal cratere potevano uscire più "giganti di fuoco" alla volta, volare per un certo tempo e poi esplodere tutti insieme, lo stesso succedeva anche nel momento dell’uscita di Tong Duuray e gli strati di terreno lasciano capire, in particolare, che tra le successive esplosioni potevano passare dai 600 ai 700 anni.

La leggenda ne parla con colori vivaci, ma l’analfabetismo ha impedito di documentarle in una maniera più accessibile e più vicina alla nostra civiltà.

...Imprendibile in volo, privo di ombra, 
il fulmineo araldo, messaggero del Celeste Dyesegey, 
sfolgorante nella sua cotta metallica, più repentino del lampo, 
Kun Erbye, il campione.

Sfrecciava, come stella cadente, solo l'aria sibilava
dietro di lui... Sfrecciava come un dardo oltre i limiti
dei gialli cieli occidentali, sino alla rapida
china inferiore dei cieli sospesi sopra l'abisso.

Sfrecciava alto; solo il tuono rumoreggiava...
Un fuoco blu ardeva dietro di lui, un fuoco bianco
imperversava nella sua scia, scintille rosse volteggiavano.

Guarda caso il nome antico di questi luoghi in lingua Yakuta è Ulyuyu Cherkechekh, che significa “Valle della Morte”.

Una ipotesi quella di Uvarov e Paglialunga peraltro non del tutto assurda considerato quanto accaduto proprio a sud degli Urali nel Febbraio del 2013 quando la cosiddetta Meteora di Čeljabinsk   un meteoroide di circa 15 metri di diametro ha colpito l'atmosfera alla velocità di 54.000 km/h, circa 44 volte la velocità del suono, e si è frantumato sopra la città di Čeljabinsk. Potrebbe essere stato distrutto dal macchinario alieno/antidiluviano siberiano?


Il folklore europeo ha tramandato una quantità di luoghi maledetti o caratterizzati da una presenza diabolica. Come orientarsi in mezzo a tutte queste suggestioni, come vagliare ciò che può esservi di autentico in questi racconti e in queste leggende?

Talvolta, in concomitanza con tali racconti della tradizione popolare si registrano testimonianze che lasciano perplessi; segnalazioni di creature mostruose, di esseri pelosi sbucati fuori dai boschi, oppure di creature rettiliane emerse dai fiumi; oppure ancora, avvistamenti di strane luci e bagliori nel cielo notturno, perfino di dischi volanti che evoluiscono in maniera inspiegabile e che, posandosi a terra e poi ripartendo, lasciano dietro a sé delle tracce caratteristiche e indubitabili, quali l'erba appiattita o bruciata in mezzo ai prati.

Tutti questi elementi, tratti dalle cronache e dalle statistiche, sembrano indicare che, su talune località - incroci o tratti stradali, rive di laghi e di fiumi, lande, brughiere, vecchie case in rovina o tuttora abitate - è come se incombesse un sortilegio; come se delle forze negative, di origine non umana, facessero sentire la loro maligna presenza; come se tali forze fossero vive e operanti, suscettibili non solo di incutere un senso di disagio e perfino di spavento, ma anche dei veri e propri malesseri fisici e, in alcuni casi, di provocare incidenti o malanni.

A volte la malignità dei luoghi si direbbe materialmente percepibile: vi sono delle località che sembrano possedere un'aura malefica; dei luoghi, sovente, legati al ricordo di foschi drammi di sangue, di apparizioni spettrali o diaboliche, di cupe vicende di violenza e di morte. Il tema del luogo malvagio è un "topos" della letteratura gotica, quasi una inversione che il Romanticismo nordico ha deliberatamente compiuto nei confronti del classico "locus amoenus" della poesia greca e latina; una sorta di vendetta contro la solarità, l'armonia, la bellezza della natura.


Ma la domanda che ci poniamo è se si tratta solamente di un "topos" letterario romantico, oppure esso, a sua volta, è il riflesso, il ricordo, l'archetipo di un qualcosa di reale, di un qualcosa che gli uomini hanno sempre sperimentato, sin dalla notte dei tempi?

Per gli antichi, è cosa nota, esistevano i luoghi sacri, abitati dalle divinità (maggiori o minori); mentre, per il cristianesimo, esistevano ed esistono dei luoghi benedetti, che conservano un'eco, e talvolta più di un'eco, della presenza di Dio e della Madonna: tali sono la grotta di Lourdes, ai piedi dei Pirenei; il villaggio di Fatima, in Portogallo; il monte di Medjugorje, fra le valli dell'Erzegovina; e numerosi altri.

Le chiese cristiane, poi, come pure i templi pagani, non venivano costruiti a caso: tanto la posizione che l'orientamento astronomico erano frutto di una scelta accurata, in base a studi matematici e a pratiche sacre e divinatorie da parte di sacerdoti che possedevano, un po' come i rabdomanti, l'arte perduta di percepire le energie positive e negative della Terra.

Un arte che nel corso del secolo scorso ha assunto connotati di scienza, seppur di un ramo di scienza ritenuta 'eretica': la radionica. Essa è quella pseudoscienza che studia le proprietà radioattive ed energetiche delle onde di forma, che vengono realizzate ed utilizzate mediante circuiti grafici su tavole disegnate.

Partendo dal concetto ormai consolidato nei millenni che, i numeri non sono altro che una delle tante espressioni astratte, profonde e filosofiche che l’uomo adotta ed ha adottato per cercare di comprendere la sua vera natura originale e tutto ciò che lo circonda, e che di conseguenza la geometria non è altro che la rappresentazione fisica di dette espressioni matematiche o numeriche, possiamo dire che tramite la radionica, che studia le onde di forma realizzate su circuiti grafici mediante le suddette espressioni o formule elaborate dall’esperienza di tutte queste scienze, è possibile attingere a forme di azione-pensiero e di espressione tramite le radiazioni da loro sprigionate legate ad un dato problema di cui noi necessitiamo una risposta in modo più diretto, profondo e astratto, quindi di conseguenza a noi sconosciuto a livello razionale.

Queste forme di pensiero create e materializzate tramite gli ideogrammi realizzati su circuiti grafici radionici ad onde di forma, possono essere utilizzate ed incanalate mediante diversi metodi per i più disparati utilizzi.

Ultimamente si è riscoperto che nell’azione-pensiero materializzato nei circuiti radionici, è possibile realizzare un serbatoio energetico inesauribile di informazioni legate alla forma-pensiero stessa dove possiamo attingerne le sue radiazioni anche come azione compensatoria relativa ad ogni problematica in questione, apportandovi così equilibrio.

Parlando sempre di forma-azione-pensiero, principio base della radionica, giunge subito spontaneo che la sua azione risulterebbe più mirata per quanto riguarda le problematiche di compensazione e astratte che appartengono alla sfera mentale dell’individuo e che qui potrebbero trovare le risposte più profonde e adeguate ad essa.

Una disciplina che possiede molte analogie con l'orgone di Wilhelm Reich il quale ha trascorso l'ultima parte della sua vita allo studio del fenomeno - all'onnipresente e onnipervadente Energia Vitale.

Wilhelm Reich iniziò la sua carriera in Austria e Germania come dottore psichiatra , in stretta associazione con Sigmund Freud e ha contribuito in maniera notevole alla comprensione del collegamento tra la sessualità umana e la psicologia e non smise mai di aprire nuove frontiere di ricerca, che venivano man mano ad aprirsi durante la sua vita.


Tuttavia Reich non fu ne il primo ne l'ultimo ad osservare il funzionamento di quella che sembrava un "energia vivente" o una "forza anti-entropica".
Prima che la visione meccanicistica della vita si imponesse , poco più di un secolo fa (Newton e altri) , tutte le tradizioni conoscevano un qualche concetto di "mare energetico" dal quale tutte le forme materiali si manifestano.

Questo termine è conosciuto nelle tradizioni dell'Induismo (prana), buddismo e taoismo (Chi, Ki come nel Rei-Ki) tradizioni dell'estremo oriente ma che conoscevano anche i greci (etere), lo stesso concetto è intuitivamente o esplicitamente noto a tutte le tradizioni di guaritori sciamanici intorno al mondo.

Nell'Europa post-Newtoniana, oggi, personalità (volutamente) dimenticate come il magnate bohemiano dell'acciaio , il Barone Karl V. Reichenbach o il famoso dottore Austriaco Anton Mesmer (dal quale deriva il detto "personalità mesmerizzante") contribuirono con valide ricerche ed esperienze e furono ben noti al loro tempo.
Negli anni recenti si assiste non solo al riemergere di tecniche di guarigione e cura basate sull'energia vitale come il reiki (Rei-Ki = Sacra Energia Vitale) ma anche a una convergenza delle più avanzate ricerche nel campo della fisica quantistica con queste antiche tecniche mistiche.

La fisica quantistica è oggi arrivata al punto in cui anche la più elementare particella è stata meccanicisticamente dissezionata e ispezionata e questo l'ha portata a interrogarsi sul suo stesso paradigma. I fisici quantistici si interrogano ora sulla stabilità della materia stessa e sono arrivati a concettualizzare che le particelle elementari stesse non sono altro che perturbazioni "sulla superficie di un oceano d'energia senza fine" che alcuni scienziati sono d'accordo nel definire "Energia di punto Zero".
Concetti questi molto simili al mito dell'energia vitale che prese il nome di Vril nelle opere e delle società teosofiche a cavallo tra il 1800 e il 1900 e che ci avvicina agli studi di Tesla sulla free energy scomparsi dopo la sua morte.

Oggi la fisica moderna ammette che la materia è composta da energia che, muovendosi, si manifesta sotto forma di onde e quando è stazionaria produce campi di forza. Le onde elettromagnetiche tra cui le onde cosmiche, le onde sonore, fino alle energie più sottili, comprese quelle emesse dall'attività cerebrale, sono "onde di forma". Emettono radiazioni gli animali, i minerali, i cristalli e persino alcune forme geometriche. 

Costituiscono il corpo della Radionica: la Radioestesia Parafisica e la Fisica Radioestesica, insieme allo studio delle onde di forma relative alle forme geometriche. 

Il termine Radioestesia è composto da due radici: una dal latino Radius, che vuol dire "Raggio" e l'altra dal greco "Aisthesis" che vuol dire: "sensibilità, percezione". In altri termini: sensibilità alle radiazioni, agli impulsi, alle vibrazioni, alle emanazioni.

La Radioestesia comprende anche lo studio della Geobiologia e della Geopatia e conduce nel misterioso mondo delle vibrazioni, impercettibili e non, di tutto il vivente.

E' la scienza che, mediante il "sentire", le radiazioni che ogni corpo e ogni sostanza emette, ci consente di scoprire cosa è nascosto al loro interno, di conoscerne l'ubicazione, l'entità, la natura, la specie, la qualità e l'influenza che esercitano le une sulle altre; per arrivare a individuare e sentire ciò che per i più è inesistente. Tuttavia quasi tutte le persone possono afferrarle, comprenderle ed interpretarle più o meno potentemente, ed anche servirsene. E' stata definita come "l'ottava grande forza della natura", "il settimo senso", "un medium tra la materia e lo spirito".

Se in Occidente questi approcci sono sostanzialmente bistrattati e tenuti in pochissima considerazione dagli ambienti scientifici in Unione Sovietica   queste stesse discipline scientifiche venivano elevate a facoltà universitaria e nell'ex-esercito sovietico (e probabilmente nell'attuale russo) vi erano corpi dedicati allo studio e alla sperimentazione delle teorie previste dalla radionica e dalla geotecnica.

Esisteva infatti una facoltà di radionica presso l'Università di Ekaterinburg in Unione Sovietica ed è forse proprio in quella università del regime sovietico a nascere i presupposti per quello che diventerà uno dei casi più misteriosi e inquietanti di incidenti in montagna: il caso del Passo Dyatlov.

Un caso che vede coinvolti nove escursionisti, deceduti nella notte del 2 febbraio 1959 in una località di montagna nota come;, Kholat Siakhl, (nella lingua Mansi, una popolazione semi nomade di ceppo ugro finnico che abita la zona da millenni, “Montagna dei Morti”), in circostanze tuttora misteriose e che hanno generato una grande quantità di ipotesi. Da allora, la località è stata ribattezzata Passo Diatlov , dal nome del capo escursionista, Igor Diatlov.

Tutto ebbe inizio quando un gruppo di studenti dell’Istituto Politecnico degli Urali si riunì per partecipare a un’escursione attraverso gli Urali settentrionali a Sverdlovsk, oggi Iekaterinburg, guidati da un esperto conoscitore della zona, studente pure lui, Igor Diatlov. 

Del gruppo, oltre a lui, facevano parte Sinaida Kolmogorova, Liudmila Dubinina Aleksandr Kolevatov Rustem Slobodin Iuri Krivoniscenko, Iuri Doroscenko Aleksandr Solotarev , Nikolaj Tibo-Brignol Iuri Iudin 

Igor Diatlov a sinistra nella foto, il capo della spedizione

Otto uomini e due donne, appartengono praticamente tutti al Politecnico degli Urali di Ekaterinburg. Un istituto che oggi si chiama Università Tecnica Statale degli Urali, ed è intitolata a Boris “Corvo Bianco” Yeltsin. Amanti dello sci di fondo, coltivano un’altra passione comune, quella delle escursioni invernali. Viaggi molto diffusi tra giovani scienziati ed ingegneri come loro, che ne approfittano per compiere veloci ricerche sul territorio che, al ritorno, frutteranno ai loro profili accademici un buon balzo avanti rispetto ai colleghi più pantofolai.

Dei 10 membri della spedizione due, tra cui lo stesso Dyatlov, studiavano appunto la misteriosa radionica di cui abbiamo parlato prima mentre un altro, Alexander Kolevatov, si occupa di geotecnica.

Riassumento quindi abbiamo:  Igor Dyatlov, studente della facoltà di Radionica; Yuri Yudin, studente di Economia; Alexander Kolevatov, studente di Geotecnica; Rustem Slobodin,Georgyi Krivonischenko e Nikolay Tibo-Brignoles, ingegneri; Yury Doroshenko, studente di Scienze Politiche. Le uniche due donne del gruppo, Ludmila Dubinina, studente di Economia, e Zinaida (Zina) Kolmogorova, anch’essa studente della facoltà di Radionica.

Alexander Zolotarev, il decimo, è una guida professionale ed un istruttore di sci. Si è accodato al gruppo di Dyatlov per aggiungere al suo status quei punti in più che gli avrebbero garantito il titolo di Istruttore esperto, tanto ambito tra le guide russe. 

E’ l’unico estraneo al team, caldamente raccomandato ai ragazzi da un amico dell’Associazione Sportiva; un dettaglio, quest’ultimo, da non trascurare per lo svolgimento successivo delle nostre indagini.

Gli escursionisti volevano raggiungere l’Otorten una montagna dieci chilometri a nord del Kholat Siakhl, seguendo un percorso non facile, ma tuttavia alla portata dei componenti la spedizione, tutti piuttosto esperti.


Ed è così che all’alba del 27 gennaio indossano gli sci e si incamminano verso la Gora Otorten, lo sperone roccioso di un monte, il Kholat Syakhl, il quale, nel dialetto delle tribù Mansi che abitano la regione, ha il terrificante significato di “Montagna dell’Uomo Morto”.

I dieci membri della squadra rimarranno presto in nove poiché uno di loro Yuri Yudin non si sente bene, è debole e di malumore e rallenta la marcia. Non riesce proprio a stare al passo degli altri e quindi, il 28 gennaio, decide suo malgrado di rinunciare e tornare alla cittadina di Vizhay per rimettersi in forze ripromettendosi di raggiungere i compagni se e quando starà meglio. Una scelta che gli salvò la vita. 

La spedizione rimane quindi in un numero di nove persone.

Yuri Yudin

Visto e considerato il curriculum dei membri della spedizione nasce spontanea la prima domanda a cui bisognerebbe dare una risposta per potere comprendere al meglio ciò che accadde dopo ovvero quale fossero le motivazioni di quella spedizione. Si trattò davvero solo di una semplice gita? O forse vi erano scopi didattici ulteriori e segreti legati alle ricerche di radionica in una area della regione nota per essere una zona 'maledetta' secondo le antiche tradizioni popolari delle tribù indigene dei Mansi?

Il Kholat-Syakhyl e l’Otorten giocano un ruolo considerevole nel folklore Mansi  l’etimologia del secondo è “Non andare là”, mentre il primo significa “Montagna dell’Uomo Morto” in ricordo di alcuni membri della tribù periti in questo luogo in tempi immemori. Nove, per la precisione. Esattamente come i membri della spedizione Dyatlov dopo l’abbandono di Yudin.

Le leggende Mansi narrano di nove cacciatori che hanno trovato la loro morte sul Monte Kholat-Syakhyl al tempo del Diluvio: "morti di fame", "cotti a morte in acqua bollente", "periti in qualche sinistro bagliore". Da qui il suo nome, tradotto come il Monte dei Morti. I Mansi non hanno mai considerato né Kholat-Syakhyl o il vicino Monte Otorten come sacro, ovvero le montagne non sono mai state utilizzate per i sacrifici. Semplicemente la gente del luogo cerca di evitarle.

Nove, come anche le persone a bordo di un aereo che si sarebbe schiantato sul Passo con un pugno di passeggeri a bordo, anch'essi tutti deceduti, naturalmente. Inoltre da decenni la gente del luogo ha riportato resoconti incentrati su di un’insolita attività di oggetti volanti non identificati proprio tra questi monti.

Un luogo misterioso quindi... l'ideale per studenti di radionica alla ricerca di possibili conferme delle loro teorie alternative.

Tre giorni dopo l'abbandono da parte di Yudin, il gruppo dei nove si stacca dal rivo che traccia il percorso e dalla zona dei laghi ghiacciati non appena giunge in vista dei rilievi. Termina la marcia ed inizia la salita che lo condurrà sull’Otorten e, di qui, verso il Passo Ojkachahl, 100 miglia ad est di Vizhay, lambendo il corso del fiume Toshemka.

Per la fine degli anni Cinquanta, si tratta di una impresa agonistica impegnativa, di quelle che gli esperti di trekking etichettano come “Categoria III”. Pare che Dyatlov stesso l’abbia pianificata per allenarsi in vista della futura escursione che popola i suoi sogni: quella nelle regioni artiche.


Dopo poco meno di 4 chilometri di salita, i nove allestiscono un campo base ai margini del bosco, sul fianco del Kholat Syakhl. Sono le 4 del pomeriggio del 1 febbraio 1959. Non sanno, non possono sapere, che sarà il loro ultimo rifugio. Scattano fotografie, sorridono. Ammirando il paesaggio degli Urali imbiancati consumano la cena e le ultime energie, prima di ritirarsi in tenda. Alcuni crollano subito. Altri scrivono per riempire le pagine dei loro diari. Saranno le loro ultime note e si riveleranno utili per il successivo decorso delle indagini.

Infatti tutto ciò che possiamo sapere di quella triste, drammatica e misteriosa notte oltre ai testi scriti dei loro diari è frutto delle testimonianze dei soccorritori che ritrovarono i nove ragazzi ormai cadaveri e grazie agli uomini di una fondazione che ha scelto di chiamarsi proprio come lo sfortunato capo spedizione Igor Dyatlov. Un gruppo di testardi, quello creato dalla fondazione: 37 persone in tutto, la maggioranza delle quali è costituita da esperti indipendenti, non legati in nessun modo al governo un tempo in carica o a quello che, ad oggi, tiene le fila del paese. Gli altri sei membri del gruppo, invece, si riconoscono per l’età più avanzata.

E per un’ombra scura che portano sul volto. L’indizio di qualcosa di più gravoso di un cattivo pensiero. E di più insistente di un brutto sogno. Qualcosa che, soprattutto, assai difficilmente sembra coniugarsi con l’ipotesi di massima che conclude i lavori della conferenza. Conseguenza – nefasta – di un’esercitazione militare top secret. Quei sei uomini, nervosi ed invecchiati senza troppa grazia, sono i testimoni diretti.

Mikhail Sharavin ex soccorritore come altri cinque che sono là con lui, l’orrore l’ha toccato con mano.

E’ il 26 febbraio quando le squadre di soccorso di cui fa parte arrivano sul fianco orientale della Montagna dell’Uomo Morto. Sotto i loro piedi, giace in stato di abbandono quello che fino a qualche tempo prima era stato un accampamento. C’è una tenda semisepolta dalla neve. E’ quella dei ragazzi. L’equipaggiamento è quasi tutto al suo posto. Strano, abiti caldi, coperte, zaini, giacche a vento, pantaloni. Tutto. Anche la tenda sembrerebbe a posto. Peccato che su di un lato, quello sottovento, è lacerata. 

Più tardi si scoprirà che è stata tagliata, ma dall’interno. Dai brandelli di tenda che si agitano rigidi in balìa del vento gelido, parte una traccia netta che per mezzo chilometro attraversa la neve. Arriva fin quasi al bosco, dove inizia la valle del fiume Lozvy. Poi più nulla. Impronte per un totale di otto, forse nove persone. Alcune orme sono meno profonde ma più definite. Sono impronte di valenki (stivali soffici) o di calzini, forse addirittura di piedi nudi. Non può essere. A meno che non si sia trattato di un fuga. Sì, è possibile. Una fuga frettolosa.

Non è normale. A nord-est, 1500 metri dopo e dall’altro lato del passo, c’è un albero immenso. E’ un pino secolare, e nei pressi della sua base i ricercatori ritrovano tracce di legna carbonizzata, come se qualcuno avesse acceso un falò proprio in questo punto. Forse sono stati i due che giacciono nella neve qualche passo più in là. Georgyi Krivonischenko e Yury Doroshenko. Scalzi e con indosso soltanto la biancheria, sembrano adagiati su un immenso lenzuolo di neve. Una coltre sulla quale spiccano i rami che hanno addosso, spezzati dall’albero ad un’altezza di circa 5 metri da terra. 

Sulla corteccia, i primi esami rilevano tracce di pelle ed altri tessuti biologici. Uno dei ragazzi ha spezzato i rami. L’altro si è arrampicato sul pino a mani nude, forse per fuggire a una minaccia o forse per cercare di ottenere una visione migliore.. ma verso cosa?
Dall’albero si scorge quel che resta della tenda. I soccorritori iniziano a convincersi che c’è ben poco da soccorrere, e percorsi trecento metri trovano un altro cadavere. E’ Igor Dyatlov, il ventitreenne capo spedizione. Riverso sulla schiena con il capo rivolto in direzione del campo. In una mano stringe un ramo, mentre l’altro braccio è riverso sulla testa come ultimo, disperato tentativo di protezione durante una aggressione.

Per quanto si sforzino, i membri della squadra non riescono a darsi una spiegazione. Poi trovano Rustem Slobodin. A 180 metri appena, in direzione della tenda. Il viso sprofondato nella neve, sembra morto di ipotermia. Anche se una singolare frattura gli segna il cranio per un lunghezza totale di 17 centimetri. Una lesione che, secondo i patologi, non è di per sé sufficiente ad uccidere. Dalla posizione di Slobodin, che sembra essersi trascinato con le ultime forze in direzione della tenda, si scorge un altro corpo. E’ Zina Kolmogorova. Intorno al suo cadavere, parecchie tracce di quello che a buon diritto potrebbe essere sangue. Successivi esami confermano la natura del liquido, ma al contempo stabiliscono che non è quello della ragazza.

A prima vista sembrerebbero morti assiderati, le mani bruciate con tutta probabilità dal clima rigido della notte uralica. Ma nessuno di loro è morto in pace. Tutti in pose dinamiche, come se avessero lottato con qualcosa, con un’ombra, con il vento.
Siamo a cinque, ne mancano altri quattro. Non verranno scoperti fino al 4 maggio successivo, quando un incendio sviluppatosi nella valle di un affluente del Lozvy fa in modo che le autorità raggiungano una fenditura stracolma di neve che si apre nel terreno. Qui, in un crepaccio sotto 4 metri abbondanti di neve, c’è quel che resta degli escursionisti che ancora mancano all’appello.
   
Foto di repertorio – I soccorsi

Nonostante anche loro siano mezzi nudi, a confronto dell’altro gruppo hanno qualche vestito in più addosso. Potrebbe forse sembrare che abbiano prelevato qualche indumento dai compagni, magari hanno tentato di trasportarli quando erano feriti. Alexander Kolevatov e Nikolay Tibo-Brignoles, che ha il cranio fracassato ed indossa due orologi (uno fermo alle 8:14 del mattino, l’altro alle 8:39). Alexander Zolotarev presenta fratture all’emicostato destro. Ludmila Dubinina ha un piede rozzamente fasciato dai pantaloni di lana di Georgyi Krivonishenko, e presenta anche lei fratture simmetriche al costato. In questo caso, una delle costole si è conficcata in un secondo tempo nel cuore, causando una massiccia emorragia cardiovascolare dopo l’impatto. In più, a Ludmila è stata asportata la lingua. Il cappotto di pelliccia di Ludmila, insieme al suo cappello, è però indosso a Zolotarev. Eppure, nessuno presenta segni esterni di colpi. Le ultime quattro salme vengono esaminate in fretta, ed in fretta deposte nei feretri per restituirli alla terra.

Sono tutti abbronzati, bruciati. La loro epidermide è talmente infiammata da tendere all’arancione. E’ lo stesso colorito che ha visto negli altri, ritrovati relativamente subito rispetto alla tragedia e seppelliti qualche tempo prima. Ancora, i capelli di tutti sono improvvisamente diventati brizzolati. E non si è mai vista una cosa del genere in un gruppo di ventenni. Quando trapela la diceria secondo la quale gli esami forensi hanno rilevato su alcuni degli – scarsi – indumenti consistenti tracce di radioattività, come se i ragazzi avessero maneggiato materiale di questo tipo o si fossero attardati in un’area contaminata, quelle strane morti sembrano in un certo macabro modo aver più senso.

Mentre le salme vengono interrate, le autorità chiudono il caso in modo tanto rapido quanto laconico. “Decesso provocato da forza sconosciuta ed irresistibile” è la dicitura riportata su tutti i certificati di decesso, che chiama in causa una forza maggiore a tuttora sconosciuta ma che di certo non può soddisfare i tanti dubbi rimasti collegati a questo caso. Dopo tale incidente le autorità russe circoscrissero l'area inibendone l'accesso per diversi anni.

Quindi, a questo punto, abbiamo nove escursionisti accampati ai piedi di una montagna. Ma durante la notte, verso le 3 del mattino, accade qualcosa di strano, qualcosa che li ha spaventati al punto da spingerli dall'uscire dalla tenda, squarciandola con un coltello, e fuggire verso i boschi. Alcuni di loro erano seminudi, nel mezzo di una tormenta in una regione che di notte segna una temperatura media di -30°. 
La scena come si è presentata ai soccorsi è un festival di stranezze. Badate bene che le uniche impronte trovate in tutta la zona furono le loro. Nessuna impronta di elementi estranei alla spedizione nè di animali.

La tenda come è stata trovata dai soccorsi

Tutti e nove arrivarono al bosco correndo come pazzi per 1,5 km. Due di loro si arrampicarono sugli alberi fino ad un'altezza di 5 metri, con talmente tanta foga da lacerarsi le carni. Tentarono anche di accendere un fuoco. 

Si stabilì che da quegli alberi, a quell'altezza, si scorgeva la tenda che avevano abbandonato in fretta e furia. Tre di loro, giunti al bosco, decisero di tornare alla tenda. Morirono a metà strada.

Uno di loro (Igor Dyatlov, il capospedizione) fu trovato riverso sulla schiena, con un ramo nella mano destra, mentre la mano sisnistra la teneva sul capo, come per proteggersi. Poco lontano venne trovato il corpo di Rustem Slobodin, morto apparentemente di ipotermia ma con una frattura nel cranio. Pare abbia cercato di trascinarsi verso la tenda con le ultime forze che gli restavano. La terza persona era Zina Kolmogorova; trovata cadavere e circondata da tracce di sangue che non era il suo.
Una dinamica che non collima per nulla con l'ipotesi del semplice incidente di montagna o della slavina (di cui peraltro non vi è traccia alcuna nei referti delle indagini)

L’unica descrizione possibile degli eventi è la seguente: a notte fonda, qualcosa terrorizza i nove alpinisti che fuggono tagliando la tenda; alcuni di loro si riparano vicino all’albero, cercando di arrampicarvici (per scappare? per controllare il campo che hanno appena abbandonato?). Il fatto che alcuni di loro fossero seminudi nonostante le temperature bassissime potrebbe essere ricollegato al fenomeno dell’undressing paradossale; comunque sia, essendo parzialmente svestiti, comprendono che stanno per morire assiderati. Così alcuni cercano di ritornare al campo, ma muoiono nel tentativo. Il secondo gruppetto, sceso più a valle, riesce a resistere un po’ di più; ma ad un certo punto succede qualcos’altro che causa le gravi ferite che risulteranno fatali.

Dove sono stati trovati i corpi rispetto al campo e all’albero

Cosa hanno incontrato gli alpinisti? Cosa li ha terrorizzati così tanto?

Le ipotesi sono innumerevoli: in un primo tempo si sospettò che una tribù mansi li avesse attaccati per aver invaso il loro territorio – ma come abbiamo detto nessun’orma fu rinvenuta a parte quelle delle vittime. Inoltre nessuna lacerazione esterna sui corpi faceva propendere per un attacco armato, e come già detto l’entità delle ferite escluderebbe un intervento umano.

C'è chi ha ipotizzato addirittura un “abominevole uomo delle nevi” tipico degli Urali chiamato almas. l’Almasti. Una sorta di Sasquatch locale. Altri hanno addirittura scomodato gli gnomi del sottosuolo russo…

Altri hanno ipotizzato che una paranoia da valanga avesse colpito il gruppo il quale, intimorito da qualche rumore simile a quello di una imminente slavina, si sarebbe precipitato a cercare riparo; ma questo non spiega le strane ferite né il perché attardarsi all’esterno non appena resosi conto che non vi era nessun pericolo.

C’è anche chi giura di aver avvistato quella notte strane luci sorvolare la montagna.  Pare che un altro gruppo di studenti, accampato 50 km più a sud del Gruppo Dyatlov, ricordò di aver assistito all’insolito spettacolo di palle di fuoco sospese nel cielo notturno. Cosa confermata in quei mesi anche da avvistamenti analoghi fatti dal servizio meteorologico e membri dell’esercito. Si scoprì più tardi che le «palle arancioni» erano con tutta probabilità dei lanci di missili balistici R-7 da un vicino poligono missilistico sovietico anche se lo stesso procuratore capo del tempo Lev Ivanov non riuscì mai ad essere del tutto convinto di questa versione.

E nemmeno noi…



Oltre 30 anni dopo, lo stesso Lev Ivanov rivelò di aver ricevuto forti pressioni da parte dei suoi superiori per interrompere le indagini chiedendogli di mantenere il più stretto riserbo in particolare su quelle luci arancioni comparse nel che Ivanov attribuisce senza dubbio a un fenomeno UFO.

Le convinzioni di Lev Ivanov sono peraltro confermate dalla testimonianza giurata di Vladimir Karelin, uno dei membri della spedizione di soccorso il quale nella sua deposizione afferma quanto segue 

"... Mi guardai intorno con molta attenzione. La prima cosa che ho notato è che la neve lungo il pendio era più basso, come se sciolto da una temperatura elevata "

O come testimoniato da Anatoli Shumkov, leader di un altro gruppo di escursionisti durante quelle terribili notti. 

"Questa cosa” riferendosi alle luci arancioni “stava volando silenziosamente e lentamente da sud a nord, oltre il crinale degli Urali. Era incandescente e con colori abbastanza vivaci. Il modo in cui illuminava le nuvole fa pensare a un'altezza di 2,5 fino a 3 km, è stato molto strano"

Anche perché i missili, di qualsiasi natura siano, fanno un rumore forte, assordante e ben riconoscibile, io credo che se lo fossero stati, l'altra comitiva che si trovava in zona lo avrebbe fatto notare. Il comportamento della fuga lacerando la parte posteriore della tenda mi fa pensare ad un attacco "intelligente" che si è presentato dall' entrata, e se non ci sono impronte anomale al di fuori dei ragazzi ciò che è stato visto per forza doveva necessariamente lievitare in aria. Ma come è possibile tutto ciò?!

Quando poi negli anni Novanta i fascicoli dell’inchiesta furono desecretati, alcuni particolari furono pubblicati dalla stampa e ne venne fuori anche una teoria secondo cui le morti erano legate alla sperimentazione di un’arma segreta sovietica che potrebbe essere collegata agli studi di Tesla sull'etere o proprio alla tecnologia del macchinario alieno della Tunguska con cui abbiamo aperto l'articolo.

Sta di fatto che, fino a tutto il 1962, tutta l’area circostante è rimasta off-limits per escursionisti, curiosi e visitatori. Una semplice precauzione da analizzare nel contesto storico politico di quegli anni? Non dimentichiamoci che i sovietici pochi anni dopo fecero esplodere la bomba più potente della storia: la bomba Tzar e sempre in quegli anni si giocava la corsa allo spazio contro gli Stati Uniti. Normale volessero proteggere i propri segreti da curiosi e investigatori.

E qui la fantasia comincia a correre libera e vengono chiamati in causa gli alieni, oppure il KGB, servizi segreti sovietici o chissà quali altre agenzie governative di cui la guida Zolotarev sarebbe stato un agente doppiogiochista incaricato di effettuare uno scambio di documenti e altro materiale top-secret con gli Stati Uniti; il che potrebbe almeno in parte spiegare la radioattività riscontrata sui suoi abiti.

Tanta speculazione letteraria è stata fatta in merito a questo caso senza che si riuscisse a fornire plausibili risposte e motivazioni coerenti con i pochi elementi a disposizione relativamente alle cause della morte dei poveri ragazzi. Molti siti internet di carattere ufologico hanno voluto dire la loro e alcuni forum, citati alla fine dell’articolo, hanno dedicato pagine e pagine di ‘indagini’ sul caso in oggetto contribuendo a sollevare una serie di dovute considerazioni e dubbi sulle lacunose conclusioni fornite dalla versione ufficiale. 

Quegli stessi interrogativi e dubbi che ci siamo posti anche noi di Atlanticus nelle nostre personali “indagini”.

Ed è anche per questo motivo, ovvero per la scarsità di elementi e per le incongruenze nella ricostruzione dei fatti che la Fondazione Dyatlov richiede a gran voce che l'inchiesta venga riaperta e che vengano messi a disposizione della fondazione tutti quei molti documenti che risultano mancanti. 

Per questo chiede da anni senza esito al Ministero della Difesa, all’Agenzia Spaziale ed ai Servizi di Sicurezza Nazionale russi di mettere la fondazione nella condizione di consultarli con lo scopo precipuo di ottenere un quadro completo della vicenda”.
Cosa nasconde il governo russo (ex-sovietico) in merito a questo caso? Che ruolo hanno avuto le autorità sovietiche in tutto questo?  Cosa sanno che non vogliono fare sapere su ciò che accade tra quelle montagne?

Forse questa reticenza è da collegarsi ai numerosi avvistamenti presentati a suo tempo circa presunte sfere volanti luminose, avvistate sull’area tra febbraio e marzo 1959 (con un picco registrato il 17 febbraio). Abbiamo già detto di come un altro gruppo di studenti, accampato 50 km più a sud del Gruppo Dyatlov, ricordò di aver assistito all’insolito spettacolo di palle di fuoco sospese nel cielo notturno proprio la notte in cui i ragazzi perirono in quelle drammatiche circostanze e che quindi non sarebbero stati missili balistici.

Forse si trattava di un abbaglio. Magari erano soltanto illusioni ottiche, sommate alla stanchezza di una giornata pesante fra i monti. Ma quelle sfere che somigliano tanto alle descrizioni del mito dell’Olonkho volavano proprio sul Kholat-Syakhl, e quella era proprio la maledetta notte in cui i nove andarono incontro alla morte. Coincidenze? 

Seguendo questa pista, si può ipotizzare che uno dei ragazzi forse uscì dalla tenda durante la notte, avvistò l’inquietante fenomeno ed allertò gli altri affinché si affrettassero nella foresta.

Forse, ma qui andiamo ben oltre la semplice logica ipotetica, la misteriosa sfera esplose in aria mentre gli escursionisti correvano. Lasciando quattro di loro inerti al suolo e ferendo al contempo gli altri. Una versione forse azzardata, questo è vero, ma che è stata fatta propria anche da Yudin. I suoi amici sarebbero dunque inavvertitamente entrati in un luogo che doveva restare inaccessibile. 

Probabilmente, nel perimetro utilizzato per un esperimento militare supersegreto.   

Una ipotesi che non può essere validata del tutto ricorrendo unicamente ai documenti declassificati nel 1990. Semplicemente perché gli indizi fondamentali mancano, e non si dispone, ad esempio, di informazioni precise circa le condizioni degli organi interni dei ragazzi. Questi, secondo Yudin, sono stati subito prelevati ed inseriti in contenitori speciali per esami approfonditi, per poi sparire nel nulla. Lo stesso Yudin è arrivato a sostenere che le autorità militari avrebbero aperto un‘indagine sulla sparizione dei ragazzi ben due settimane prima di quella ufficiale, in data 6 febbraio 1959.

Ciascuna delle teorie proposte e suggerite presenta delle lacune e dei punti inspiegabili che fanno crollare il costrutto logico sul quale si basano. Dalla più semplice slavina che ha travolto il campo alla più recente ipotesi di “tempesta perfetta” avanzata da Donnie Eichar ed elaborata in collaborazione con ricercatori della National Oceanic and Atmospheric Administration. A provocare la tragedia, sostiene Eichar,  sarebbero stati gli infrasuoni, prodotti dai venti che spesso spirano furiosi tra queste montagne dalla particolare conformazione. E studi scientifici dimostrano che gli infrasuoni, non percepibili dall’orecchio umano, hanno un effetto sconvolgente sulla mente: provocano confusione, senso di ansia ed improvvisi attacchi di panico.

Nonostante queste molteplici teorie l’enigma, nonostante le decadi intercorse, resiste ad ogni tentativo di spiegazione. Diversi forum di carattere ufologico si sono interessati di questo caso e, seppur ovviamente senza alcuna pretesa scientifica, sembra interessante riportare alcune considerazioni di persone che comunque possono vantare alcune competenze specifiche in merito.

Come quella di un alpino che vuole rimanere anonimo e che, dopo aver partecipato a diverse spedizioni in Norvegia, confuta la teoria della slavina o del banale incidente in montagna considerandolo alquanto improbabile e ritiene fermamente che quei ragazzi siano stati spaventati da qualcosa che è entrata all'interno della tenda, inoltre segnala di come la storia della tempesta perfetta di Eichar e degli ultrasuoni sia una semplice supposizione, certamente plausibile, ma che non tiene conto del fatto che su un gruppo numeroso di individui questi non possono impazzire tutti nello stesso momento e poi che quelle ferite non possono essere spiegate con un semplice "fratture" o "deterioramento da freddo".

Altra cosa tra le tante che non torna: perché allontanarsi così tanto dalla tenda?

L’albero dove alcuni trovarono momentaneamente rifugio

Abbiamo detto che  i corpi non presentavano ferite esteriori, né ematomi o segni di alcun genere; impossibile comprendere che cosa avesse sfondato le costole verso l’interno. Una delle ragazze morte aveva la testa rovesciata all’indietro: esaminandola, i medici si accorsero che la sua lingua era stata strappata alla radice anche se non riuscirono a comprendere se la ferita fosse stata causata post-mortem oppure mentre la povera donna era ancora in vita.

Si è detto che la mancanza della lingua così come la scomparsa dei bulbi oculari potrebbero essere stati causati dall'azione di predatori nei giorni successivi alla morte... nell'inverno degli Urali? Su corpi assiderati e nascosti nella neve? E poi quali animali praticherebbero una operazione così mirata e selettiva (occhi, lingua) lasciando invece intatto il resto del corpo per nutrirsi?

E non può essere neppure l'effetto della decomposizione che sostanzialmente avrebbe dovuto bloccarsi per le gelide temperature e il conseguente congelamento di tutti i liquidi interni con relativo blocco o comunque forte rallentamento dell'azione batterica.


I soccoritori notarono anche che alcuni degli alpinisti avevano addosso vestiti scambiati o rubati ai loro compagni: come se per coprirsi dal freddo avessero spogliato i morti. 

Se fossero stati i militari sovietici sia direttamente (aggressione al campo) sia indirettamente (detonazione di arma) avrebbero presumibilmente ripulito la zona e i corpi non sarebbero stati mai più ritrovati. Inoltre rimane sempre il grande problema di come spiegare l'assenza totale di altre orme all'infuori di quella dei nove esploratori. E come spiegare l'assenza di ferite/traumi se non le terribili lesioni interne di solo alcuni dei malcapitati? Cosa voleva vedere o controllare colui che si arrampicò sull'albero da cui si scorgeva il campo a -20° sottozero? 

No... anche io sono fermamente convinto che essi siano scappati da qualcosa... ma cosa può incutere tale timore senza che lasci impronta alcuna nella neve ne sui corpi se non all'interno degli stessi sottoforma di ferite mortali?

Come diceva Artur Conan Doyle dopo aver eliminato l'impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità.

Una ulteriore possibile spiegazione allora, potrebbe essere offerta proprio se torniamo a pensare agli studi e agli interessi dei membri della spedizione citati all'inizio dell'articolo e all’esistenza di luoghi maledetti descritti nella storia nei quali certe ‘energie’ sembrano manifestarsi con maggiore evidenza.

Proviamo a ipotizzare che quella montagna nasconda davvero un segreto energetico/esoterico importante e che i militari sovietici ne siano a conoscenza e siano interessati della cosa. E' possibile che il gruppo fosse stato incaricato di studiare quei fenomeni di luminescenza, ma che quella notte furono vittima degli stessi fenomeni.   Il gruppo dei dieci, tra i quali, come abbiamo detto, avrebbero potuto tranquillamente essere presenti in incognito anche elementi del KGB, cosa non così strana negli ambienti universitari dell'URSS del 1959, va apposta sul Kholat Siakhl per effettuare delle approfondite ricerche sulle energie latenti nel luogo basandosi sui teoremi della radionica e della geotecnica. Il tutto magari in incognito e senza le necessarie autorizzazioni da parte delle autorità russe (siamo sempre nell'URSS del 1959).

Yuri Yudin lo scopre e per non rimanere coinvolto in qualcosa che lo preoccupa o a cui è contrario simula una situazione di malessere tale per cui può giustificare la sua rinuncia alla spedizione.

Il resto della troupe raggiunge il passo ma i loro esperimenti effettuati in un luogo così energeticamente potente provoca qualcosa del tutto inaspettato, una intersezione tra il mondo fisico e il metafisico con conseguente comparsa di energie e forze spaventose in loco che generano un panico irrazionale, la fuga dei membri della spedizione e il successivo attacco da parte di queste entità paranormali comparse sulla scena del delitto.     


Le ultime immagini del gruppo ancora vivo...

Sotto questa chiave di lettura le seguenti parole della Kolmogorova: 

"Mi chiedo cosa ci aspetta in questa escursione. Quali nuove cose vedremo?”

annotate sul suo diario in data 23 Gennaio 1959, una settimana prima della tragedia, assumono pertanto tutto un altro significato molto più chiaro.

Nelle leggende arabe si parla di posti proibiti come il deserto del Rub' al-Khali, già noto al Progetto Atlanticus per i nostri studi sul mito di Ubar e dell’Atlantide del Deserto narrata dal popolo degli Aditi. Il deserto del Rub’al-Khali evitato dai beduini e in gran parte inesplorato, abitato da strani esseri sovrannaturali noti come i Djinn. Una figura tipica di queste leggende é “La cosa che ti segue furtiva”, un mostro invisibile che attacca gli sfortunati che si attardano nel deserto.

E fenomeni paranormali molto simili non sono nemmeno una novità nella misteriosa Russia. Abbiamo il cosiddetto “Triangolo di Molebka”, nei pressi di Kišertskij, nella Regione di Perm. Una delle prime zone geopatogene scoperte sul territorio russo. I primi accenni su questo luogo maledetto, che attrae letteralmente tutte i fenomeni paranormali immaginabili, risalgono agli anni trenta del XIX secolo.

Già allora, i contadini del posto raccontavano di strani oggetti volanti ed oggetti brillanti che vedevano intorno al villaggio di Molebka, ma il vero grande evento del Triangolo di Molebka è arrivato a metà degli anni ottanta durante il periodo di caccia invernale, quando il geologo di Perm, Emil Bačurin, notò tra la neve un cerchio di 62 metri di diametro, che poi descrisse in una dettagliata relazione. Timur Ivanzov racconta che, in seguito, vennero organizzate molte esplorazioni scientifiche nel Triangolo di Molebka, per cercare di svelarne il mistero:

“Le persone vedevano con i propri occhi piatti volare, come aerei su una pista e, per di più, con invidiabile regolarità. Sul bosco e sui campi periodicamente comparivano brillanti palle che gli abitanti del luogo denominarono 'arance di fuoco'".

Vorrei anche ricordare la sensazione di malessere che incontrano le persone arrivando nel Triangolo di Molebka: di fatto, tutti soffrono di una lunga e costante emicrania, hanno sbalzi di temperatura corporea e di pressione e il corpo si gonfia.

La “Catena dell’Orsa”, nei pressi di Žirnovskij, nella Regione di Volgograd. Questo luogo è proprio un magnete per i fulmini: violenti sfere che sorvolano i campi o potentissimi fulmini che semplicemente spezzano in due i villaggi e lasciano cicatrici sulle pietre sono eventi normali per la “Catena dell’Orsa”.

Inoltre, considerato che il suolo è contaminato e possiede una radiazione di fondo più elevata del solito e che, di tanto in tanto, animali muoiono misteriosamente, capiamo perché proprio questo luogo rientra nel nostro “tour degli orrori”. Timur Ivanzov, però, conosce ancor un altro segreto su questo posto:

“C’è un tunnel di provenienza sconosciuta, situato a una profondità di circa venti metri e dal diametro di 10-12 metri. Gli abitanti del luogo sono certi che qui si trovi una base per gli UFO o una città sotterranea di banditi, dove nascondono i tesori rubati. Oltre a ciò, da sotto terra sgorga una strana sorgente: se da un lato proviene acqua pura, dall’altra fonte esce acqua completamente avvelenata”.

Si ricorda anche il caso del radar del monte Chistop, poco lontano dal passo Dyatlov, installato nel 79 e abbandonato dopo qualche anno perché ricettacolo di mille fenomeni magnetici, incendi, cavi fusi, palle di fuoco, e altri fenomeni inspiegabili.

Se ci allontaniamo un po’ dalla Siberia e dalla Russia scopriamo che queste descrizioni hanno una certa somiglianza con il fenomeno delle luci di Hessdalen. località della Norvegia di soli 150 abitanti, in cui si ripetono fenomeni misteriosi che sfuggono a una esauriente spiegazione scientifica, nonostante approfonditi studi che vengono da anni compiuti. 

Dal 1998 una telecamera registra continuamente i fenomeni dell’area, così come un radar e un magnetometro. Sulla reale esistenza di tali luci non ci sono quindi dubbi, ma ce ne sono molti sulla loro natura. Si manifestano come luci sferiche di diversi colori e diverse forme, sia nel cielo che presso il suolo, pulsanti irregolarmente e dotate di movimento a scatti. In concomitanza di queste luci si notano perturbazioni del campo elettromagnetico. 


Luci di Hessdalen – Quali analogie con il Passo Dyatlov?

La loro dimensione va da 0,5 a 30 metri e il fenomeno ha un picco di frequenza in inverno e nelle ore dalle 22 all’1. La luminosità emessa è fino a 100 kW. Per spiegare il fenomeno è stata ipotizzata l’espulsione di particelle che genererebbero le onde radio a frequenza molto bassa rilevate. Vengono anche rilasciate sfere microscopiche leggermente radioattive rilevate poi sul terreno. Il luogo è famoso anche per le testimonianze che risalgono fin dal 1800, ma sembra che ci siano una quarantina di luoghi nel mondo ove avvengono fenomeni del tutto sovrapponibili. Che il Kholat Siakhl sia uno di questi?

Gli scienziati non sanno ancora perché sul pianeta esistono zone geopatogene e perché intorno ad esse si concentrano così tanti eventi paranormali.
Queste zone geopatogene sono state oggetto di studi da parte di Michael  Persinger le quali coniugano in modo originale, per la prima volta su solide basi scientifiche, la geofisica, quindi lo studio dell’ambiente naturale e la neuropsicologia degli stati modificati di coscienza. Esse permettono quindi di gettare nuova luce su tanti aspetti della “geografia sacra”. 

Ad esempio, anche ad un’analisi superficiale, si nota che tanti luoghi magici, in cui i sacerdoti, i veggenti o le streghe si recavano per avere visioni e predire il futuro, si trovano in prossimità di siti con caratteristiche geofisiche tali da poter creare, o aver creato in passato, anomalie geomagnetiche del tipo di quelle riprodotte da Persinger in laboratorio con il suo elmetto. Lo stesso Persinger ha preso in considerazione, da questo punto di vista, i luoghi in cui sono avvenute alcune celebri apparizioni mariane.

Paul Devereux, un ricercatore indipendente, ha registrato delle anomalie locali del campo magnetico terrestre in coincidenza con l’apparizione di luci misteriose (le cosiddette “earth lights”) nel deserto del Texas e in quello della regione di Kimberley nell’Australia Occidentale. Queste luci erano già conosciute agli abitanti indigeni di quelle zone e sono state in tempi più recenti considerate come apparizioni UFO. 

I risultati di Devereux sono in accordo con la teoria di Persinger, anzi, lo stesso Devereux, autore di numerosi libri sulla “geografia cognitiva dei luoghi sacri”, è addirittura andato nel laboratorio di Persinger per provare di persona il famigerato elmetto. Ricordiamo, infine, che anche il celebre Oracolo di Delfi si trova su una faglia tellurica e la zona è stata frequentemente soggetta a terremoti; anche se in questo caso sembra che lo stato di trance della Pizia fosse provocato dall’etilene che fuoriusciva dalle fratture nel terreno, non si può escludere un ruolo del geomagnetismo terrestre o una combinazione dei due effetti.

C’è un altro aspetto delle ricerche di Persinger da prendere seriamente in considerazione. Le tecnologie elettromagnetiche di modificazione della coscienza possono essere impiegate come strumenti per il controllo mentale da parte di eserciti, servizi segreti o organizzazioni criminali. Dai tempi della guerra fredda, sia gli USA che l’ex Unione Sovietica hanno cercato di sviluppare sofisticati metodi di controllo mentale per creare agenti segreti e assassini dotati di personalità multiple e quindi in grado di vivere una vita tranquilla o di uccidere su comando, a seconda del prevalere dell’una o dell’altra personalità. Un altro obiettivo di queste ricerche, spesso basate sull’ipnosi e sull’uso di sostanze allucinogene e delirogene, era quello di ottenere da agenti nemici catturati, tutte le informazioni in loro possesso. 

Fra le varie tecniche impiegate a partire dagli anni ’60, grazie ai progressi dell’elettronica, c’è stato anche l’impianto chirurgico nel cervello di stimolatori elettrici comandati a distanza via radio. Il principale sostenitore di questo metodo di controllo mentale è stato il professor José Delgado, autore nel 1969 del libro “Genesi e libertà della mente” (il titolo originale era Physical control of the mind). 

Più recentemente, il governo americano ha mostrato un grande interesse nello sviluppo di armi cosiddette “non-letali” ad onde elettromagnetiche. Ad esempio, armi in grado di focalizzare onde radio di determinate frequenze e intensità su un’area geografica molto limitata e di provocare così nausea, confusione e alterazioni mentali in un plotone nemico o in un gruppo di manifestanti. Alterazioni mentali che, nelle condizioni giuste, potrebbero anche assumere la forma di allucinazioni e fenomeni paranormali. 

Secondo il dottor Helmut Lammer, molti dei cosiddetti “rapimenti alieni”, diventati sempre più frequenti negli ultimi anni, sarebbero per l’appunto esperimenti di questo tipo svolti su comuni cittadini. Probabilmente, queste armi sono ancora in fase di prototipo, però sono destinate a diventare entro breve una realtà, specialmente nel nuovo scenario internazionale sempre più caratterizzato da conflitti di tipo non convenzionale.

A questo punto, è facile immaginare quali non certo tranquilizzanti applicazioni potrebbe avere l’elmetto del professor Persinger in mani poco rispettose della dignità e della libertà umana. Organizzazioni con fonti di finanziamento molto più elevate della piccola università canadese in cui Persinger lavora potrebbero cercare di sviluppare lo stesso tipo di effetti utilizzando, invece dell’elmetto, sorgenti di campi elettromagnetici in grado di agire sulle persone a distanza. Forse lo stanno già facendo con le applicazioni dell'HAARP?!

Potrebbero i nove essere caduti vittima dell'energia geo-elettromagnetica latente del luogo, nota già ai Mansi, descritta nella tradizione popolare del luogo maledetto, e amplificata dagli esperimenti effettuati dai giovani esploratori. Esperimenti collegati a progetti segreti militari sotto tutela del KGB o di altre agenzie ultrasegrete sovietiche, forse attraverso la figura di Zolotarev il quale aveva il compito di verificare e tenere sotto controllo in incognito i vari membri della spedizione e che poi è il motivo della rapida archiviazione del caso da parte delle autorità sovietiche.

Esperimenti di radionica che hanno aperto una breccia, creato una intersezione tra fisico e metafisico, facendo interagire i nove escurisonisti con qualcosa di veramente indicibile e spaventoso, scaturendo reali forze paranormali rivelatesi violente le quali hanno attaccato il gruppo generando quegli stessi effetti degli esperimenti di Persinger e conseguente panico irrazionale, fuga, combattimenti violenti e infine la morte?



Forse la risposta è celata nell'ultima foto scattata dai “Dyatlovs”. Nel 2009 i ricercatori Aleksei koskin e Yuri Kuntsevich hanno avuto accesso agli archivi del defunto procuratore Ivanov. Sei strisce di pellicola del viaggio. La telecamera "Zorkiy" con la quale è stata scattata l'immagine è stata scattata, apparteneva a Yuri Krivonischenko, ed è stata trovata nella tenda, collegato a un treppiede in casa. Cioè, negli ultimi momenti della loro permanenza nella tenda, qualcuno ha volutamente montato la macchina fotografica sul cavalletto, e fotografato qualche bruciore o incandescente oggetto.

L’ultima foto… 

Che sia stata una causa naturale, una causa fisica, o una causa metafisica non possiamo che unirci alla domanda di Yuri Yudin, l'unico superstite della sfortunata spedizione deceduto solo recentemente il 27 aprile 2013.

“… Se avessi la possibilità di chiedere a Dio una sola domanda, sarebbe: ‘che cosa è successo davvero ai miei amici quella notte?’… ”

Ci piace immaginare che nell'aldilà abbia ritrovato i suoi amici persi ormai più di 50 anni fa proprio sul Kholat Syakhl per potere completare ciò che non riuscirono a fare in vita.

Forse noi, che al momento non abbiamo la possibilità di chiedere direttamente a Dio cosa sia successo, per capire realmente quali misteri facciano capo al Kholat-Siakhl e alla morte di quei giovani ragazzi dovremmo organizzare una nuova spedizione al passo Dyatlov, composta da nove persone, e vedere se accade qualcosa di particolare... ma dopo avere letto e visto tutto questo mi chiedo chi avrebbe mai il coraggio di farlo?


Fonti:

La Ierogamia di Maria Maddalena

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di Emanuela Cella Ferrari

La storia di Maria Maddalena può essere incentrata su un unico tema centrale e costante, anche se con diverse variazioni. Il racconto è il seguente: poco dopo la crocifissione di Gesù,  Maria Maddalena  insieme ai fratelli Marta, Lazzaro, Maria Salomè, una bambina nera di nome Sara e Giuseppe di Arimatea, viaggiarono per mare fino alla costa dell’attuale Provenza. Il motivo che aveva spinto il gruppo ad intraprendere il viaggio varia secondo la versione dei vari autori.

Secondo alcuni erano fuggiti alle persecuzioni contro la Chiesa primitiva; secondo altri erano stati deliberatamente mandati alla deriva dai loro nemici su una nave senza timone e senza remi. Solo per un miracolo riuscirono ad approdare sulla terraferma.

Il gruppo sbarcò dove  ora si trova il villaggio di SANTES-MARIES DE LA MER, in Camargue. Qui si divisero ed ognuno di loro prese vie diverse per diffondere la “buona novella”.

Si racconta che Maddalena predicasse in tutta la regione, convertendo i pagani, prima di diventare eremita in una grotta a SAINTE BAUME. Alcune versioni raccontano che qui visse per 40 anni,  dedicandosi alla penitenza ed alla meditazione. Quando morì, il suo corpo fu sepolto in quella città che da lei prese il nome.

Nel corso dei secoli  il ruolo di Maddalena è stato interpretato in modi diversi, spesso riflettendo l’atteggiamento della Chiesa verso le donne. Di lei la Chiesa costruì un’immagine che non corrispondeva affatto al personaggio di cui si parla nei Vangeli; fece di lei una prostituta pentita, sminuendo, così, la sua importanza.

"Maria Maddalena", affresco di Pier della Francesca. Cattedrale di Arezzo

Fino a poco tempo fa il suo ruolo è stato considerato marginale nella storia di Gesù e dei suoi discepoli. Solo negli ultimi vent’anni la sua figura è stata vista dagli studiosi sotto una luce molto diversa ed, al giorno d’oggi ha l’importanza che merita. 

In realtà  lei è la sola donna, eccettuata la Vergine Maria, menzionata con il suo nome in tutti i Vangeli. La prima volta compare durante la predicazione di Gesù in Galilea e fa parte di un gruppo di donne che lo seguivano.

E’ colei da cui sono stati scacciati sette demoni. Il suo ruolo assume un nuovo significato, molto più profondo, con la sua presenza ai piedi della croce e quando diventa la prima testimone della Resurrezione. 
Inoltre Maddalena fu la prima a ricevere tra i discepoli un incarico apostolico direttamente da Gesù: portare la notizia della sua Resurrezione agli apostoli. La Chiesa primitiva riconobbe l’importanza di questo episodio e le diede il titolo di APOSTOLA APOSTOLORUM: apostola degli apostoli. 

In realtà, le donne avevano un ruolo molto importante nella missione di Cristo, anche se, leggendo i Vangeli, si ha l’impressione che i discepoli fossero solo uomini. Solo nel Vangelo di Luca vi è un riferimento alle donne. Ciò che appare insolito è che, negli altri Vangeli, la  loro presenza viene nominata solo ai piedi della Croce; questo perché, molto probabilmente, esse sono state le uniche a rimanergli fedeli fino all’ultimo. 
In ogni caso gli apostoli nutrivano nei confronti di Maddalena  un sentimento di rivalità, dettato dalla gelosia ed alcuni di loro non approvavano il fatto che una donna ricoprisse un ruolo tanto importante.

Maria Maddalena appare, comunque, come una figura scomoda per la Chiesa. Solo nel 1969, infatti, la Chiesa cattolica revocò ufficialmente  l’etichetta di prostituta affibbiata a Maddalena da Papa Gregorio, ammettendo così il proprio  errore. Ciò nonostante l’immagine della Maddalena è rimasta quella della meretrice pentita. 

Nei Vangeli lei asciuga i piedi di Gesù con i capelli;un atto intimo, se compiuto in pubblico da una donna; inoltre è ritratta con i capelli sciolti, a capo scoperto. Per una donna presentarsi in pubblico con la chioma al vento era considerato un grave peccato. A Maddalena, però, la cosa sembra non importare nulla, ed ancora più insolito è l’atteggiamento di Gesù che, non solo non la rimprovera, ma la incoraggia, prendendosela con chi  ne critica la condotta. Entrambi si comportano come forestieri  in terra straniera: non c’è dunque da meravigliarsi se  non sono capiti, in particolare dai dodici. L’unzione non era una consuetudine ebraica, ma allora, a quale tradizione apparteneva?

"Noli me tangere" di Tiziano (1490 ca.-1576), raffigurante l'incontro tra Maria Maddalena e Gesù, appena risorto

Ai tempi di Cristo esisteva un rito pagano sacro in cui una donna ungeva il capo, i piedi e i genitali di un eletto per prepararlo ad un destino molto particolare. Era la cerimonia di consacrazione del re, durante la quale la sacerdotessa selezionava il prescelto e lo cospargeva d’olio aromatico, prima di conferirgli l’onore della regalità con un rito sessuale noto come IEROGAMIA. 

L’unzione era parte della preparazione rituale alla penetrazione che sarebbe avvenuta durante la cerimonia, nella quale il sacerdote-re era pervaso dalla potenza del dio, mentre la sacerdotessa-regina era posseduta dalla grande dea. Senza il potere della donna, il sovrano prescelto non avrebbe potuto regnare e non avrebbe avuto nessuna autorità. Questo era il significato originario delle nozze sacre. 

Il matrimonio sacro era un concetto familiare  ai pagani dei tempi di Cristo. Alcune sue varianti erano comunemente praticate dai fedeli di numerosi culti come quello del dio egizio Osiride che la consorte Iside riuscì a resuscitare per il tempo sufficiente a concepire il figlio Horus. Nelle antiche civiltà , quindi, il concetto dell’unione sacra era, non solo molto diffuso, ma rappresentava un vero e proprio rapporto di simbiosi esistente  tra maschile e femminile. Ne sono un esempio le relazioni intime tra Osiride ed Iside, Adone e Venere, Tamuz e Ishtar. In queste culture la gioia usciva dalla camera nuziale degli dei per diffondersi tra la gente che abitava nel loro regno. 

Riti simili sono attestati in varie liturgie in tutto il vicino Oriente. 

Il “Cantico dei Cantici” è considerato, da molti autori, l’adattamento di un antico poema liturgico relativo alla cerimonia dello HIEROS GAMOS di Iside ed Osiride. In tutti questi riti il re viene giustiziato e la sua sposa lo cerca, piangendone la morte, finché si riunisce a lui.

Le donne hanno avuto un ruolo molto importante anche nella Chiesa primitiva. Esse mettevano a disposizione la loro casa come luogo di incontro, ed  alcune di loro prestavano servizio come diacone e perfino come sacerdotesse. Nei testi cristiani più antichi Maria Maddalena è identificata come  la sposa archetipica  dello sposo eterno, come il modello cui l’anima  e l’intera comunità  devono ispirarsi nella loro ricerca e nel loro desiderio di unione con il divino. 

Indica la via della relazione erotica, la via del cuore e, insieme con il suo sposo, fornisce la possibilità di immaginare il divino come una coppia di amanti. Parla dell’armonia tra la ragione (logos) e la saggezza (sophia) che rappresenta il divino come unione tra gli opposti. L’unzione di Gesù, da parte di Maddalena, è, quindi, un rito che risale ai tempi della fertilità. 

Gesù stesso riconobbe  e lo approvò nel contesto del suo ruolo  di sovrano destinato al sacrificio: ”Lei ha anticipato l’unzione del mio corpo per la sepoltura” (Mr 14,8).

Nei Vangeli la Vergine Maria e Maria Maddalena rappresentano la Sophia più alta e la Sophia caduta. Vengono chiamate con lo stesso nome per mettere in rilievo il fatto che, a livello mistico, non sono che due aspetti della stessa figura. Nel rito cristiano di Sophia, la dea che rappresenta l’anima  è la figura centrale, mentre il suo fratello e amante, simbolo della coscienza, è un personaggio secondario. Nel mito di Gesù è l’opposto; il dio uomo è il protagonista principale. Secondo gli gnostici cristiani nella storia di Cristo  compaiono numerose allusioni alle nozze mistiche. La più importante è il rituale dell’Eucarestia, che si fonda su antichi riti ierogamici dei misteri pagani. I primi cristiani associavano il pane a Maria ed  il vino a Gesù, che nel Vangelo di Giovanni è chiamato “ la vera vite”. Nell’atto cerimoniale consistente nel mangiare il pane e bere il vino, il dio uomo e la dea, vale a dire la coscienza e l’anima, entrano in comunione nel matrimonio mistico. 

In precedenza, alle nozze di Canaan,  Cristo aveva miracolosamente trasformato l’acqua in vino. Secondo gli gnostici cristiani ciò rappresenta il matrimonio mistico. Quello dell’acqua che diventa vino è un simbolo arcaico dell’ebbrezza estatica  provocata da una trasformazione spirituale. 

Tutto questo dimostra quanto il “femminino sacro” sia stato fondamentale nella società; senza il potere femminile,  il potere maschile non esisterebbe  e la società umana stessa perderebbe completamente  la propria importanza ed il proprio valore.

Le Donne degli Anunnaki

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Questo articolo é un estratto del più completo 'Origine della Dea', disponibile su Scribd. Ho voluto estrarre questa parte perchè particolarmente legata alla teoria di Sitchin e perchè mentre per i reperti archeologici ed etnologici discussi nella prima parte dell' articolo integrale non si hanno certezze, nel caso della civiltà sumera abbiamo centinaia di testionianze che rendono possibile fare un discorso cronologico e intenzionale su come queste civiltà onsiderassero la divinità femminile.

La prima civiltà finora riconosciuta come organizzata, i sumeri, compaiono nel IV millennio con un pantheon e un corpus di dottrine paragonabili a una religione, ma di stampo completamente diverso da quello che i sostenitori del culto della ‘Dea’ dipingono.

Di fatto, mentre questo presunto culto viene proposto come qualcosa di ‘spirituale’, sappiamo ormai che le prime forme di culto erano estremamente materiali e pratiche, e solo dopo si sono evolute verso un percorso più spirituale. Con il IV millennio e l’ avvento dei sumeri abbiamo anche la possibilità di consultare testimonianze scritte, e per la prima volta, oltre alla scrittura veria e propria, anche testimonianze iconografiche che lasciano pochi dubbi, al contrario delle statuette e delle incisioni / pitture di cui abbiamo parlato finora. E, paradossalmente, é da qui che possiamo partire per stabilire come sia nata la figura della ‘Dea’ come nome comune che racchiude diverse figure e i loro attributi. 

La mitologia e l’ iconografia sumera ci parlano di una dea primordiale, chiamata Namma, definita come ‘creatrice dei primi dei’. A lei si deve, secondo il mito sumero del diluvio, la nascita delle prime città. Ma Namma era si una dea primeva, ma solo nei confronti della Terra e non era la prima divinità esistente. Namma infatti era partner di An, il dio del cielo.

Dalla loro unione nasce Ea, il signore delle acque. Altri miti, successivi di migliaia di anni, e risalenti all’ epoca babilonese, ci parlano della ‘Creazione’ ad opera di Tiamat, la‘dea delle acque salate’. Ma Tiamat é consorte di Apsu, che viene chiamato ‘il primevo’. Ancora una volta dunque il ‘primo’ dio non é una divinità femminile ma maschile. In un mito ittita che parla della ‘regalità’, e di come questa discese dal cielo, ci viene raccontato che addirittura prima di Anu (compagno di Namma) esistevano altri dei, tra i quali viene nominato Alalush, del quale Anu era coppiere. 

Insomma prima della ‘prima dea’ di cui abbiamo traccia c’ erano intere generazioni di altre divinità maschili e femminili. Il prototipo della ‘dea madre’, però, non é nè Namma nè Tiamat, ma più probabilmente la dea sumera Ninmah (grande signora), figlia di AN (Anu - cielo) e KI (Antu - terra), la quale é responsabile, su richiesta degli dei lavoratori, della creazione del primo uomo.

Viene aiutata dalle ‘Sud’ o ‘Dee della nascita’, il chè indica che seppur lei viene ricordata come la ‘grande madre’, in realtà vi furono svariate madri. Per intenderci, Ninmah (che i sumeri chiamavano affettuosamente ‘Mami’) é la Hator egizia, rappresentata da una mucca, esattamente come Ninmah in tarda età.

Ninmah era per i babilonesi la prima dea assocciata alla Vergine, attributo che le fu poi rubato da Inanna. Ninmah era una mediatrice nelle faide familiari, una abilissima stratega e pacificatrice, nonchè una curatrice. Oltre ad essere il prototipo della ‘dea madre’ é anche sicuramente il prototipo della ‘dea guaritrice’ e della ‘dea amministratrice’. Perchè allora non guardare proprio a questo pantheon per cercare l’ origine della famosa ‘Dea’? Di fatto, anche iconograficamente, possiamo identificare due fasi ben distinte nell’ arte mesopotamica che rappresentava le dee. Una fase dedicata alle ‘vecchie dee’, cioè quelle di prima generazione, nate dai cieli e da questi discese, e una seconda fase, quella delle ‘dee giovani’ nate sulla Terra.
Questa suddivisione combacia perfettamente con un altro tipo di suddivisione: quella in base alla ‘silouhette’ femminile. Le ‘vecchie dee’ della prima generazione venivano tutte ricordate come ‘matrone’ corpulente, paffutte, di enorme statura. 

Oltre a Ninmah, ricordiamo anche Gula, il cui nome significa ‘grande e grossa’, anche lei rappresentata come corpulenta.


Le ‘giovani dee’ invece, della seconda e terza generazione, nate sulla terra, venivano rappresentate come donne affascinanti, di corporatura più minuta e sinuosa, come si può generalmente vedere osservando le tante rappresentazioni di Inanna, Ninsun, Ereshkigal e Ninkasi.


Abbiamo inoltre, con l’ avvento della seconda e terza generazione di dee, la vera e propria attribuzione di ruoli a queste figure femminili indipendentemente dalla loro relazione con divinità maschili e, allo stesso tempo, si inizia a delineare una ‘promozione’ di divinità femminili come artefici dei destini degli uomini. Ricordiamo che mentre i primi re di Sumer sostenevano di essere ‘del seme reale’ di questo o quel dio, improvvisamente dal periodo accadico iniziamo ad avere re nutriti ‘dal sacro seno’ di questa o quella dea. Le vecchie dee ‘vanno in pensione’ e le nuove avanzano: abbiamo così Inanna che prende il posto della dea Ninmah, tanto che in alcuni templi ella viene raffigurata come dea corpulenta, segno distintivo delle prime dee (Ninmah e Gula), aTtribuendole il ruolo di ‘generatrice’ e ‘madre’ (benchè la mitologia attribuisca a Inanna solo un figlio, Shara) oltre che quello di ‘concubina’ e di ‘amante’ di innumerevoli dei e re.

In questo periodo in cui si ha la ‘specializzazione’ delle ‘giovani dee’ e l’ attribuzione di ruoli e competenze, abbiamo dunque la Ninkasi dea della birra, la Nidaba astrologa, la Nisaba dea della scrittura, la Ereshkigal dea degli inferi e della magia, ma, ancora più importante, abbiamo i primi esempi di ‘semidei’ di origine divina derivante da linea femminile, come Lugalbanda e Gilgamesh, e i primi re ‘eletti’ da dee, come Sargon amante di Inanna.

Abbiamo dunque qui, a mio avviso, svariate indicazioni iconografiche e mitologiche che ci permettono di identificare i prototipi che hanno portato alla nascita del concetto della ‘Dea’, e sta di fatto che le più importanti dee spesso mischiate e rimischiate senza cautela dal movimento di seguaci della ‘Dea’, particolarmente quelli di stampo pagano, e quindi Asherah, Astarte, Diana, Afrodite, Persefone, Athena, Iside, Ishtar, Oshun, e altre, sono nate dalle interpretazioni successive che le civiltà del II e I millennio a.C. hanno dato delle dee mesopotamiche appena viste. Ma questa rivoluzione non riguarda solo le divinità. Riguarda anche gli uomini e le donne mortali. E’ nel 2280 a.C. circa che abbiamo il primo esempio di sacerdotessa a cui viene dato il compito di redigere documenti per gli dei, con Enheduanna, sacerdotessa lunare del dio Sin, che redice il famoso ‘Inno delle case degli dei’, un documento talmente importante che scribi successivi, sia uomini che donne, vi hanno aggiunto del loro mantenendo lo stile originale dettato dalla sacerdotessa. Ed é all’ incirca nel 1800 a.C. che abbiamo il consolidarsi della tradizione sacerdotale femminile di Babilonia, con una suddivisione gerarchica in Naditu, Shagitu, Kulmashitu, Qadishtu e Ubgabtu.

Che conclusione trarre dunque alla luce di queste analisi? Il culto della ‘dea’ é sicuramente esistito, e per lungo tempo é stato importantissimo e testimoniatissimo da centinaia di composizioni letterarie e iconografiche giunteci nel corso di millenni. I tentativi di affossare l’ esistenza di questo culto non possono trovare supporto, poichè se da un lato i più antichi reperti non ci danno indicazioni univoche, i reperti degli ultimi 5000 anni mostrano senza ormbra di dubbio che ledivinità femminili erano ‘elegibili’ e di fatto ‘elette’ a entità venerabili.

Indubbiamente questo culto ha generato realtà localizzate, di carattere prevalentemente regionale, nelle quali si aveva una prevalenza della figura divina femminile (basti pensare alla civiltà di Harappa, nell’ Indo, incentrata per oltre un millennio sulla figura di Ishtar / Inanna e dove fu proprio il consorte di lei, Dumuzi, ad essere ‘subordinato’). Meno certo é che questi culti fossero esclusivamente femminili, e che in tutti i casi la dea adorata in questa o quella regione fosse ‘innalzata’ al ruolo di ‘dea suprema’ al di sopra della sua genealogia maschile. Un caso di questo genere é la Inanna adorata a Babilonia a partire da circa il 1200 a.C., infatti qui la Inanna adorata non é la Inanna sumera, ma una rappresentazione di Sarpanit, moglie del dio nazionale Marduk, esattamente come a Kutha veniva adorato Nergal come rappresentazione di Enlil. Non testimoniato, e quindi non accettabile, é che prima del IV millennio ci siano state realtà societarie incentrate su un culto religioso organizzato di stampo matristico. 

Niente esclude che ci fossero comunità matristiche in termini societari, ma niente supporta l’ idea di un culto divino di questo genere. Come abbiamo visto, il grosso dei casi di riferimenti ipotizzati come a ‘divinità femminili’ prima del IV millennio é estremamente controverso, ambiguo, se non in alcuni casi addirittura fraudolento. A partire dal III millennio poi, dopo un millennio circa nel quale le figure femminili erano si riconosciute, ma subordinate in tutto e per tutto ai corrispettivi maschili, e dunque prive di funzioni e attributi particolari (salvo i due casi esemplari di Gula e Ninmah), si inizia a delineare la attribuzione alle ‘giovani dee’ dei ruoli essenziali per lo sviluppo delle società. A queste dee viene regalata (o concessa) la meritata attenzione e responsabilità, vengono ‘elevate’ a soggetti di culto, rese capaci di influire sulla storia delle popolazioni. Gli antichi dei in generale si allontanano sempre più, Enlil ed Enki si fanno da parte lasciando lo spazio ai figli e nipoti, Ninurta, Nanna e Ishkur, Utu e Inanna da una parte, e Marduk, Ningishzida e Nabu dall’ altra. Dopo circa mezzo millennio, a cavallo del XV secolo a.C. si hanno due avvenimenti importanti: la nascita della civiltà egea, da cui nasce quella greca, che tanto ha dato alla attuale idea della ‘Dea’, e l’ affermazione del Yahwismo.

E in un certo senso la nascita del Yahwismo segna, purtroppo, l’ inizio del declino di questo culto femminile. L’ ebraismo seguito al Yahwismo infatti si tramanda esclusivamente per linea patristica, é un culto maschile, nel quale la donna viene relegata di nuovo al ruolo di ‘serva’. Ciò peggiora con l’ avvento del cristianesimo, e successivamente dell’ Islam, religioni che nei confronti del culto femminile (salvo il caso di Maria) hanno condotto una vera e propria crociata fino a quei tempi oscuri noti come ‘Medio Evo’ in cui addirittura la donna é considerata portatrice di peccato, e il solo ricordo dei tempi in cui le divinità erano anche femminili veniva considerato ‘eresia’.


Lo StarGate di Baalbek

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In Libano, ad un’altitudine di circa 1.170 metri, nella valle di Bekaa, si trova la famosa Baalbek o conosciuta in epoca romana come Heliopolis. Baalbek è un antico sito utilizzato fin dall’età del bronzo, con una storia di almeno 9000 anni, secondo le prove raccolte durante la spedizione archeologica tedesca del 1898.

Baal-Ze-Bù

Baalbek era una antica città fenicia, chiamata così dal nome del dio Baal. Il nome ‘Baal’ nella lingua fenicia significava ‘lord’ o ‘dio’. Le leggende abbondano intorno a Baalbek e alcune di loro ricordano che Baalbek era il luogo dove Baal è arrivato sulla Terra.

I teorici degli ‘Antichi Alieni’ suggeriscono che l’edificio iniziale è stato probabilmente costruito come piattaforma d’atterraggio utilizzata dal dio Baal per, appunto, atterrare con la sua nave madre sul nostro pianeta.

Questo perché Heliopolis è stata costruita su una piattaforma di pietra probabilmente costruita in epoca pre-romana come fondamenta per il tempio della città di Baal-Baalbek.

Se guardate l’immagine di sopra, diventa evidente che diverse civiltà hanno costruito diverse parti di quella che oggi è conosciuta come Heliopolis. Tuttavia al di là delle teorie, il vero scopo di questa struttura, così come chi l’ha costruita, è completamente sconosciuto. C'è chi pensa fosse originariamente la piattaforma per uno stargate...


Il primo livello è composto da massicci blocchi di pietra, di cui il più grande pesa circa 1.500 tonnellate ed ha una dimensione maggiore di 20x4x4 metri. Questi sono i più grandi blocchi che siano mai esistiti in tutto il mondo.

Il modo in cui queste pietre sono state tagliate e spostate, ha affascinato gli studiosi per molti anni. A causa dell’esistenza di testi antichi che si riferiscono a Baalbek come un approdo, le speculazioni circa civiltà avanzate preesistenti che noi non conosciamo, così come l’intervento straniero, sono fiorite.


Bisogna mettere in chiaro che quelle pietre non sono state fatte dai romani come tanti debunker cercano di proporre. Tuttavia, anche se ipotizzasimo che fossero stati i Romani a costruire l’intero sito, compresa la piattaforma, non si spiegherebbe come avrebbero potuto tagliare e spostare blocchi di pietra da 1.500 tonnellate l’uno.

E’ molto probabile che la piattaforma sia stata costruita come base per un altro tempio, molto più antico, che probabilmente gli egiziani o i romani distrussero per costruire Heliopolis (nome dato da Alessandro Magno quando conquistò la zona).

L’area è stata precedentemente utilizzata anche dagli Egizi per adorare Ra.

Figurina bronzea del dio Baal, Ugarit, XIV secolo a.C.

Questo ci fa chiedere il perché molteplici civiltà, diverse tra loro, avrebbero dovuto costruire un tempio nello stesso esatto punto, a meno che il posto fosse già importante per qualche motivo.

E’ interessante anche ricordare che, a Heliopolis, Baal era venerato come pure altri ‘dei’ Greci e Romani. Sopra le rovine del sito è stato costruito un tempio massiccio al dio Giove, il più grande tempio del suo genere, così come i templi più piccoli per Venere e Mercurio che sono state costruiti dai Romani.

La cava utilizzata per cavare questi giganteschi blocchi di pietra, è situata a circa ¼ di miglio di distanza dalla zona, quindi, oltre al trasferimento, quelle pietre massicce sono state accatastate e messe insieme in un modo così preciso che, nemmeno un foglio di carta può passare tra le giunture.

Questo è un altro punto a cui i debunker non riescono a rispondere: anche se le pietre sono state tagliate nei modi che loro suggeriscono, come potrebbero essere stati collocati i blocchi di pietra rettangolari in modo così preciso l’uno accanto all’altro?

Un altro punto interessante è: se i Romani/Greci hanno edificato una piattaforma così massiccia, perché non vi è alcun riferimento di come è stata costruita dal momento che è l’unico posto al mondo in cui un tale e monumentale lavoro è stato fatto?

La città di Baalbek nella Bibbia

In un altro contesto, gli archeologi biblici hanno collegato Baalbek alla città menzionata nella Bibbia: Baal-Gad.

Così Giosuè prese tutto quel paese, la montagna e tutto il Negheb e tutto il paese di Gosen, il bassopiano, l’Araba e le montagne di Israele e la sua pianura dal Monte Halak, che sale verso Seir, fino a Baal-Gad nella valle del Libano sotto il monte Hermon. E ha catturato tutti i loro re e li colpì e li mise a morte. – Joshua 11:16-11:17

Anche se non tutti gli archeologi concordano con questa teoria, è ovvio che ci sono enormi somiglianze tra Baal-Gad, un santuario di Baal e Baalbek, un tempio sempre per lo stesso dio Baal, situato sempre nella stessa zona in Libano.

Nella Bibbia c’è un altro nome che sembra legato a Baal, che è Baalath, una città della tribù di Dan, che fu fortificata da Re Salomone nel 970 aC, dove ancora una volta Baal era venerato con il permesso di Salomone.

Vale la pena ricordare che Baal era una divinità a cui era stato dato il permesso di essere adorato nel tempio di Salomone.

... Baalath e tutte le città di rifornimento che Salomone aveva e tutte le città dei carri e le città dei cavalieri e tutto ciò che gli piacque di costruire a Gerusalemme e in Libano e in tutto il paese del suo dominio. – Cronache 08:06

E’ evidente che Baalbek è un’antica città misteriosa, utilizzata per migliaia di anni da molte civiltà diverse.

I Fenici, gli Egiziani, i Greci e i Romani, tutti la usavano e tutti adoravano Baal.

Le origini ed il motivo per il quale il sito è stato costruito sono tuttora sconosciute. Quello che è certo è che il sito iniziale non è stato costruito dai Romani e prima dei Romani non vi è alcuna civiltà nota che avrebbe avuto la tecnologia per costruire un monumento così imponente.

Il viaggio nel tempo dalla mitologia antica alla scienza moderna 


Le macchine per i viaggi nello spazio/tempo, sono stati un argomento di fantascienza per molti decenni. In realtà, sembra che la possibilità di viaggiare nel tempo, sia nel futuro che nel passato, ha lanciato un appello alla fantasia del genere umano per secoli. Mentre molti pensano che sia assurdo credere nella possibilità di andare indietro o avanti nel tempo, alcuni degli scienziati più brillanti del mondo hanno indagato se, un giorno, questa possibilità possa diventare realtà.

Albert Einstein, ad esempio, ha concluso nei suoi ultimi anni che il passato, presente e futuro esistono simultaneamente e la maggior parte delle persone hanno familiarità con il suo ben noto concetto di relatività, cioè, che il tempo è relativo e non assoluto come sosteneva Newton. Eppure la saggezza delle convinzioni di Einstein hanno avuto un impatto minimo sulla cosmologia e sulla scienza in generale.

Tuttavia, se davvero il viaggio nel tempo fosse possibile, difficilmente si può contemplare ciò che questo può significare per l’umanità, in quanto chi ha il potere di spostarsi nel tempo, ha il potere di modificare la storia. Anche se questo può sembrare attraente, sarebbe impossibile conoscere le conseguenze di una qualsiasi alterazione degli eventi passati e come questi possano influenzare il futuro.

Il viaggio nel tempo nella mitologia antica

Se guardiamo nei testi antichi, possiamo trovare una serie di riferimenti al viaggio nel tempo.

Nella mitologia indù, c’è la storia di Re Raivata Kakudmi che viaggia per incontrare il creatore Brahma.

Anche se questo viaggio non durò a lungo, quando Kakudmi tornò, sulla Terra erano passati 108 yuga e si pensa che, ogni yuga, sia formato da circa 4 milioni di anni. La spiegazione che Brahma diede a Kakudmi è che il tempo scorre in modo diverso nei diversi piani dell’esistenza.

Allo stesso modo, abbiamo dei riferimenti nel Corano circa la grotta di Al-Kahf. La storia si riferisce ad un gruppo di giovani cristiani che, nel 250 dC, cercavano di sfuggire alla persecuzione e si ritirarono, sotto la guida di Dio, in una grotta dove Dio li mise a dormire. Si svegliarono 309 anni più tardi. Questa storia coincide con la storia cristiana dei sette dormienti, ma con alcune differenze.

Un’altra storia deriva dalla leggenda giapponese di Urashima Taro. Urashima Taro visitò il palazzo sottomarino del dio Drago Ryiujin. Vi rimase per tre giorni, ma quando tornò in superficie, erano passati 300 anni.


Nel testo buddista, Pali Canon, è scritto che nel paradiso dei trenta Deva (il luogo degli Dei), il tempo scorre con un ritmo diverso, dove un centinaio di anni terrestri vengono contati come un solo giorno.

La ricerca scientifica

Probabilmente la storia più nota di viaggio nel tempo accidentale è l’esperimento di Philadelphia, che avrebbe avuto luogo nel 1943 con lo scopo di rendere una nave da guerra invisibile ai radar nemici. Tuttavia, l’esperimento andò terribilmente male: la nave non solo scomparve completamente da Philadelphia, ma fu teletrasportato a Norfolk ed andò indietro nel tempo per 10 secondi.

Quando la nave riapparve, alcuni membri dell’equipaggio erano stati fisicamente fusi alle paratie, altri hanno sviluppato disturbi mentali, alcuni sono scomparsi completamente ed alcuni hanno riferito di aver viaggiato nel futuro e viceversa.

Presumibilmente, Nikola Tesla, che era il direttore d’Ingegneria e Ricerca presso la Radio Company of America, fu coinvolto nell’esperimento.

Nel 1960, abbiamo un altro rapporto interessante circa il caso dello scienziato italiano Pellegrino Ernetti, il quale sosteneva di aver sviluppato una macchina che permetteva di vedere nel passato, il Chronivisor.

La sua teoria era che: “tutto ciò che accade lascia un segno di energia che non potrà mai essere distrutto” (qualcosa come il mistico Akashico). Così, Pellegrino, avrebbe sviluppato questa macchina in grado di rilevare, ingrandire e convertire quest’energia in un’immagine – qualcosa simile ad un televisore che mostra ciò che è accaduto in passato.


Nel 1980, ci sono segnalazioni di un altro esperimento controverso, il cosi detto: Progetto Montauk, che avrebbe ancora una volta permesso di sperimentare il viaggio nel tempo, tra le altre cose.
Se gli esperimenti di Philadelphia e Montauk hanno avuto luogo, in realtà, è ancora in discussione.

Tuttavia, è il senso comune a supporre che l’esercito sarebbe sicuramente interessato alla possibilità di viaggiare nel tempo e sarebbero impegnati in un’ampia ricerca sul tema.

A sostegno della teoria dei viaggi temporali, però, abbiamo, nel 2004, la domanda per un brevetto per un metodo di distorsione della gravità e di spostamento del tempo di Marlin Pohlman. Marlin Pohlman, è uno scienziato, ingegnere e membro del Mensa con una laurea, MBA e PhD.

Solo l’anno scorso, Wasfi Alshdaifat ha depositato un altro brevetto per la compressione dello spazio e di una macchina per la dilatazione del tempo, che potrebbe essere utilizzato per il viaggio nel tempo.

Il fisico professor Ronald Mallett Lawrence, dell’Università del Connecticut, sta lavorando sul concetto di viaggio nel tempo basato sulla teoria della relatività di Einstein ed è assolutamente convinto che la percorrenza del tempo è fattibile.

Si prevede che il viaggio nel tempo umano, sarà possibile nel nostro secolo. Il fisico delle particelle Brian Cox, concorda sul fatto che sia possibile, ma solo in una direzione potrebbe procedere il viaggio nel tempo.

Abbiamo la misteriosa storia di Ali Razeqi, amministratore delegato del Centre for Strategic Inventions, il quale sostiene di aver sviluppato un dispositivo che permette di vedere ovunque, da 3 a 5 anni nel futuro. La sua storia, dopo esser stata derisa, è scomparsa da internet poche ore dopo la sua pubblicazione.

Cosa sono gli Stargates

Sopra lo Stargate situato nel Palazzo Presidenziale di Baghdad, Iraq

Che cosa è uno StarGate?

Uno StarGate è una porta di sorta, è un luogo dove le energie, visibili e non, sono ripartite e analizzate nella loro forma più pura e fondamentale. Sono costituiti da pura energia che risuona ed esiste come una frequenza vibratoria.

Ogni pianeta ed ogni Sistema Solare della Galassia, ad esempio, ha le proprie energie risonanti. Lo StarGate assicura che questa risonanza o energia proiettata, puo’ armonizzarsi solo con le energie che vibrano o risuonano ad una simile frequenza vibratoria che determina e crea i nostri risultati fisici.

Stargate ~ Una porta nel Continuum Spazio Temporale

Gli Stargates hanno una caratteristica molto importante. Sono una scorciatoia, una curva del continuum spazio-temporale. Gli Stargates hanno destinazioni specifiche. Passando attraverso uno StarGate situato sulla Terra, vi ritroverete verso una destinazione ben specifica – come: Aldebaran, Alpha Centauri, Sirius – in un istante.

Si credeva che chi controllasse gli stargates, controllasse i viaggi Interplanetari. Non è proprio così, perché proprio come Madre Terra, gli Stargate hanno una risonanza propria.

Ci sono poco più di 50 Stargate sulla Terra, di cui i più noti sono circa 18. Alcuni degli Stargates sulla Terra sono:
- Lago Titicaca
- Golfo di Aden
- Detroit
- Iraq Baghdad Palazzo Presidenziale
- Ziggurat di Ur
- Sudan
- Monte Shasta
- Lago di King Clarence
- Monte Rainier
- Monte Kailash
- Lago Mansarvour
- Monte Hermon
- Lago di Ram
- Monte Fugi
- Everest
- Monte Klyuchevskaya
- Cupola della Roccia a Gerusalemme
- The Kabba StarGate alla Mecca

Che cosa è un portale interno della Terra?

Il modo più semplice per descrivere come funziona il portale Interno della Terra, è attraverso la condivisione di un testimone oculare.


Cinque mesi prima dell’incidente di Roswell, l’ammiraglio Richard Byrd è volato in un portale interno della Terra.


Howard Hughes aveva tentato lo stesso nel 1938. I 4 aerei dell’ammiraglio Byrds, erano stati trasformati in laboratori fotografici.

Ogni aereo aveva 250 £ di pellicola per telecamere precedentemente utilizzata in tempo di guerra dalla Marina per leggere le formazioni di ghiaccio dell’Antartide.

Essi hanno osservato le catene montuose trans-antarctiche con punte superiori a 20.000 piedi (6.000 metri). I fotografi hanno fatto esposizioni sovrapposte ogni tre secondi, per mappare l’intero volo.
La mappatura fotografica è stata accuratamente sincronizzata con il radar per registrare le posizioni di deposito di minerali da costa a costa.

Tre degli aerei tornarono alla base una volta terminato il loro combustibile, ma quello dell’ammiraglio Byrd mancava. Il giroscopio degli aerei oscillava e gli strumenti erano come impazziti.

L’ammiraglio Byrd notò che la luce era diversa e lui non riusciva a vedere il sole. Stava vedendo ora una foresta, un fiume e un prato. Tutto è stato fotografato. 300 miglia quadrate senza ghiaccio e senza neve. Hanno fotografato una catena di laghi di acqua calda. Hanno trovato un lago di cinque miglia di lunghezza e una volta sbarcati, hanno misurato la temperatura dell’acqua e prelevato campioni.

Si sono registrati 74 gradi di temperatura dell’aria e 38 gradi la temperatura dell’acqua. L’ammiraglio Byrd riferisce di aver visto aeromobili a forma di disco di colore d’argento con una svastica come logo.

Queste imbarcazioni benevole avevano comunicato con Adolf Hitler e ne presero il simbolo, però, con un’intensione molto diversa.

I nazisti sentivano di poter controllare le risorse dello stargate e della Terra. Volevano controllare le risorse di diversi pianeti.

L’ammiraglio Byrd descrive nel suo diario di bordo la ricezione di un messaggio via radio che diceva: “Benvenuti nel nostro territorio”. Sette minuti più tardi furono agganciati da un raggio traente e, successivamente, attero molto agevolmente sul terreno.

Byrd ha descritto come alcuni uomini si avvicinarono al loro aeroplano a piedi. Sceso dal proprio aereo, salì a bordo di una pedana piatta che volava a grande velocità verso una Città fatta di un materiale simile al cristallo.

Il Maestro che lo salutò gli disse che si trovava in Arianna, il mondo interno della Terra. La conversazione con il Maestro si focalizzò su un avvertimento riguardo persone della Terra di superficie, che erano più interessati al potere ed erano disposti a raggiungere il punto di non ritorno, punto in cui viene distrutto il mondo intero.

Disse all’ammiraglio Byrd, che aveva cercato di avvertirli quando esplosero le armi atomiche su Nagasaki e Hiroshima, attraverso l’invio di navicelle, a cui però fece seguito la minaccia di essere abbattute.

Disse che poteva vedere un momento nel futuro, quando la Terra di Superficie sarà sconvolta di nuovo dalla guerra e sarebbero di nuovo usciti per aiutarci con la nostra scienza e la cultura.

L’ammiraglio Byrd dopo pochi giorni andò a Washington e riferì al Pentagono, al Presidente e all’NSA, il messaggio che gli fu dato. Fu interrogato per oltre 6 ore e fu registrato. Il Pentagono gli ordinò di tacere su questo messaggio e sulla riunione nella Terra Interiore. Più tardi, nel 1956, l’ammiraglio Byrd disse che ha mantenuto il segreto dell’incontro, andando contro i suoi valori e contro la sua volontà. Disse che gli anni successivi non furono facili. Sentì che i suoi giorni erano contati e disse: “come ogni verità, prima o poi prevarrà.”

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